Poche settimane fa è stato condannato per estorsione, a 3 anni di carcere senza condizionale, un uomo residente a Soliera (provincia di Modena), arrestato nel 2018 dai carabinieri di Carpi (all’epoca guidati dal Capitano Alessandro Iacovelli, ora in servizio al Comando Provinciale dei carabinieri di Roma). L’estorsore minacciò un imprenditore terrorizzandolo con l’uso di una pistola, facendolo ripiombare nell’incubo già vissuto qualche anno prima, quando fu vittima di minacce ed estorsioni aggravate, questa volta dal metodo mafioso, da parte di soggetti del calibro di Mario Temperato ed Enrico Palummo. I due, vicini agli ambienti camorristici del clan dei Casalesi – e sui quali indagarono sempre quei carabinieri – sono stati recentemente condannati dalla Cassazione, in via definitiva, proprio per l’estorsione compiuta in danno dell’imprenditore di Soliera. Gli stessi, peraltro, rimasti coinvolti nell’indagine Reticolo che fece luce su intimidazioni e pestaggi avvenuti nel carcere della Dozza a Bologna, nata grazie alle dichiarazioni del pentito di ‘ndrangheta Pino Giglio, condannato nel processo Aemilia. E in questa sentenza è la Cassazione a valorizzare la “non contestata presenza sul territorio (provincia di Modena, Carpi in particolare) di un sodalizio mafioso (una costola delocalizzata del clan dei Casalesi)“. Ma al cittadino più attento non può sfuggire che nel territorio modenese, oramai da anni, si sono innescate anche altre dinamiche tipiche dell’infiltrazione della malavita organizzata. Soprattutto in alcuni ambiti economici e commerciali. Facilitati dalla possibilità di arricchirsi anche grazie a contributi a fondo perduto erogati negli anni della ricostruzione post sisma e della pandemia. E proprio la ricchezza e il benessere diffuso della provincia di Modena sembra favorire gli affari illeciti di personaggi dall’indubbio background criminale, in una piramide che include la bassa e violenta manovalanza fino a risalire a gregari, fiancheggiatori e i capoclan. Ne danno uno spaccato eloquente le recenti operazioni Perseverance e Radici, nonché i numerosi arresti di soggetti legati ad associazioni malavitose operanti al sud presenti nel modenese. La loro presenza è ben conosciuta dalle forze dell’ordine del territorio, anche a seguito di episodi violenti commessi nel recente passato, che hanno destato grande allarme sociale.
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Si va dal tentato omicidio avvenuto a Novi di Modena nel 2017, commesso da un pluripregiudicato calabrese (anch’egli arrestato da Alessandro Iacovelli), che aveva cercato di uccidere il vicino di casa, banalmente colpevole di avergli occupato l’area destinata al parcheggio della propria autovettura, all’esplosione di una bomba avvenuta nel 2017 a Borgo Visignolo, atto intimidatorio contro un imprenditore con diversi affari nella ristorazione a Modena, e su cui attendiamo di conoscere tutta la verità. Ma di episodi “sentinella” ce ne sarebbero a bizzeffe: basta infatti scorrere velocemente i giornali on-line per rinvenire numerose testimonianze di piccoli e grandi reati. Come dimenticare l’operazione condotta nel gennaio 2018, quando (sempre) quei carabinieri arrestarono Carmine Sarcone, ritenuto il nuovo boss della ‘ndrangheta locale facente capo alla cosca Grande Aracri di Cutro, celeberrimo clan calabrese che aveva gettato le sue radici nelle province modenese e reggiana. Oppure, ancor più recentemente, quella condotta nell’ambito di un’indagine coordinata dalla Direzione Antimafia e nata da una costola di quella avviata a seguito della tragedia della discoteca di Corinaldo, che tratteggiò la figura di Ugo Di Puorto, leader della banda specializzata in furti di collanine e cellulari nei locali di divertimento, ma soprattutto figlio di Sigismondo Di Puorto, riconosciuto reggente del clan dei Casalesi per la provincia di Modena, da anni residente (assieme al figlio) in un paesino alle porte di Carpi. O, da ultimo, l’incendio doloso di un’auto a Campogalliano, posseduta da una famiglia la cui unica “colpa” è stata quella di non aver ceduto (aggiungiamo noi, con grande coraggio) la propria casa a uomini vicini ai clan vibonesi, nonostante gravissime e reiterate minacce tipiche degli ambienti mafiosi. L’uso della minaccia, della violenza e delle armi sono atti di inaudita barbarie e crea un clima intimidatorio funzionale ad incutere timore nella vittima di turno e diffondere in tutta la popolazione la cultura dell’assoggettamento e conseguentemente dell’omertà. Denunciare rimane l’unica via d’uscita, come dimostra la felice conclusione di molte inchieste scaturite dalla collaborazione dei cittadini.
Agende Rosse – gruppo Mauro Rostagno – Modena