Così ci diceva il dottore, che entrava a casa dopo che era stato chiamato per una di quelle piccole emergenze di salute che facevano parte della nostra quotidianità.
Il rapporto col medico di famiglia era la prassi per tutti noi delle vecchie generazioni, ed è stata una figura letteralmente smantellata da venti anni a questa parte da una classe politica che, ciecamente, ha piano piano distrutto quella che era la peculiarità del nostro sistema sanitario nazionale: era per tutti, e veniva percepito come umano, al servizio delle persone.
Potremmo dare, e in effetti lo facciamo, la colpa alla sfrontata mentalità neo-liberista che ha invaso tutti gli aspetti della nostra società. Ma non è solo questo: il passaggio da paziente a cliente, che caratterizza sempre più spesso l’impostazione e la mentalità dei professionisti della sanità, è stato voluto da una classe politica incapace di una visione e da una classe medica sempre troppo spesso appiattita sulle posizioni, talvolta a dir poco colpevolmente idiote, della narrazioni imposte.
Il caso più eclatante è stato il covid e le vaccinazioni, per i quali abbiamo visto una mobilitazione di risorse e di personale medico e infermieristico davvero impressionante, con una capillarità di iniziative che, in effetti, ci era stato raccontato come impossibile da attuare, “perché non ci sono i soldi”
Ma come?! Per le inoculazioni dei miracolosi sieri delle potenti case farmaceutiche internazionali i soldi e il personale si trovano, e ora per le cure del popolo torniamo alla più profonda crisi del sistema?
“C’è del marcio in Danimarca”
dice Marcello, guardia del re e compagno d’armi del principe Amleto, sul finire della quarta scena del primo atto, e cade a fagiolo, perché è stato catastrofico pensare di affidare la sanità ai privati, togliendo le prerogative di cura di tutti che era tipica del servizio sanitario nazionale.
Non si insegna più, come se non bastasse, che il malato è una persona, e non un numero nel conto economico aziendale, e si vede, si percepisce anche negli ospedali e negli ambulatori, dove è venuto a mancare il rapporto con i pazienti che si ammalano, e dove anche il dottore non trova più l’ambiente ideale per la sua crescita professionale. I giovani medici cercano soluzioni all’estero, il personale scarseggia (ringrazierei anche il numero chiuso a Medicina nelle Università, speriamo ora in via di soluzione), e gli esami ospedalieri allungano ulteriormente i tempi, costringendo chi ha urgenza a rivolgersi alle strutture private.
Poi dicono che la gente si incazza.
Ne parliamo al Bar con Raffaele Varvara, infermiere attivista per il ritorno all’umanizzazione delle cure mediche negli ospedali.
Buona visione!