di Alessandro Robecchi
Passata un po’ in cavalleria perché il Paese sta pensando ad altro, non ha avuto il giusto risalto la notizia che i nostri figli – quelli che secondo il famoso psichiatra Leopoldo Recalcati sono bloccati nella vita dall’ottusità dei padri – potrebbero formarsi oltre che sui banchi, anche alla scuola di McDonald’s. La famosa innovazione dell’alternanza scuola-lavoro è uno dei passi più deprimenti e al tempo stesso esilaranti della famosa buonascuola. L’iter lo conoscete tutti, è quello delle più recenti riforme renziane: 1. Annuncio roboante e applausi. 2. attuazione riforma: accuse di immobilismo a chi contesta e fiducia in Parlamento. 3. la riforma è avviata e non funziona un cazzo.
L’alternanza scuola-lavoro è una specie di ciliegina sulla torta: insomma, bisogna far vedere ai ragazzi cos’è il mondo del lavoro, no? E’ il motivo per cui presidi e dirigenti scolastici hanno passato ore al telefono pregando enti, istituzioni, parrocchie, musei, studi professionali, associazioni caritatevoli, volontariato, marziani e altri, di prendersi in carico per qualche ora qualche studente. Ora, visto che ci sono da piazzare alcune centinaia di migliaia di ragazzi per alcuni milioni di ore di lavoro (pardon, di alternanza scuola-lavoro), il ministero ha siglato alcuni accordi con aziende grandi e piccole, enti, multinazionali. Tra queste (in buona compagnia, tra Eni e Zara, tra Accenture e Fca), McDonald’s, che si impegna a creare diecimila “percorsi formativi” (traduzione, piazzare diecimila ragazzi) nei suoi ristoranti. Ogni percorso formativo comprende (tra le altre cose) 35 ore in un locale della catena. Lasciamo ad altri calcoli più precisi, ma diecimila per trentacinque fa 350.000 ore non retribuite. Ora i casi sono due: se è un lavoro, come dovrebbe, sono 350.000 ore che non lavoreranno quelli che di solito sono pagati per farlo. Se invece non è un lavoro, non si capisce cosa significhi alternanza scuola-lavoro. Puro surrealismo.
A questa caritatevole cessione di ore-lavoro gratuite a varie multinazionali, si aggiunge la componente didattica. Dicono a McDonald’s che ci sarà anche “una parte formativa in aula per spiegare come funziona il nostro modello di business”. Traduco: migliaia di studenti italiani avranno come unico insegnamento di economia (non prevista dai programmi delle superiori), le lezioni di business di un’azienda multinazionale, cui doneranno, per ringraziamento, alcune ore della loro vita.
L’alternanza scuola-lavoro, come si configura fin qui, oscilla dunque tra un frenetico arrovellarsi su come accumulare ore di “formazione” (la prego, la imploro, faccia fare un po’ di fotocopie ai ragazzi…) e il disegno ideologico: la grande azienda planetaria che ti spiega in classe il suo “modello di business”, e poi te lo fa anche vedere da vicino, tra il ketchup e il doppio bacon. Una perfetta sintesi delle riforme renziane, in perenne oscillazione tra “arrangiatevi, cazzi vostri” e il regalo ai potenti di turno. Si ufficializza così l’ingresso (surrettizio, strisciante, travestito da “formazione”) delle aziende nel mondo scuola. Viene in mente un piccolo eroe di cui nessuno si ricorda, il diciannovenne (allora, 1998) Mike Cameron che al Coke Day, giornata ufficiale della Coca Cola, sponsor della sua scuola, la Greenbriar High School di Evans, in Georgia, si presentò con una maglietta della Pepsi. Sacrilegio e provocazione. E infatti fu espulso e sospeso dalle lezioni. Non siamo ancora lì, ma ci stiamo avvicinando a grandi passi. E se le 350.000 ore di scuola-lavoro tra i tavoli di McDonald’s sostituiranno 350.000 ore di lavoro retribuito, il messaggio ai ragazzi sarà chiaro e forte: nel Walhalla delle riforme renziane il mondo del lavoro è una guerra tra poveri, chi lo fa per poco scalzato da chi lo fa gratis. Una vera lezione.
9 novembre 2016