Corea del Nord: gli Usa sono completamente responsabili della questione nucleare nordcoreanaIl 7 agosto a Manila, capitale di Filippine, la delegazione nordcoreana ha emesso ai media una dichiarazione firmata dal ministro degli Esteri nordocoreano Lee Yeongho, secondo la quale, la questione nucleare nordcoreana è di completa responsabilità statunitense, il possesso della forza nucleare da parte di Corea del Nord è volta ad affrontare la minaccia degli Usa, tuttavia il paese non utilizzerà le armi nucleari o minaccerà con le armi nucleari nessun paese eccetto gli Usa. Il Forum della regione dell’ASEAN si è tenuto lo stesso giorno a Manila, e la delegazione nordcoreana ha pubblicato la dichiarazione dopo avere tenuto una conferenza. Nella dichiarazione si afferma che il possesso di armi nucleari e di missili balistici intercontinentali è un’opzione di autodifesa legale volta ad affrontare la minaccia americana. 2017-08-08
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Kim minaccia vendetta: “La pagherete cara”Pyongyang promette vendetta contro gli Stati Uniti e si dice pronta a far pagare a “caro prezzo” le nuove sanzioni decise dal Consiglio di sicurezza dell’Onu. “Siamo pronti a rispondere con azioni molto più forti affinché gli Usa paghino a caro prezzo il loro violento crimine contro il nostro Paese e il nostro popolo“, si legge in una dichiarazione del regime nordcoreano diffusa dalla Korean Central News Agency. Sottolineando che non verrà scosso dalle nuove sanzioni, il governo di Pyongyang ha avvertito che insisterà con il suo programma nucleare: “Se i nemici credono che la Corea del Nord possa essere frenata dalle sanzioni, non è altro che un’illusione. Fintanto che gli Stati Uniti continueranno con la loro politica ostile e il ricatto nucleare, non sposteremo un piede dal nostro cammino verso il rafforzamento della nostra forza nucleare”. A margine del forum dell’Asean a Manila il segretario di Stato americano, Rex Tillerson, ha lanciato un monito: Pyongyang fermi i suoi lanci missilistici come segnale della volontà di riprendere i negoziati sulla denuclearizzazione. Sarebbe questo “il miglior segnale che la Corea del Nord possa inviare” per mostrare la volontà di dialogo, ha sostenuto. Tillerson ha sottolineato che la decisione dell’Onu di inasprire le sanzioni contro la Corea del Nord è la prova che la comunità internazionale è unita contro la minaccia balistica di Pyongyang e nel suo obiettivo di denuclearizzare la penisola coreana. Tillerson ha avuto ieri un faccia a faccia con i suoi omologhi cinese e russo, Wang Yi e Serguei Lavrov, i quali – a suo dire – sono entrambi per la linea dura da adottare rispetto alla minaccia nucleare nordcoreana. Ieri c’è stato un colloquio telefonico tra il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e la presidente sudcoreana Moon Jae In. Secondo quanto ha comunicato la Casa Bianca, i due leader hanno discusso le ultime sanzioni delle Nazioni Unite contro la Corea del Nord e hanno convenuto che la questione nucleare della penisola coreana è una “grave e crescente minaccia diretta agli Stati Uniti, alla Corea del Sud e al Giappone, come alla maggior parte dei Paesi del mondo”. “Appena terminata la telefonata con il presidente Moon. Molto felice e impressionato del voto delle Nazioni Unite 15-0 sulle sanzioni della Corea del Nord”, ha scritto Trump su Twitter. A richiedere il colloquio, ha dichiarato un funzionario della Casa Bianca, è stata la presidente sudcoreana. Pyongyang ha di fatto rifiutato l’offerta di Seul per una soluzione pacifica alle tensioni nella penisola coreana, avvenuta in un breve incontro tra i due ministri degli Esteri, a margine del forum Asean. Lo ha riferito l’agenzia sudcoreana Yonhap, citando un responsabile del ministero degli Esteri di Seul. Secondo Yonhap, il ministro nordcoreano Ri Hong-Yo avrebbe rifiutato le proposte del suo omologo Kang Kyung-Wha non ritenendole sincere. “Data la situazione attuale – ha dichiarato – e vista la collaborazione tra Seul e gli Stati Uniti per accentuare la pressione su Pyongyang, questa proposta non è sincera”. 7 agosto 2017
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Dopo sanzioni Onu, Corea del Nord minaccia Usa: “vendetta mille volte più grande”di Mariangela Tessa
Soffiano venti di guerra tra Stati Uniti e Corea del Nord. “Gli Stati Uniti sono pronti a tutte le opzioni per contrastare la minaccia nucleare rappresentata dalla Corea del Nord, compresa quella di una guerra preventiva”, ha detto ieri il consigliere per la sicurezza nazionale americano, H.R. McMaster, in un’intervista alla Mnsbc. Dichiarazioni che seguono i due test su missili balistici intercontinentali realizzati dal regime di Pyongyang lo scorso mese.
Intanto, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha votato all’unanimità nuove sanzioni contro la Corea del Nord proprio a causa del suo programma missilistico. Tra queste, spiccano il bando all’export nordcoreano e agli investimenti stranieri nel Paese. “Questa risoluzione è il più grande pacchetto singolo di sanzioni deciso nei confronti di un Paese da generazioni” ha sottolineato l’ambasciatrice americana all’Onu, Nikki Haley, dopo il via libera dell’Onu alle nuove misure restrittive contro Pyongyang. La risoluzione vieta inoltre ai Paesi membri di aumentare il numero di nordcoreani che lavorano all’estero, impedisce nuove joint venture con il regime e qualsiasi nuovo investimento in quelle correnti. Inoltre, altri nove individui e quattro entità vengono aggiunti alla lista nera, inclusa la Foreign Trade Bank nordcoreana. Dopo le nuove sanzioni decise dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu contro il paese asiatico, non si è fatta attendere la risposta di Pyongyang. Che, in un comunicato, ha detto che la vendetta della Corea del Nord sarà “mille volte più grande”. Per il regime, le sanzioni sono il frutto di un “odioso complotto degli Usa per isolare e soffocare” la Corea del Nord. Le misure, prosegue la nota, non costringeranno mai il Paese a trattare sul suo programma nucleare. Intanto anche la Cina scende in campo. Il ministro degli Esteri cinese Wang Yi – parlando a Manila prima di un summit sulla sicurezza regionale – ha esortato il suo omologo nordcoreano, Ri Yong Ho, a rispettare le risoluzioni dell’Onu e cessare le provocazioni, inclusi i test missilistici e nucleari. Wang ha inoltre invitato gli Usa e la Corea del Sud a “fermare le crescenti tensioni”, affermando che tutte le parti in causa dovrebbero tornare al tavolo dei negoziati. 7 agosto 2017
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Corea del Nord, Giappone coopera con Usa per sanzioni a PyongyangIl neoministro degli Esteri giapponese Taro Kono e il segretario di Stato americano Rex Tillerson hanno concordato congiuntamente di assicurare l’attuazione delle sanzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite contro la Corea del Nord. I due ministri degli esteri si sono incontrati nell’ambito dell’Assemblea degli Esteri ASEAN (AMM) nella capitale filippina di Manila, secondo quanto ha riferito l’agenzia di stampa Kyodo. 07.08.2017
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Corea del Nord, Pyongyang contro Stati Uniti: “La vendetta sarà mille volte più grande”MANILA, 7 AGOSTO– Annunciata “vendetta mille volte più grande” da Pyongyang nei confronti degli Stati Uniti in seguito alle dure sanzioni dell’Onu. Secondo quanto comunicato, le sanzioni sarebbero l’esito di un “odioso complotto degli Usa per isolare e soffocare” la Corea del Nord. Le misure, si ritroverebbe inoltre nella nota, non porranno mai costrizioni al Paese riguardo la trattativa sul suo programma nucleare. Affermazioni anche da parte del presidente degli Stati Uniti Donald Trump e da Moon Jae-in, presidente sudcoreano dopo il colloquio telefonico, i quali avrebbero affermato che “La Corea del Nord rappresenta una crescente minaccia, seria e diretta, contro gli Stati Uniti, la Corea del Sud e il Giappone, così come contro gran parte dei Paesi nel mondo” Durante l’incontro a Manila, il capo della diplomazia russa Serghiei Lavrov avrebbe espresso il proprio parere a riguardo delle due parti coinvolte, le quali dovrebbero “evitare l’uso della forza” e provare a “cercare metodi politici e diplomatici per risolvere i problemi che la regione sta affrontando, inclusa la denuclearizzazione della penisola coreana”. L’interruzione dei lanci missilistici, risulterebbe, secondo quanto detto dal Segretario di Stato Americano Rex Tillenson, “il primo e più forte segnale” che la Corea del Nord potrebbe utilizzare come dimostrazione nei confronti di una nuova possibile negoziazione con gli Stati Uniti. Terzo Alessia
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Corea del Nord, i tre fattori che spiegano la minaccia KimIl rilancio sottotraccia dell’imprenditoria. Un programma atomico non negoziabile. La protezione della Cina. Così il leader ha svoltato rispetto al padre. Risollevando un Paese strozzato da sanzioni e carestie. arlando di Corea del Nord è ormai quasi scontato pensare a un pericoloso e imprevedibile regime dell’Estremo Oriente, governato da un dittatore con uno strano taglio di capelli, in possesso di testate atomiche e con l’apparente intenzione di usare prima o poi i suddetti armamenti su Seul e la costa Ovest degli Stati Uniti. Tutto questo però distoglie l’attenzione da un’altra questione: come fa un Paese così piccolo e isolato, fiaccato da decenni di sanzioni internazionali (le ultime da 1 miliardo) e devastanti carestie – quella degli Anni 90 costata la vita a quasi 3 milioni di persone – , il cui stato di guerra con la Corea del Sud non è mai stato risolto (le due Coree sono formalmente in armistizio, non avendo mai firmato un trattato di pace a tutti gli effetti) a essere ancora oggi in grado di costituire una seria minaccia per Seul e gli Stati Uniti? 1. L’economia: il governo permette lo sviluppo sottotraccia di un’imprenditoria nazionale La prima spiegazione è senz’altro economica: nonostante l’immagine filtrata dai media e dall’immaginario comune di un Paese povero e in rovina, pieno di gente in fila per un tozzo di pane e qualche manciata di zucchero, la Corea del Nord è in decisa crescita economica. Nel 2016 il Pil ha raggiunto il suo miglior risultato dal 1999, secondo la Banca centrale sudcoreana (la quale monitora annualmente i movimenti economici dei cugini del Nord), con un aumento netto del 3,9% rispetto all’anno precedente. Numeri importanti, che si affiancano al netto aumento degli scambi commerciali con l’estero del regno eremita, in barba a embarghi e sanzioni internazionali: nel solo 2016 questi sfiorano i 6,5 miliardi di dollari, e se anche la bilancia commerciale registra un saldo negativo (le esportazioni superano di circa 900 milioni di dollari le importazioni), il quadro che emerge è quello di un Paese la cui economia è in grande movimento. MISURE CONTRO LA STAGNAZIONE. «Questo di fatto è stato uno dei cambiamenti più importanti introdotti dalla salita al potere di Kim Jong-un: quello di prevedere uno sforzo per rilanciare l’economia nordcoreana dalla stagnazione, insieme al sempre maggiore sviluppo del programma nucleare», spiega a Lettera43.it Lorenzo Mariani, ricercatore dell’Istituto Affari Internazionali. «Questo programma di sviluppo parallelo (del nucleare e dell’economia, nda) ha in qualche modo permesso di iniziare a uscire da una logica fortemente ancorata e immobilizzata a un modello di controllo dello Stato di qualsiasi attività economica. In altre parole, il governo ha iniziato a permettere, in maniera ufficiosa e voltando volutamente lo sguardo dall’altra parte, l’apertura di attività imprenditoriali gestite da nordcoreani all’interno del Paese». Spingendo, quindi, lo sviluppo sottotraccia di un’imprenditoria che in qualche modo riesce a generare un indotto in grado di compensare la stretta economica dovuta alle sanzioni internazionali e agli embarghi. Un po’ come combattere il fuoco con il fuoco. 2. Il programma nucleare: con Kim Jong-un non è più oggetto di negoziato Il programma si articola su un altro fondamentale versante: il sempre più intenso sviluppo del programma atomico. A guardare gli anni passati e gli approcci che sono stati adottati dalle varie amministrazioni americane nei confronti del nucleare nordcoreano, le idee sono cambiate parecchio, sia a Washington che a Pyongynang. L’atteggiamento, in generale, ha subito un’evoluzione: se per Kim Jong-il, padre dell’attuale leader nordcoreano, il programma nucleare era di fatto un gettone di scambio, da mettere sul tavolo delle trattative in cambio di riduzioni sulle sanzioni internazionali o aiuti economici di vario tipo, per il figlio Jong-un la questione è decisamente fuori dal tavolo delle trattative. «Questo è stato in fondo il più grande fallimento della ex presidentessa sudcoreana Park Geun-hye, che aveva posto come condizione fondamentale per il dialogo con il Nord lo smantellamento dell’arsenale nucleare. Politica rivelatasi, eufemisticamente, inefficace», afferma Mariani. UN ATTACCO È DA ESCLUDERE. C’è comunque da tenere a mente che questo arsenale ha scopo prettamente deterrente: le azioni di Kim Jong-un sono da interpretare come la stipula di un’assicurazione, che nel linguaggio della politica internazionale assume la forma di diverse testate nucleari. «Non è razionalmente plausibile ipotizzare un attacco del regime: finirebbe immediatamente in uno scontro che comporterebbe quasi inevitabilmente il crollo del regime stesso, oltre che la distruzione del Paese», continua Mariani. Il nucleare non è più negoziabile: memore delle lezioni apprese da altri “colleghi” del recente passato di fatto eliminati dagli Stati Uniti, come Mu’ammar Gheddafi e Saddam Hussein, anche per la mancanza di un efficace deterrente come quello atomico a disposizione, Kim Jong-un non ha alcuna intenzione di rinunciare al proprio programma nucleare. Come confermato anche dopo le pesanti sanzioni votate dalle Nazioni Unite. 3. Le relazioni politiche: uno Stato cuscinetto che fa comodo alla Cina I vicini alla finestra, Seul e Pechino, non sono spettatori disinteressati. E fanno parte del sottile calcolo diplomatico di Pyongyang. Se la Corea del Sud è più terrorizzata dagli esiti di una potenziale rappresaglia a un ipotetico attacco statunitense (Seul dista circa 40 km dal confine nordcoreano, a tiro di artiglieria) che dal possesso dell’armamento nucleare da parte dei nordcoreani, la Cina ha tutto l’interesse che il regime rimanga esattamente al suo posto. Nell’improbabile evento di un crollo del regime, e della sua unificazione in una Corea unita, qualcosa come diverse decine di migliaia di militari americani e relativi mezzi si verrebbero a trovare al confine cinese, per non parlare delle testate nucleari che cadrebbero inevitabilmente in mano sudcoreana, e quindi indirettamente americana, e dei milioni di sfollati che si riverserebbero in Cina e Corea del Sud. Tutte ottime motivazioni per giustificare il lassez faire dei due vicini. TRUMP PRENDE TEMPO. E gli Stati Uniti? «Gli Stati Uniti, di fatto, non hanno deciso ancora cosa fare», afferma Mariani. «Quello dell’aspettare che il regime collassi da solo è un mantra che si ripete da tempo immemore. Era un po’ anche la strategia di Barack Obama, quella della “pazienza strategica”, che si fondava sull’idea che grazie alle sanzioni il regime sarebbe prima o poi crollato. Questo, ovviamente, non sta accadendo. Le critiche mosse dall’attuale amministrazione sono chiare, ed anche in parte fondate. Ma la semplice critica non basta, e Donald Trump non ha ancora annunciato quale sarà la sua politica nel merito». «PYONGYANG? VA TRATTATA COME PECHINO». Ci sarebbe abbastanza materiale per un film: uno stallo alla coreana, dove tutti puntano le armi gli uni contro gli altri, ma nessuno ha voglia di sparare per primo. Come si esce da una situazione del genere? «La cosa da fare subito, per sedersi intorno a un tavolo e negoziare, è riconoscere la Corea del Nord come potenza nucleare. È stato fatto con la Cina, con il Pakistan, bisogna prenderne atto. Non bisogna più aspettare: il regime non crollerà “prima o poi”, c’è da ragionare su quello che è in questo momento». In altre parole: un Paese con armi atomiche e la possibilità di usarle per difendersi, che nessuno dei suoi vicini (per un motivo o per l’altro) vuole collassi o imploda. Note da tenere a mente, mentre si decide chi sarà il primo ad abbassare la pistola. 06 agosto 2017 |