di Gianni Barbacetto
Indagato Tullio Del Sette, comandante generale dei carabinieri. I magistrati della Procura di Napoli lo accusano di favoreggiamento e rivelazione del segreto istruttorio. Avrebbe avvertito alcuni indagati che erano in corso indagini e intercettazioni a loro carico. L’inchiesta è quella sulla Consip, la centrale acquisti della pubblica amministrazione. La notizia è stata data in esclusiva il 22 dicembre 2016 dal Fatto quotidiano in un articolo di Marco Lillo.
È stato il primo comandante generale dei carabinieri annunciato via twitter. Era il 24 dicembre 2014: alle ore 16.31 il ministro della Difesa Roberta Pinotti (Pd) cinguetta: “Grazie al generale Gallitelli per l’eccellente lavoro svolto. Auguri e buon lavoro al generale Del Sette”. Il passaggio di consegne, poi comunicato ufficialmente, era atteso e previsto. Leonardo Gallitelli, in verità, sperava di resistere in carica ancora per qualche mese, per poter poi passare al Quirinale come consigliere militare del presidente della Repubblica. Il colpo non gli riuscì, ma la sua sostituzione con il generale Tullio Del Sette, allora capo di Gabinetto di Roberta Pinotti, era da tempo nell’aria.
Nato a Bevagna, in Umbria, il 4 maggio 1951, Del Sette viene da una famiglia di carabinieri. Suo padre era un graduato dell’Arma e Tullio sceglie di seguirne le orme. Comincia nel 1970, entrando all’Accademia militare di Modena e poi alla Scuola di applicazione carabinieri di Roma. Inizia un’ascesa che non si è mai interrotta. Comandante di plotone del Primo battaglione della scuola allievi carabinieri di Roma e dell’Accademia di Modena, quindi comandante di compagnia a Spoleto, a Perugia, a Roma. Poi ufficiale superiore, a capo dei comandi provinciali dei carabinieri a Pisa e a Torino. Può sfoderare tre lauree, in Giurisprudenza, in Scienze politiche e in Scienze della sicurezza interna ed esterna.
A Roma entra nel quartier generale dell’Arma, facendo prima il capo sezione e poi il capo ufficio delle pubbliche relazioni: è la voce ufficiale dei carabinieri. Passa in Campania come capo di stato maggiore, poi va a Firenze, destinata a diventare la capitale politica dell’Italia nell’epoca di Matteo Renzi: è comandante della regione carabinieri Toscana. Da Firenze, decolla per Roma: nel 2004 entra al ministero della Difesa, dove passerà più di sette anni. Nel palazzo di via Venti Settembre fa il capo dell’ufficio legislativo del ministero, vedendo sfilare molti ministri: da Antonio Martino (Forza Italia) ad Arturo Parisi (Pd), fino a Ignazio La Russa (Pdl). Nel 2012 è promosso generale di corpo d’armata, comandante delle unità mobili e specializzate “Palidoro”. Nel 2013 è comandante interregionale “Podgora”, poi vicecomandante generale dell’Arma.
Il 24 giugno 2014 torna a varcare il portone del ministero di via Venti Settembre: come capo di Gabinetto di Roberta Pinotti. “È stato violato un tabù”, dicono i conoscitori dei Palazzi romani: perché per la prima volta un carabiniere va a ricoprire un incarico prima riservato agli alti papaveri dell’Esercito. Da lì spicca il salto che a dicembre dello stesso anno lo porta al vertice dell’Arma, con nomina del presidente del Consiglio Matteo Renzi. A 63 anni, dunque con la previsione di avere davanti soltanto un paio d’anni di comando, secondo i paletti imposti dalla legge Madia sulla pubblica amministrazione: in pensione a 65, senza proroghe possibili. Dal 4 maggio 2016 è dunque “fuorilegge”, secondo quanto scrive, velenoso, il sito “Malagiustizia”, dopo aver fatto i conti in tasca al comandante generale dell’Arma (emolumenti annui: circa 460 mila euro).
Del Sette arriva al comando di viale Romania nel segno della continuità con il suo predecessore, il generale Gallitelli. Le voci interne si vantano: “Vedete? Sappiamo tutelare la continuità nell’Arma al di là dei mutevoli umori della politica e della rapidità con cui cambiano gli inquilini di Palazzo Chigi”. I più disincantati però ammettono: “Gran parte della sua carriera si è dipanata dentro il ministero, a stretto contatto con la politica”.
A fianco del ministro Pinotti, il generale ha contribuito a realizzare un po’ di spending review nel comparto sicurezza e difesa. La speranza era che continuasse a farla anche come comandante generale dei carabinieri: diminuire i costi è un obiettivo imposto dai tempi grami; razionalizzare le tante e spesso sovrapposte forze di polizia era un pallino di Renzi. Risultati? Controversi, a parte l’entrata della Guardia forestale sotto il comando dei carabinieri. E ora, a fine carriera, l’inciampo fatale. La “voce dei carabinieri” forse ha parlato un po’ troppo.
Il Fatto quotidiano, 22 dicembre 2016