Giuseppe Galasso
Le nuove generazioni, cosa leggeranno, domani, sui libri di storia, in merito alla Mafia e alle vicende a essa connesse?
Cosa verrà riportato delle stragi che, da mezzo secolo a oggi, hanno insanguinato il nostro Paese, ai depistaggi, alle connivenze di apparati dello Stato e della politica con esponenti della Mafia, al sacrificio di coloro che hanno cercato di far luce su questi periodi bui della nostra storia?
Che verità gli consentiremo di conoscere?
Vorremmo essere smentiti ma, le generazioni future, sul tema Mafia, rileggendo quanto è stato detto e scritto in merito fino a ora, si troveranno davanti a una rappresentazione di queste vicende perlomeno schizofrenica.
Non vogliamo credere che ciò possa essere frutto di un atteggiamento consapevole, nè, tantomeno, che vi sia una grave e pericolosa premeditazione e volontà mistificatoria (qualcuno però, con convincenti motivazioni, ci aiuti a capire cosa altro possa essere), certo è che, taluni, stanno contribuendo a offrire un quadro del fenomeno popolato da informazioni contraddittorie, affermazioni grottesche e, troppo frequentemente, oltre quei limiti che un minimo di decenza dovrebbe imporre.
Tutto ciò non giova alla conoscenza ma nemmeno alla Democrazia e alla società civile.
Con inaccettabile arroganza e sfacciataggine, certa stampa, così come politici e rappresentanti delle istituzioni continuano sfacciatamente a negare inconfutabili verità, con rappresentazioni di fatti che non dovrebbero essere né interpretati né rappresentati ma riportati, sic et simpliciter, e di cui bisognerebbe solo prendere atto.
In tema di Mafia e dintorni, la moltitudine di fonti e dati che vengono offerti, se non decidiamo che qualcosa cambi, se non si definisce, in maniera autentica e una volta per tutte, quale sia la vera verità dei fatti, non potranno che agevolare la costruzione di improbabili teoremi che allontanano dalla verità, tradendo, perlomeno, quella parte di Stato composta da cittadini onesti.
E siamo convinti che questi cittadini, malgrado tutto ancora non rassegnati, siano comunque ormai stanchi di assistere a spettacoli da teatrino di marionette, avendo la sensazione di non far nemmeno parte del pubblico, ma, di essere trattati anch’essi da marionette, la cui intelligenza e capacità critica, pupari, nemmeno più di tanto occulti, vorrebbero manipolare.
Ma, in virtù di quale logica possiamo continuare a tollerare l’indifferenza e la tracotanza di uno Stato nel quale vorremmo, incondizionatamente, riconoscerci?
Se, come in varie occasioni è stato ripetuto, lo Stato non è in grado di processare se stesso ben consapevole che, scoperchiando questo suo vaso di Pandora, sarebbe travolto da tutte le nefandezze, che certi suoi indegni rappresentanti hanno negli anni compiuto, è altrettanto evidente che non si possa continuare a denunciare fatti e fenomeni che in maniera indiscutibile evidenziano l’illiceità di certi comportamenti continuando a trovare, dall’altra parte, come interlocutori, muri di gomma sui quali tutto rimbalza o scivola come olio.
Ma è poi proprio vero che uno Stato non possa processare se stesso?
E’ una questione di valutazione rischi benefici.
Nel nome di una democrazia il cui profilo sembra sempre più opaco, è maggiore il rischio di estrarre dal corpo dello Stato il cancro della illegalità, della connivente collusione, della condivisione di percorsi criminali illeciti, o ben altri sarebbero i benefici se si intervenisse per estirpare questo male prima che le metastasi (se già non l’hanno fatto) lo divorino definitivamente senza futuro?
A questa domanda purtroppo esistono due risposte di segno opposto, tra di loro contrastanti, che confermano la divisione tra uno Stato di valori e il disvalore di una parte dello Stato e quindi, ma sarebbe troppo comodo e non vogliamo crederci, è come se non vi fosse alcuna risposta.
Non possiamo accettarlo, e non ci vengano a dire che se si andasse a fondo si metterebbe a repentaglio la democrazia e la stabilità di un intero Paese
Le verità possono portare solo beneficio, non riusciamo a immaginare una democrazia fondata sulla menzogna.
Per mettere all’angolo le Mafie serve una rivoluzione culturale che deve partire soprattutto dai giovani che vanno coinvolti con testimonianze di credibilità piuttosto che con prove di autorevolezza.
Lo ha ribadito in una recente intervista il Magistrato Nino Di Matteo, incoraggiando i giovani a non perdere la memoria per evitare che, senza memoria, il nostro possa diventare un paese senza futuro.
Nulla quaestio, ma, forse ci sarebbe addirittura bisogno di due rivoluzioni culturali, una all’interno delle istituzioni e, l’altra, del popolo, dei cittadini, tutti, e non solo dei giovani.
Perché, diversamente, volendo rappresentare figurativamente la lotta alla mafia come un carretto siciliano a due ruote, per quanto veloce possa girare una delle due ruote, se l’altra gira lentamente o addirittura sta ferma, il carretto gira intorno a sé stesso, senza andare né avanti né indietro.
Questo rischia di essere il destino della lotta alla Mafia, se solo la ruota dell’impegno civile, dell’antimafia sociale, si muovesse costantemente e velocemente.
Si ha l’impressione di essere arrivati a un bivio, ma anche che si stia sbagliando qualcosa o, comunque, che ci sia bisogno di qualcosa di diverso perché effettivamente qualcosa possa cambiare.
Accanto al lavoro della Magistratura e delle forze dell’ordine, nella società civile esistono varie associazioni che si occupano di tematiche inerenti alla legalità e alla lotta alle mafie e, tra queste, le associazioni costituite da parenti delle vittime delle stragi, che, dalla immane tragedia che li ha colpiti, hanno voluto cogliere una opportunità di rinascita portando un contributo per un cambiamento della società, di educazione alla legalità.
Il loro impegno è stato ed è determinante nel rispetto della memoria, ricercando la verità.
Magistrati, giornalisti, associazioni, parenti delle vittime delle stragi di mafia, nel mantenere vivo il ricordo di ciò che è successo, portano la loro testimonianza nelle scuole, nelle università in dibattiti e conferenze sempre nel nome di questa rivoluzione culturale in cui crediamo, che parte dal popolo, tra i cittadini.
Ma non è abbastanza.
Le future generazioni leggeranno sui libri di storia che la Mafia è una organizzazione criminale, che per mano di uomini a essa appartenenti, per lunghi decenni, si è resa autrice spietata di stragi nelle quali hanno perso la vita Magistrati, appartenenti alle forze dell’ordine, giornalisti impegnati a contrastarla, così come innocenti vittime colpevoli solo di trovarsi, nella loro innocenza, nel posto sbagliato nel momento sbagliato.
Ma al tempo stesso leggeranno che è esistita una “Mafia buona”, l’ossimoro per eccellenza, composta da uomini che si sono resi autori di efferati delitti ma la cui ignobile crudeltà, in un certo momento storico “meritava”, o forse meglio “necessitava” di essere derubricata a un profilo di “bontà”.
E così è effettivamente stato.
Un nuovo profilo, espressione di una sorta di “catarsi legalizzata” che ha consentito, giustificandolo, quel “dialogo trattativa”, voluto da una parte dello Stato “non buono” per porre fine alle stragi che stavano insanguinando il nostro paese.
Uno “Stato non buono”, deviato, colluso che dialoga con una “Mafia buona”: l’ossimoro nell’ossimoro.
Si leggerà, ancora, che la “trattativa Stato Mafia”, secondo alcuni, non è esistita, e non ha costituito reato nemmeno quando ha preso la forma di “minaccia a corpo politico dello Stato”, fattispecie di reato invece prevista dal codice, né quando, dell’esistenza di una trattativa, hanno parlato gli stessi imputati , Ufficiali appartenenti all’Arma dei Carabinieri (prima condannati e poi prosciolti) e, la stessa, è stata confermata dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che, in occasione di una sua audizione a Palermo ebbe a evidenziare come, non solo il Governo, ma tutte le più alte istituzioni dello Stato avevano compreso bene la minaccia e le finalità di ricatto della Mafia.
In quegli stessi libri di storia, un domani, troveranno spazio i nomi di uomini appartenenti alle forze dell’ordine, all’Arma dei Carabinieri, caduti in servizio con onore, affiancati a colleghi che quel senso della dignità e orgoglio della appartenenza lo hanno perso, accettando di trattare con quella Mafia che loro stessi hanno classificato come “buona”, semplicemente perché funzionale a ciò che stavano facendo.
Tra i primi, ad alcuni è stato concesso l’onore di rinominare Vie, piazze giardini o scuole, essendo comunque per molti di essi, sul loro impegno e il loro sacrificio, venuto a cadere lentamente il velo dell’oblio, mentre i secondi, in taluni casi, sono addirittura stati accolti nei palazzi delle Istituzioni da parte delle più alte cariche dello Stato come veri e propri eroi, considerati vittime di accanimento persecutorio perpetrato nei loro confronti da parte di certa magistratura.
Le nuove generazioni verranno a conoscenza del lavoro portato avanti da tanti magistrati e da uno in particolare, di nome Nino Di Matteo, che ha dedicato una intera vita alla lotta alla Mafia, con coerenza e determinazione e senza alcun tentennamento, anche quando, proprio la mafia, emise nei suoi confronti una condanna a morte ancora attiva.
Ma leggeranno anche di un fantasista della democrazia, tale Maurizio Gasparri che, a quanto pare, dimenticandosi di essere un Senatore della Repubblica, accecato da non si sa quale “furor”, contro lo stesso Di Matteo ha chiesto un sindacato ispettivo al Guardasigilli Carlo Nordio per verificare eventuali sue responsabilità disciplinari, nonché a tutela della Magistratura e della corte di Cassazione, oltre alla eventuale sussistenza di reati derivanti dalle esternazioni contenute nel libro “Il colpo di spugna”.
Facciamo appello alla indiscutibile oggettività di valutazione, e lucida capacità di analisi del Senatore Gasparri perchè ci aiuti a capire, con motivazioni non di fantasia come quelle sopra espresse, come un Magistrato, sottoposto al massimo livello di scorta per l’attività svolta nel contrasto alla Mafia che nei suoi confronti ha emesso una condanna a morte , possa essere, al tempo stesso ritenuto uomo che opera contra legem, contro lo Stato.
Il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha ritenuto “pericolose per l’incolumità personale di chi cerca solo di fare del suo meglio per il bene di questa Nazione” le parole espresse da Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione dei famigliari delle vittime della strage di Bologna, secondo cui le radici dell’attentato figurano a pieno titolo nella destra di Governo.
Vorremmo chiedere al Presidente Meloni perché, la stessa sensibilità e le stesse preoccupazioni e solidarietà, non le abbia manifestate nei confronti del Dott. Di Matteo a fronte delle esternazioni del senatore Gasparri o di chi a vario titolo si è espresso negli ultimi mesi nei suoi confronti disegnandolo quasi come un pericolo per la democrazia e al quale, proprio per questo motivo, secondo alcuni, non dovrebbe più essergli consentito di parlare nelle scuole con i giovani per il messaggio fuorviante di cui è portatore.
Se tutto ciò non rappresenta una lettura schizofrenica dei fatti come possiamo diversamente definirlo?
Dove è la verità, potrebbe allora lecitamente chiedersi il lettore del domani ma anche quello del presente.
Ma se davvero siamo ancora a questo punto e ancora dobbiamo spiegare che “l’acqua bagna e il sole riscalda”, allora vuol dire che non è abbastanza, non è sufficiente quello che è stato fatto.
Forse, le stesse associazioni di volontari e in particolare quelle che rappresentano le vittime e i familiari delle vittime delle stragi, considerato anche le ormai conclamate connessioni e rapporti che esistono tra mandanti e autori delle varie stragi, dovrebbero intraprendere dei percorsi condivisi mettendo insieme le loro forze, creando tavoli di confronto sinergico su quelle tematiche che le possano accomunare, e, così facendo rafforzare il proprio potere contrattuale e dare una incisività maggiore alla loro voce nei confronti di quei muri di gomma, sfondati i quali, le prospettive di intravedere la luce della verità sicuramente andrebbero a aumentare.
Ma, forse è arrivato anche il momento in cui anche la politica, una volta per tutte e in maniera seria e responsabile, si metta davanti allo specchio e prenda consapevolezza di quanto infimo sia stato l’impegno nella lotta alla mafia, quante siano state le assenze in questi anni e che grosse responsabilità anche morali pendano sui suoi rappresentanti.
Non è stato l’arresto di Messina Denaro, destinato a morire in tempi brevi per le gravi patologie di cui soffriva, a dare una svolta alla lotta alla mafia se, con un arresto, gli si cambia solo indirizzo di residenza per poi portarlo di lì a poco al cimitero, senza però avere risposte sui suoi trent’anni di latitanza e sulle connivenze non certo di basso livello che gli hanno consentito di muoversi liberamente.
Vorremmo sapere dove si trova l’Agenda rossa del giudice Borsellino conservata nella sua borsa che il giorno dell’attentato fu vista in mano a un ufficiale dei carabinieri e da quel momento non si è più trovata facendo passare come normale un evento dai profili quasi paranormali.
Devono ancora spiegarci, cercando di essere convincenti, la logica della mancata perquisizione del covo di Toto Riina dopo il suo arresto.
E potremmo continuare con una sequela di situazioni e eventi vergognosi, che necessitano di una risposta chiara e credibile, che ormai, anche il lettore più disinteressato all’argomento, potrebbe elencare a memoria, tanto se ne è parlato e se ne continua a parlare.
Ma, è risaputo, le chiacchiere non fanno farina.
E allora, a questo punto, sarebbe il caso che anche la politica decidesse di prendere posizione e guidare quella rivoluzione culturale auspicabile anche all’interno dei Palazzi del potere iniziando intanto a abbattere quella omertà istituzionale che vi trova dimora.
Vorremmo rivolgerci alla attuale classe di governo ma qualcosa ci dice che sarebbe tempo perso.
Ma tra i politici vi è anche chi, rispetto a questo governo si trova all’opposizione e che, una opposizione concreta al governo dovrebbe farla.
Proprio a loro, a questi politici, mentre passano da un campo largo a quello stretto, un giorno a braccetto con un compagno di viaggio, quello dopo con uno diverso, mentre ci parlano della Democrazia al tempo di Pericle quando nel frattempo la nostra democrazia e le libertà che vi dovrebbero trovare felice dimora vengono messe a rischio, tra una divagazione tra populismo e riformismo passando per il sovranismo, mentre ci comunicano con splendidi selfie i loro luoghi di vacanza o le loro vicende familiari, vorremmo chiedere che ci mandassero anche uno screenshot della loro agenda.
Vorremmo che ci facessero vedere che, nella loro agenda, la lotta alla mafia è tra le priorità nel calendario dei loro impegni, anche perché questo chiedono ormai da decenni i cittadini che gli hanno dato mandato per rappresentarli e che sono convinti che, quella fatta solo attraverso la formale presenza alle cerimonie di commemorazione delle stragi, suscita solo sdegno e fastidio nei cittadini se poi non gli viene dato seguito con fatti concreti.
Sicuramente i cittadini sarebbero disposti anche a vedere slittare un dibattito sulla costruzione del ponte sullo Stretto (da oltre cinquant’anni si sta aspettando la conclusione della Salerno Reggio Calabria e siamo sopravvissuti) o l’impegno per risolvere il problema delle concessioni degli stabilimenti balneari pur di sentir risuonare qualche volta di più la parola Mafia e lotta alla Mafia nelle aule del Parlamento e avere certezza che questi temi siano oggetto di una seria battaglia politica.
Dovremmo ripartire da qui perché alla luce dei risultati non è stato fatto abbastanza e sicuramente qualche errore da parte di tutti è stato fatto.
E non è solo un problema di rispetto della Storia, ancor prima esiste un’esigenza di rispetto della verità, un problema etico oltre che politico.
Nel concludere, facciamo nostre, condividendole, le parole pronunciate dall’Avvocato Fabio Repici nel suo illuminato discorso fatto il 19 Luglio scorso a Palermo, in occasione della Commemorazione della Strage di Via D’Amelio: “Ci dobbiamo impegnare a difendere la verita. C’è chi la storia la vuole riscrivere con Bruno Contrada dimenticando i favori da lui fatti a Cosa Nostra, c’è chi la storia la vuole riscrivere con Mario Mori, dimenticando la mancata perquisizione del covo di Riina e la mancata cattura di Bernardo Provenzano, c’è chi la storia la vuole riscrivere con Giuseppe De Donno o con la buonanima del Generale Subranni, definito “punciuto” dal Giudice Borsellino. Lo facciano, scadano nel ridicolo. Dobbiamo impegnarci tutti nella difesa della verità, opponendoci a quel desiderio di riscrittura fascista e golpista della storia e dobbiamo evitare la strategia del velo che copra tutto, nella impossibilita di accertare qualunque cosa”.
13 Agosto 2024