By Fayha Shalash
Questa inchiesta è sconvolgente, ma necessario. Le difficoltà che vivono le detenute catturate a Gaza non hanno precedenti, nemmeno nel tragico scenario generale dei prigionieri palestinesi.
Sono stati rivelati i nomi di 51 donne, detenute illegalmente dalle forze d’invasione israeliane durante l’operazione di terra a Gaza.
Il numero è stato riferito dall’Autorità per gli Affari dei Prigionieri Palestinesi, e non ci sono conferme riguardo altre prigioniere segretamente detenute in Israele.
Indipendentemente dal numero esatto, le testimonianze raccolte dalle prigioniere rilasciate rivelano abusi, maltrattamenti e torture scioccanti.
Il Palestine Chronicle ha parlato con Lama Khater, di Al-Khalil (Hebron), arrestata il 26 ottobre e rilasciata nello scambio di prigionieri tra il governo israeliano e la Resistenza palestinese il 30 novembre.
Khater è stata imprigionata insieme a dieci prigioniere di Gaza, ed è testimone degli abusi a cui sono state sottoposte.
Arresto arbitrario
Khater racconta che le condizioni delle donne prigioniere di Gaza sono particolarmente difficili, a partire dalle modalità di rapimento, avvenuto nel nord della Striscia di Gaza.
“Sono state arrestate in modo casuale, soprattutto nel nord. I soldati israeliani hanno preso anche le madri, costringendole a lasciare i propri figli ai passanti”.
Khater spiega che, prima di arrivare alla prigione di Damon, le detenute sono state sottoposte a umilianti perquisizioni, e costrette a dormire sul pavimento senza coperte.
Sono state bendate, ammanettate e private del loro hijab,
Khater riferisce, inoltre, che sono rimasre rinchiuse in celle molto strette, nella prigione di Damon, senza permesso di parlare con le altre prigioniere provenienti dalla Cisgiordania occupata, e dai territori del 48.
“Tutte le prigioniere sono soggette a grandi restrizioni”, riferisce Khater, “ma le prigioniere di Gaza sono trattate decisamente peggio. Possono fare la doccia solo in grandi gruppi, almeno 50 donne, e per non più di 15 minuti ”.
Khater ha riferito che il 10 e 11 dicembre, cinque donne prigioniere di Gaza sono state portate fuori dalla prigione di Damon. La loro posizione attuale non è ancora nota.
Tra le prigioniere di Gaza, alcune versano in condizioni particolarmente difficili, per esempio racconta di una donna di 80 anni malata di Alzheimer, e di una donna incinta. Entrambe sono private di assistenza medica.
Tenute in gabbia
Il Palestine Chronicle ha parlato con l’avvocato palestinese Hassan al-Abadi, il quale ha raccolto diverse testimonianze di donne prigioniere a Damon.
Al-Abadi, che si era offerto volontario per visitare le detenute, ha presentato la prima richiesta all’amministrazione carceraria israeliana il 30 novembre, ma gli è stato risposto che non c’era più nessuna prigioniera nel carcere.
Pochi giorni dopo, i media hanno invece rivelato che dozzine di donne, provenienti da Gaza, Gerusalemme e Palestina del 48, erano ancora detenute lì.
Al-Abadi ha dichiarato al Palestine Chronicle che nella struttura ci sono più di 40 prigioniere di Gaza, ma che non possono incontrare un avvocato.
“Quando faccio visita a una prigioniera della Cisgiordania o di Gerusalemme, mi raccontano delle condizioni di detenzione delle prigioniere catturate a Gaza”.
Al-Abadi ci ha riferito di di essere rimasto particolarmente turbato dalle modalità con cui le forze israeliane hanno trasportato le detenute da Gaza alla prigione.
Secondo l’avvocato, sono state caricate su camion che trasportavano gabbie solitamente utilizzate per gli animali.
“Questo dettaglio mi ha particolarmente ferito: le donne sono state buttate su camion per animali. Sono state legate, bendate e private del loro velo, solo per umiliarle”, ha detto al-Abadi.
Sporche di sangue
L’avvocato ha, inoltre, riferito che le detenute, quando sono giunte nel carcere, avevano i vestiti macchiati di sangue. La maggior parte di loro sanguinava anche dalle mani, a causa della pressione delle catene legate attorno ai polsi da giorni.
Al loro arrivo sono state distribuite in tre stanze, ciascuna contenente sei letti di ferro, e la maggior parte di loro è stata costretta a dormire sul pavimento, senza cuscini o materassi.
“Le prigioniere mi hanno detto che il cibo è pessimo e che le guardie israeliane lo lasciano deliberatamente sulla porta delle celle per ore, finché non diventa freddo, e che l’acqua ha sapore di ruggine”, ha detto Al-Abadi.
“Alle detenute di Gaza è addirittura vietato parlare con il resto delle prigioniere, devono comunicare in segreto”.
Al-Abadi ha raccontato che una delle donne ha dovuto lasciare i suoi quattro figli a Gaza. Il maggiore di otto anni, il più piccolo neonato.
Stavano camminando in via Salah Al-Din, per fuggire dal nord della Striscia, quando i soldati israeliani l’hanno arrestata.
“Quando ha capito che la avrebbero arrestata, ha consegnato i suoi figli a un ragazzo che passava, e gli ha chiesto di prendersi cura di loro”, ha detto al-Abadi.
“Ho saputo che ogni giorno chiedeva dei suoi figli, che piangeva inconsolabile, ma nessuno la ha aggiornata sulla loro sorte”.
Pochi giorni fa, al-Abadi è riuscito a consegnare un messaggio verbale alla donna, riferendole che i figli hanno finalmente raggiunto il padre.
“Questa volta ha pianto di gioia”.
Angoscia infinita
Secondo al-Abadi, le donne non soffrono soltanto a causa delle condizioni estremamente crudeli di detenzione, ma per la costante preoccupazione riguardo le loro famiglie.
Non sanno nulla dei loro figli, mentre Israele continua a bombardare incessantemente Gaza.
“Non sono autorizzate ad ascoltare le notizie o seguire in qualche modo ciò che sta accadendo. Sono isolate dal mondo esterno e non sanno nulla”, ha spiegato al-Abadi.
Ma esistono altre gravi violazioni da parte delle autorità israeliane. Al-Abadi ci ha detto che l’amministrazione penitenziaria impedisce alle donne di utilizzare assorbenti.
Durante il ciclo mestruale sono costrette a lavare i vestiti ogni giorno e indossarli bagnati, perchè l’amministrazione non fornisce indumenti aggiuntivi. Hanno solo quel che indossavano al momento dell’arresto.
Israele considera uomini e donne catturati nella Striscia di Gaza come prigionieri di guerra, ai sensi della cosiddetta legge sui “combattenti illegali”.
Pertanto, è a loro impedito di avere contatti con avvocati e istituzioni per i diritti umani.
Traduzione di Cecilia Parodi. Leggi l’articolo in inglese qui.
Foto di Hasan Almasi