L’attuale sensazione del team GEAB di «non sapere più dove sbattere la testa» per continuare a fornire un’immagine coerente e completa della crisi di fronte all’accumularsi di indicatori di trasformazione probabilmente non è niente a confronto di quello che provano i dirigenti e i loro consiglieri. È questa constatazione di perdita di controllo del corso degli eventi che probabilmente caratterizzano la leadership occidentale nel 2016 a rendere tanto preoccupante e difficilmente prevedibile quello che succederà nel corso dell’anno. In generale, si ha la sensazione che ci si sta avvicinando all’epilogo di dieci anni di cambiamento di paradigma, ma il senso di panico che sembra porre le premesse per un vero e proprio cambiamento tra i dirigenti, in particolare occidentali, obbliga ancora una volta a chiedersi che forma prenderà questo epilogo.
Nel momento in cui il mondo sul quale verteva il sistema di governance di una volta sta per scomparire ma il sistema di governance stesso è ancora «al comando», ci si dovrebbe preoccupare. I dirigenti che si trovano di fronte a sfide che vanno ben al di là delle loro capacità concettuali e strumentali e che non hanno altra scelta tra «soluzioni drastiche», prenderanno inevitabilmente cattive decisioni, alcune a non produrre alcun effetto, altre, al contrario, effetti drammatici. È però soprattutto l’imprevedibilità di tali decisioni che oscura il futuro di tutti noi e rafforza ancor più il senso di panico. Questa caratteristica è una tendenza forte del 2016, una di quelle che giustifica, d’altronde, il famoso «ripiegamento strategico» che il nostro team ha individuato come la nota dominante dell’anno.
Nel presente articolo introduttivo a questo numero del GEAB, ci accontentiamo di elencare una serie di fatti scatenanti del crescente stato di panico che ci preoccupa e di tendenze che, secondo il nostro team, lo aggraveranno ancora di più.
Alcuni preoccupanti indicatori di panico tra le élite occidentali [1]
Teorici del complotto nel cuore della NATO
Cominciamo dall’incredibile dichiarazione di un alto responsabile americano della NATO il quale ha affermato che «la Russia e la Siria armano gli immigrati per nuocere all’Europa» [2] o di un esperto in comunicazione della stessa NATO il quale sottolinea come «Putin usi la crisi di immigrati per rovesciare la Merkel» [3]. Da tanti anni, questo tipo di discorso, quando applicato agli Stati, si è visto assegnare la bella etichetta di «teoria del complotto» tagliando l’erba sotto i piedi ai più legittimi interrogativi «fuori dagli schemi». Eppure, il centro del centro del pensiero ufficiale si dispiega nelle ipotesi più paranoiche sulle manovre occulte di reti russo-sciite che mirano a destabilizzare l’Europa. Queste dichiarazioni sono talmente sorprendenti che il nostro team le ha affibbiate agli Stati Uniti [4] [4],alla Turchia [5], all’Arabia Saudita [6], ecc. I nostri lettori sanno bene che a volte siamo tentati a prestare attenzione a queste teorie. Questa volta però la concatenazione dei fatti a partire dallo scoppio della guerra in Siria, la disastrosa gestione della crisi da parte delle potenze straniere occidentali, l’irruzione di un esercito di fanatici religiosi nel caos generale, i bombardamenti (alleati prima di tutto), tutto questo basta e avanza a spiegare il fenomeno, secondo il principio del rasoio di Occam secondo il quale «a parità di fattori la spiegazione più semplice è da preferire» [7].
Di conseguenza, se i generali della NATO, dall’alto di quella ritenuta essere l’istituzione militare più potente al mondo, si lasciano andare pubblicamente a tali congetture, vuol dire che non hanno più alcun controllo. E il fatto è che l’intervento della Russia nel gioco medio-orientale rappresenta un cambiamento storico veramente considerevole, rimettendo in discussione una volte per tutte la supremazia della NATO nel mantenere la «pax americana» all’interno e lungo l’asse transatlantico. In realtà, la NATO, che ha fallito nella propria trasformazione dopo la caduta del muro [8], si trova oggi di fronte alle ultime tappe di una profonda crisi esistenziale: non riuscire a sopravvivere o non riuscire a mantenere la pace. Gli europei vogliono trasformarla in Europa della difesa e, nel contempo, non vogliono più finanziarla [9]; gli Stati Uniti si pongono dei problemi su una loro partecipazione [10]; la Turchia la spinge a combattere insieme all’Arabia Saudita [11]; e lo Stato maggiore passa il tempo a porre le premesse per una escalation di tensioni euro-russa; la Merkel, dal canto suo, propone un’operazione di salvataggio nel mar Egeo nel lodevole scopo di distoglierla dalla piccola schermaglia con i russi [12].
Il declino della NATO fa quindi parte delle ipotesi che fa rimanere di sasso i nostri dirigenti, perché se hanno la responsabilità di contribuire all’adattamento del sistema da cui provengono, non va dimenticato che lavorano anche per preservare questo sistema. Riformare la NATO sarebbe il loro più grande successo. Di contro, vederla scomparire corrisponderebbe sicuramente ad un’angoscia esistenziale per qualsiasi membro dell’elite occidentale. Bisogna essere un politico di primissimo piano per accettare la morte di un’organizzazione simbolicamente centrale come la NATO, soprattutto nel contesto dell’instabilità attuale. Per i responsabili della NATO, ma probabilmente anche per una parte dei dirigenti europei, il panico è quindi ovvio.
Caldo-freddo decisionale sulla crisi di immigrati
In materia di gestione futura della crisi di rifugiati, l’incoerenza delle decisioni prese in occasione dell’ultimo vertice UE-Turchia è impressionante: da un lato, sembra essere stata trovata una soluzione (che sia la Turchia, piuttosto che la Grecia, a svolgere il ruolo di area di transito verso l’Europa e che l’Unione sia in grado di gestire i flussi in modo organizzato) [13]); dall’altro, però, questa soluzione può essere messa in pratica in cambio di promesse di visti gratuiti per i turchi e di promesse di integrazione europea che annullino all’istante il carattere rassicurante del primo punto rispetto alla crisi di paura di identità degli europei [14]: la Turchia mantiene i suoi 2,3 milioni di rifugiati… ma ai 75 milioni di turchi si aggiungono gli oltre 2,3 milioni di rifugiati nell’Unione…
L’accordo, che sembra essere stato raggiunto tra Merkel (DE), Davutoglu (TR) e Rutte (NL) e aver messo da parte i rappresentanti europei Juncker e Tusk, deve ancora essere confermato nel prossimo Consiglio dell’Unione il 17 marzo. Il malcontento che genererà nell’opinione pubblica rischia di focalizzarsi ancora una volta sull’Unione mentre sono alcuni dirigenti nazionali che da anni prendono le decisioni mentre gli altri si chiamano fuori [15].
Questo tipo di accordo, che sta facendo arrabbiare tutti, (compresi i Turchi, di cui molti devono rendersi conto che questa nuova speranza di integrazione sarà probabilmente una delusione come le altre) mostra come la situazione da gestire sia intricata e impossibile da gestire facilmente. E nel momento in cui i dirigenti non riescono a trovare soluzioni migliori su problemi concreti e urgenti, c’è da scommettere che entrano nel panico.
Ora, sembrerebbe che anche i «ministri delle finanze» del pianeta abbiano adottato questo modo di fare poco efficace…
Le banche centrali occidentali hanno perso terreno
In questa sede è opportuno confrontare l’importanza accordata appena otto anni fa alle dichiarazioni sibilline di Ben Bernanke ,la cui esegesi dettava la propria legge ai mercati [16], a quella che i mercati danno ad eventi tanto importanti quanto il primo aumento, dopo dieci anni, dei tassi di interesse da parte di Janet Yellen qualche mese fa [17], o ancora, più recentemente, l’annuncio di Mario Draghi su un nuovo significativo aumento del QE europeo [18]. Non solo queste grandi decisioni non hanno prodotto l’effetto desiderato sui mercati, che ormai prendono in considerazione molti altri parametri nelle loro strategie, ma, nel caso della BCE, la decisione è oggetto di aspre critiche da parte del cuore del sistema nel quale si iscrive: tanto per cominciare media finanziari e tedeschi [19].
Rispetto però al periodo in cui un uomo poteva fare il buono e il cattivo tempo sulla finanza mondiale e al sentimento di fiducia e di potenza che conferiva a quest’uomo e al sistema che incarnava, oggi la vita è molto più complicata per questi personaggi, che si credono sempre centrali ma le cui bacchette magiche producono sempre meno effetti. E si scatena il panico…
« Firmare il TTIP prima che lasci Obama »
Il commissario europeo Cecilia Malmstroem auspica che il TTIP venga firmato prima che lasci Obama [20]. L’unica spiegazione di tale premura è che tutti sanno che, tenendo conto dell’impopolarità del TTIP nell’opinione pubblica nell’era dello stimatissimo Obama, dopo quest’ultimo l’accordo non avrà più alcun valore. Clinton non avrà mai un’immagine tanto buona quanto quella di Obama, per non parlare di Trump. I « fanatici del TTIP », che percorrono in lungo e in largo i corridoi di Bruxelles, sanno quindi che questo è l’anno dell’ultima possibilità. Poi potranno tirare le somme sulle centinaia di migliaia di ore e di euro spesi in questo progetto. Allora forse avranno l’ultima opportunità… ma senza crederci troppo fin da ora.
È però alquanto sconcertante affermare che i responsabili della Commissione europea, i quali si presume debbano servire l’interesse pubblico europeo, sono pronti a forzare un accordo di libero scambio con un paese di cui evidentemente sanno (poiché anticipano che le opinioni non vorrebbero il benché minimo partenariato con gli Stati Uniti) che rischia di partire con divergenze politiche particolarmente gravi. Anche qui, da questo tipo di informazioni nasce un senso di panico delle nostre elite, le quali tentano in ogni modo di perseguire gli obiettivi di un sistema moribondo a costo di ogni razionalità o pertinenza [21].
Sfide cruciali che vanno ben al di là del raggio di azione di queste élite occidentali
Concentriamoci adesso su una serie di tendenze che rivelano la dimensione, del tutto fuori dalla portata dei nostri dirigenti, delle sfide che intravedono.
Crescita esponenziale del progresso
Più avanti vedremo le grandi sfide umane legate alla prossima rivoluzione tecnologica, quella dell’intelligenza artificiale e della robotizzazione. Di chi a cui la rivoluzione Internet ha dato l’impressione di un’accelerazione del ritmo di trasformazione sociale si dice che non si è visto niente a confronto di quello che si sta profilando con l’arrivo dell’intelligenza artificiale, la quale aumenterà in modo esponenziale la velocità del progresso e del cambiamento sociale. Le strutture nazionali o anche sovranazionali ufficialmente incaricate di preparare e inquadrare tali rivoluzioni non sono chiaramente all’altezza delle sfide che si preannunciano. Chi o cosa lo sarà? Futuro incerto.
Cyber-criminalità in costante evoluzione
Negli ultimi tempi, un virus informatico chiamato « ransomware » sta facendo strage in tutto il pianeta criptando i dati e chiedendo un riscatto per decriptarli. Questa enorme operazione di hold-up ha già bloccato ospedali [22], municipi [23], aziende e privati… Non è che un esempio delle « innovazioni » che si aspettano continuamente le forze di polizia. Il livello nazionale presenta ancora la minima pertinenza? Dal loro livello nazionale, i politici e i media come potrebbero anche solo porre questo tipo di problematica sotto una buona prospettiva di risoluzione? Per far questo dovrebbero lasciare le redini, riconoscere i propri limiti, anteporre la necessità dell’interconnessione… in breve tradire quello in cui credono di più – far credere che sono il vertice della piramide – e riconoscere che esistono ormai migliaia, milioni di piramidi che devono lavorare insieme per risolvere i problemi sorti dalla messa in rete della società.
Le banche hanno una particolare familiarità con questi problemi di cyber-criminalità, i quali le riempiono di somme enormi per aggiornare costantemente i livelli di sicurezza dei propri sistemi informatici. E anche qui ad essere « panicogeno » è il fatto che queste somme da destinare alla cyber-sicurezza presentano inoltre caratteristiche esponenziali… e quindi di incontrollabilità [24] che annebbiano la visibilità sul futuro.
Invecchiamento del parco nucleare
In questo numero vedremo inoltre le grandi sfide in termini di pericolo per il pianeta legate alla manutenzione e allo smantellamento delle centrali nucleari in Occidente, nonché il fatto che né le imprese pubbliche o private che le hanno costruite né gli Stati che le ospitano sono in grado di svolgere bene questo compito così vitale. Gli organismi europei e internazionali che potrebbero occuparsene non esistono ancora e gli attuali conflitti tra le relazioni europee e internazionali non pongono le basi per farle emergere. Eppure questi rischi riguardano in primo luogo gli Stati che ne hanno creato le condizioni ma non sono in grado di appianare le conseguenze delle decisioni passate. Per i nostri dirigenti un altro buon motivo per farsi prendere dal panico.
E naturalmente multipolarizzazione globale…
La multipolarizzazione globale è un’altra tendenza che i nostri lettori conoscono bene e che rimette in discussione tutto il modus operandi e la concezione del mondo delle élite occidentali che si agitano in un ambiente che non hanno conosciuto a scuola. In dieci anni di trasformazione della configurazione globale, gli Stati Uniti non sono più che una potenza come tutte le altre, il petrodollaro è morto, la Russia è un attore di primo piano in Medio Oriente, l’Iran vende petrolio in euro, la City deve integrarsi a una rete mondiale di piazze finanziarie mondiali di uguali dimensioni, le maggiori aziende del BTP sono cinesi, il FMI si augura di cooperare con l’AIIB cinese e la NDB BRICS [25]… Ma soprattutto, soprattutto, ciascuno di noi ha la vaga sensazione che quello che viene imparato a scuola non basti più a lungo termine. È l’adattabilità e non la stabilità ad essere la virtù cardinale dei sistemi di governance del XXI secolo. Gli uomini e le strutture ufficialmente ancora al comando non sono stati preparati a tutto questo. Hanno tutti i motivi per entrare nel panico e con loro i cittadini…[26]
La combinazione di tanti punti interrogativi sulla capacità dei sistemi di governance pubblici e privati di controllare le proprie trasformazioni e di accompagnare i propri seguaci verso un futuro radioso rappresenta un enorme punto interrogativo collettivo di dimensione globale che è una caratteristica da tenere attualmente in considerazione in qualsiasi lavoro di anticipazione negli anni a venire… Per saperne di più, iscriviti
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[1] Pur avendo scelto di limitare alle elite occidentali il senso di panico che tanto ci preoccupa, è chiaro che, anche se sono più compatibili con il XXI secolo, anche le potenze emergenti sono esposte.
[21] Nello stesso ordine di idee, la missione apparentemente unica di Mario Draghi di garantire quanto più possibile il 2% di inflazione nella zona euro è un indicatore dell’ormai totale assurdità con la quale evolvono i nostri decisori: ci sarebbero tanti altri obiettivi da perseguire nell’attuale contesto di profonda trasformazione sistemica.
[24] Sulle sfide della cyber-sicurezza per le banche nel 2016:
[26] Ces quatre exemples n’épuisent bien évidemment pas le sujet : flux migratoires hors de contrôle, guerres informelles contre le terrorisme, enjeux environnementaux en général,… sont les plus connus de ces défis vitaux et hors de portée des outils à la disposition des systèmes de gouvernance actuels.