Il 23 luglio il membro dell’Ufficio politico del Comitato Centrale del PCC e Ministro degli Esteri Wang Yi ha preso parte alla cerimonia di chiusura dei colloqui di riconciliazione delle fazioni palestinesi che si è tenuta a Pechino. Al termine dei colloqui, i rappresentanti di 14 fazioni palestinesi (inclusi delegati di alto livello di Hamas e Al Fatah) hanno firmato la “Dichiarazione di Pechino” per porre fine alle divisioni e rafforzare l’unità nazionale palestinese. Sempre il 23 luglio il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba è arrivato a Pechino su invito del suo omologo cinese in quella che è la sua prima missione in Cina dall’avvio del conflitto, per discutere le possibilità concrete per la ricerca di una soluzione politica alla guerra in corso nell’est dell’Europa.
In rapida sequenza, i rappresentanti di due popoli coinvolti in guerre che stanno sconvolgendo non solo il loro futuro, ma gli stessi assetti internazionali, volano in Cina per discutere le condizioni della pace e per trovare una via diplomatica capace di far cessare il suono delle armi.
Tutto questo rappresenta un indubbio successo per la diplomazia cinese che è stata capace, dopo la riuscitissima mediazione dell’accordo tra Arabia Saudita ed Iran del marzo 2023, di creare le condizioni perché la soluzione politica e diplomatica dei conflitti in corso possa muovere dei concreti passi in avanti. In questi giorni, infatti, il premier israeliano Netanyahu è negli Stati Uniti e parlerà al Congresso. Sebbene Washington in tutti questi mesi non ha mosso un solo dito per fermare le violenze ai danni della popolazione palestinese per opera dell’esercito israeliano ed abbia più volte – incredibilmente – posto il veto all’Onu alle risoluzioni che chiedevano il cessate il fuoco, oggi ha un’occasione storica. L’Amministrazione americana, infatti, potrà godere dei risultati raggiunti con la firma della Dichiarazione di Pechino, spingendo sul suo alleato di ferro nella regione mediorientale affinché accetti il cessate il fuoco. O almeno: se solo lo vorrà, potrà farlo.
Proprio per questo l’iniziativa cinese è una vittoria della sua capacità diplomatica.
Nella Roma antica la locuzione che lasciava intendere la via per il raggiungimento della pace, includeva la preparazione alla guerra: «Si vis pacem, para bellum» (se vuoi la pace, prepara la guerra), oggi potremmo mutuare invece tale espressione in: «Si vis pacem, is Serica» (se vuoi la pace, vai in Cina).
I rappresentanti politici palestinesi hanno concordato di realizzare l’unità nazionale all’interno del quadro dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), riconosciuta come l’unico rappresentante legittimo del popolo palestinese. Un elemento cruciale della Dichiarazione è la sollecitazione ad organizzare una conferenza internazionale sotto gli auspici delle Nazioni Unite, con un ampio mandato e una partecipazione estesa sia a livello regionale che internazionale.
L’accordo ribadisce l’impegno a istituire uno Stato palestinese indipendente con Gerusalemme come capitale, basato sulle risoluzioni pertinenti delle Nazioni Unite, garantendo l’integrità del territorio palestinese, compresi Cisgiordania, Gerusalemme e Gaza. In questo contesto, i rappresentanti palestinesi hanno espresso la loro volontà di portare avanti la ricostruzione di Gaza e di preparare e tenere al più presto elezioni generali. La necessità di formare un nuovo Consiglio nazionale palestinese è un passo fondamentale. Furono infatti proprio le ultime elezioni legislative, tenute nel 2006, che portarono alla divisione profonda tra Hamas ed Al Fatah, che si è ripercossa nel corso di tutti questi tormentati anni. È molto importante il fatto che le anime della variegata società palestinese abbiano deciso di dare vita ad un quadro provvisorio di leadership unificata, che funzionerà a livello istituzionale e svolgerà congiuntamente il processo decisionale politico.
È stato poi il Ministro degli Esteri cinese Wang Yi a presentare un’iniziativa in tre fasi per affrontare il conflitto in corso a Gaza. La prima fase prevede il raggiungimento di un cessate il fuoco completo e duraturo e la garanzia di accesso agli aiuti umanitari. La seconda fase si concentra sulla governance postbellica di Gaza, basata sul principio “i palestinesi governano la Palestina”. La terza fase mira a fare della Palestina uno Stato membro a pieno titolo delle Nazioni Unite, avviando l’attuazione della soluzione dei due Stati. Questi tre passaggi, interconnessi e indispensabili, delineano un percorso verso una pace duratura e la stabilità nella regione.
La Dichiarazione di Pechino rappresenta un significativo progresso diplomatico, dimostrando il ruolo positivo della Cina nel sostenere la pace nella regione. Per quanto difficili (pensiamo solo a cosa voglia dire organizzare delle libere elezioni in un territorio sotto occupazione, nel quale non esiste continuità territoriale e con la Striscia di Gaza ridotta ad un cumulo di macerie), le tappe indicate dai colloqui delle fazioni palestinesi a Pechino, rappresentano concreti passi in direzione della pace.
La ritrovata centralità dell’OLP e la decisione di un’amministrazione congiunta tra Hamas e Fatah a Gaza, rimuove diversi ostacoli che impedivano il raggiungimento di un cessate il fuoco. Questa mossa innovativa, infatti, toglie a Netanyahu la scusa di non poter dare il via a negoziati perché ha “un’organizzazione terroristica” a capo di Gaza e, come dicevamo in premessa, facilita il lavoro dell’amministrazione Biden nel chiedere a Netanyahu di accettare il cessate il fuoco. Anche gli attori regionali che sono in contrasto con la Fratellanza Musulmana (a cui appartiene il movimento islamico di Hamas), come l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e l’Egitto, oggi non hanno più scuse e sono chiamati ad un maggiore impegno a favore della soluzione della crisi umanitaria a Gaza.
L’augurio è che oltre alla Dichiarazione di Pechino siglata tra le fazioni palestinesi si possa giungere in breve tempo anche alla firma di accordi che instradino la guerra ucraina dentro una soluzione politica duratura. Se alle latitudini del recente vertice Nato di Washington si sono alzati forti i venti di guerra, rafforzati anche delle continue dichiarazioni di molti rappresentanti europei, c’è un mondo che invece lavora per la pace e la distensione. Un mondo che sente Pechino come una delle sue capitali diplomatiche.
Si, è proprio il caso di affermare: «Si vis pacem, is Serica».
L’autore Francesco Maringiò è il presidente dell’Associazione italo-cinese per la promozione della Nuova Via della Seta
2024-07-24