di Gianni Barbacetto e Valeria Pacelli
Forti preoccupazioni nelle Procure italiane: potrebbe essere limitata e resa più macchinosa l’acquisizione dei tabulati telefonici da usare nelle indagini giudiziarie. I tabulati dicono chi telefona, a chi ha telefonato, quando, quante volte, quanto a lungo. Ma anche dove sono quelli che chiamano e quelli che rispondono, perché individuano le “celle” tra cui si svolgono le chiamate. “Sono un insostituibile strumento quotidiano di lavoro per le nostre inchieste”, spiega Laura Pedio, procuratore aggiunto a Milano. Ora a rischio.
Il 2 marzo 2021, infatti, si è pronunciata la Corte di giustizia europea, in risposta a un quesito sollevato a proposito di un processo avvenuto in Estonia. La sentenza della “Grande sezione” della Corte chiede che l’accesso del pubblico ministero ai tabulati sia subordinato all’autorizzazione di un giudice, di una “autorità pubblica indipendente”. Avviene già così per le intercettazioni telefoniche e ambientali, in cui deve essere il giudice per le indagini preliminari (gip) a firmare l’autorizzazione al pm per poter intercettare. Nei casi urgenti, il pm dispone l’intercettazione e poi il gip la convalida (o la sospende).
I tabulati, invece, finora sono acquisiti direttamente dai pm senza bisogno di alcuna autorizzazione. “Possiamo chiedere alle compagnie telefoniche i contatti degli ultimi due anni”, dice Pedio, “e anche più lontani nel tempo, in caso di indagini su reati di mafia e terrorismo”. Ora le Procure italiane s’interrogano su che cosa potrebbe succedere dopo la sentenza della Corte europea. In Parlamento c’è chi si è già mosso per introdurre limitazioni anche in Italia: un ordine del giorno presentato alla Camera da Enrico Costa (ex Forza Italia, oggi Azione) e firmato da Lucia Annibali (Italia Viva) e Riccardo Magi (Più Europa) propone di recepire quella sentenza rendendo obbligatorio, per l’impiego dei tabulati, il consenso del giudice.
Resta però aperta una questione preliminare: la sentenza chiede l’intervento di una “autorità pubblica indipendente” e il pm in Italia, a differenza che in Estonia e in altri Paesi europei, non è soggetto al potere esecutivo, ma fa parte dell’Ordine giudiziario; è dunque “autorità pubblica indipendente”. “Nel nostro ordinamento, il pubblico ministero è già indipendente, dunque quella sentenza potrebbe non valere per noi”, argomenta Pedio.
Lo aveva già dichiarato al Fatto il presidente dell’Associazione nazionale magistrati (Anm), Giuseppe Santalucia (ex capo dell’ufficio legislativo al ministero della Giustizia quando ministro era Andrea Orlando): l’Italia non avrebbe alcun bisogno di una nuova norma in proposito, perché da noi “la pubblica accusa, a differenza che in altri Paesi d’Europa, gode della garanzia e autonomia del pm italiano, che è un magistrato dell’Ordine giudiziario”. “Resta però il rischio”, continua Laura Pedio, “che qualche avvocato possa sollevare in aula eccezione di legittimità davanti alla Corte costituzionale, con il rischio di una pronuncia che sarebbe retroattiva e coinvolgerebbe anche i processi in corso”. Sarebbe un terremoto giudiziario.
Per evitare sorprese, la Procura di Milano ha già provato, per una sua inchiesta, a chiedere al gip l’autorizzazione all’acquisizione dei tabulati. La risposta del giudice è stata, in base alle norme vigenti, un secco “non luogo a provvedere”: non è – per ora – compito nostro, dice l’Ufficio del giudice dell’indagine preliminare. La questione è stata posta anche in un processo davanti alla quarta sezione penale del Tribunale di Milano: i giudici hanno respinto l’istanza e tenuto nel loro fascicolo i tabulati, perché erano stati comunque acquisiti prima della sentenza europea.
E per il futuro? Restano le incertezze e le preoccupazioni. Tanto che i pm della Procura di Roma si stanno riunendo proprio in questi giorni per discutere la questione. Nella capitale indicano come problema vero quello dei reati per cui sarà possibile chiedere l’autorizzazione al gip ad acquisire i tabulati. Nella sentenza europea si fa cenno a “ragionevoli sospetti di gravi reati”. Ma quali sono i “ragionevoli sospetti” – si chiedono i magistrati capitolini – e quali i “gravi reati”? Per gravi reati si potrebbe intendere quelli che prevedono la possibilità di intercettare: ma questo escluderebbe reati come il traffico di influenze, per dimostrare il quale i tabulati sono invece essenziali. Ecco dunque la preoccupazione che una serie di indagini possano cominciare a saltare.
In questa situazione d’incertezza, il procuratore di Napoli, Gianni Melillo, non è contrario a una regolazione per legge della questione, anche perché altrimenti perdurerebbe un grave stato di dubbio, con il rischio di poter arrivare a mettere in discussione tutti i processi, anche passati, in cui siano stati usati come fonte di prova i tabulati acquisiti senza l’autorizzazione di un giudice. Una legge metterebbe al sicuro almeno i procedimenti del passato.
Da Milano, Laura Pedio ritiene che sarebbe comunque “una iattura la necessità di chiedere l’autorizzazione al gip: allungherebbe i tempi e ridurrebbe la possibilità di fare indagini”. Suggeriscono una soluzione sia il presidente dell’Anm Santalucia, sia altri magistrati delle Procure italiane: “Le indagini dovrebbero essere protette da una eventuale norma, simile a quella che vale per le intercettazioni, che renda possibile l’intervento d’urgenza del pm, poi eventualmente sottoposto alla convalida del giudice”.
Gaetano Paci, procuratore aggiunto di Reggio Calabria, aveva spiegato al Fatto nei giorni scorsi che la sentenza della Corte di giustizia amplia la sfera di riservatezza della persona da garantire con un provvedimento del giudice: non solo i contenuti, ma anche i dati estrinseci (tempo, luogo, circuito…) dovrebbero essere protetti e garantiti dall’intervento di un giudice. Anche per lui, la soluzione potrebbe essere quella già in uso per le intercettazioni: decisione d’urgenza del pm e successiva convalida del gip.
10 aprile 2021