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Trump sceglie Vance per suo vice: un clone e erede al movimento trumpiano?
Domenico Maceri
Nel 2016 J. D. Vance inviò un messaggio a un amico in cui asseriva che Donald Trump potrebbe divenire “l’Hitler dell’America” e che le sue proposte politiche “oscillano dall’immorale all’assurdo”. Vance in altre occasioni paragonò Trump a “eroina culturale”, uno “str….o” e completamente inadeguato alla presidenza Usa. Dal 2016 però le cose sono cambiate in modo tale che Trump ha scelto Vance come suo vice alla sua candidatura per la presidenza degli Usa.
L’ex presidente non dimentica i cosiddetti “odiatori di Trump” e quando incontrò Vance per la prima volta nel 2021 a Mar-a-Lago usò parole poco dolci mostrandogli un mucchio di documenti che contenevano le poco diplomatiche descrizioni. Vance era a quel tempo candidato a un seggio al Senato ed era venuto in Florida per chiedere l’endorsement di Trump che gli sarebbe stato utilissimo nelle primarie repubblicane. Vance riuscì alla fine a ingraziarsi con Trump ottenendo l’endorsement e vincendo le primarie in Ohio con il 32% dei consensi, sconfiggendo di poco i suoi avversari, e poi all’elezione del 2022 ebbe la meglio sul suo avversario democratico Tim Ryan (53% Vs. 47%).
La trasformazione da “Never Trump” a grandissimo sostenitore e eventualmente vice e probabilmente erede del movimento di Trump è stata messa in atto in maniera completamente razionale. Vance capì che se voleva avere un futuro politico l’ex presidente rappresentava la strada giusta. Decise dunque di rifarsi una nuova figura politica divenendo il più indomabile e accanito sostenitore di Trump. In interviste televisive ha difeso l’ex presidente, ripetendo la “big lie” (grande menzogna) della frode elettorale nell’elezione del 2020, asserendo che al posto di Mike Pence, non avrebbe certificato l’elezione di Biden.
Vance è riuscito nella sua trasformazione in parte grazie all’amicizia sviluppata con il figlio di Trump, Donald Junior, ma beneficiando anche del sostegno del miliardario Peter Thiel il quale ha speso più di 10 milioni di dollari per aiutarlo a vincere il seggio al Senato. Vance ha capito che per un futuro politico bisognava abbracciare il trumpismo che lui ha fatto in maniera completa. Le sue posizioni attuali infatti coincidono con quelle del suo nuovo capo: l’invasione di migranti dal confine sud, i migranti come criminali, l’opposizione all’aborto (eccetto, sembrerebbe in caso di pericolo di morte alla madre), il rifiuto di fondi all’Ucraina (non gli importa nulla di cosa succede lì, in un’intervista). Ciò che però lo ha fatto prevalere sugli altri considerati possibili “papabili”—Marco Rubio (senatore, Florida) Doug Burgum (governatore, North Dakota), e Tim Scott (senatore, North Carolina) è stata la sua capacità di interpretare il suo ruolo in interviste che Trump guarda con attenzione.
La scelta di Vance non è tradizionale e differisce notevolmente da quella di Pence nel 2016. Pence era un politico dell’establishment la cui scelta doveva rassicurare gli evangelici che in quell’elezione avevano dubbi su Trump per i suoi comportamenti poco tradizionali nei suoi rapporti con le donne. La scelta di Pence si rivelò “sbagliata” per Trump poiché il suo vice, fu fedelissimo per tutti i quattro anni di mandato eccetto alla fine. Pence, come si sa, si rifiutò di usare il suo ruolo cerimoniale al Senato per rigettare la certificazione dell’elezione di Biden come insisteva Trump. Si ricordano facilmente le pressioni di Trump che dopo il discorso a Washington scatenò gli assalti al Campidoglio il 6 gennaio mettendo in serio pericolo la vita dei parlamentari e senatori riuniti per la certificazione. I sostenitori di Trump, avendo saputo da un tweet di Trump che Pence non avrebbe ribaltato l’esito elettorale, si riversarono nelle aule del Campidoglio con grida di “impiccare Pence”. Le guardie del corpo protessero Pence ma gli assalitori in un certo momento furono a dieci metri di distanza mettendo in pericolo la vita dell’allora vicepresidente. Vance ha dichiarato che se fosse stato lui il vicepresidente non avrebbe seguito l’esempio di Pence e si sarebbe rifiutato di certificare l’elezione. In sintesi, Vance è riuscito a immedesimarsi in Trump, che per un narcisista come l’ex presidente, rappresenta l’ideale.
Considerando il fatto che Vance non contribuisca nulla né dal punto di bilanciare il ticket geograficamente o ideologicamente Trump avrà concluso di essere quasi certo di una vittoria a novembre. I sondaggi gli darebbero ragione. Nate Silver, il creatore del blog FiveThirtyEight, specialista di statistiche, darebbe solo il 30 percento possibilità di vittoria a Biden a novembre. La leadership democratica è ovviamente preoccupata. Secondo ultimissime notizie l’ex presidente Barack Obama avrebbe espresso preoccupazioni che il suo vice per otto anni ce la potrà fare. Anche Nancy Pelosi, la potente ex speaker democratica, sarebbe preoccupatissima. E Chuck Schumer, senatore di New York l’attuale presidente del Senato, avrebbe espresso le sue preoccupazioni a Biden che una sconfitta presidenziale trascinerebbe verso il basso i candidati democratici in ambedue le Camere. Biden al momento si trova in auto isolamento poiché ha contratto il covid. Un’altra tegola che riduce le sue speranze.
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Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della National Association of Hispanic Publications.
Foto di Jakob Owens