Sapere di non sapere: questo il pensiero di Socrate che ci è stato insegnato al liceo sulla base delle interpretazioni che ne sono state proposte dai grandi filosofi greci che gli sono succeduti. Un grande messaggio di ricerca della conoscenza, un incoraggiamento alla scoperta, uno stimolo alla riflessione che sta alla base (o forse è meglio dire stava) della filosofia greca, culla di quella cultura europea e occidentale in cui stentiamo a riconoscerci.
Oggi alla filosofia si preferisce la matematica, molto più adatta a supportare le scelte economiche, sociali e (dis)umanitarie perseguite dall’Unione Europea.
Le prime privilegiano gli interessi dei grandi poteri economici, soprattutto finanziari.
Le seconde stanno trasformando salute, istruzione, pensioni e servizi sociali in accondiscendenti e sempre più limitate concessioni.
Ma le terze sono lo specchio del completo smarrimento di una classe politica che le persone in carne e ossa non riesce proprio a vederle più. E che si arroga il diritto di negare una via di fuga a una donna che sfugge alla devastazione del suo paese provocata di certo non solo da spontanei conflitti interni, ma anche dal confronto tra interessi geo-politici esterni ai suoi confini.
E l’accordo stretto ieri tra i leader di governo europei e l’omologo turco è solo un esempio, forse il più spudorato, di un indirizzo in realtà pressoché costante dall’inizio del processo di costituzione comunitaria ad oggi.
Quello della difesa della Fortezza Europa a tutti i costi. Con la novità che se sino a ieri la distinzione e il diverso trattamento riservato ai migranti economici e richiedenti asilo aveva permesso di occultare meglio la vera natura delle politiche adottate, con l’inizio della crisi umanitaria che ha portato solo nello scorso anno più di un milione di profughi in Europa, il velo di ipocrisia è caduto in modo definitivo. L’accordo cancella nei fatti anche quell’ultimo argine alle politiche del rifiuto che era rimasto.
La Commissione, diversamente dal Consiglio Europeo, non usa giri di parole. “Un programma di reinsediamento 1:1. Per ogni Siriano rimpatriato dalle isole greche, un altro sarà reinsediato nell’UE direttamente dalla Turchia. Perché il programma possa funzionare è necessario che gli Stati membri mettano a disposizione un numero sufficiente di posti di reinsediamento. Gli impegni esistenti utilizzati a tal fine comprenderanno i 18 000 posti rimanenti sui 22 504 posti del programma di reinsediamento dell’UE concordato nel luglio 2015; all’occorrenza, si dovrebbe valutare anche la possibilità di utilizzare i 54 000 posti non assegnati nell’ambito delle decisioni di ricollocazione vigenti.”
Questo uno dei “Sei principi per sviluppare ulteriormente la cooperazione UE-Turchia nella gestione della crisi migratoria” indicati in una Comunicazione che commenta la bozza di accordo tra Unione e Turchia, poi limata e firmata il 18 marzo.
1:1 scrive la Commissione, utilizzando il linguaggio della matematica che risponde perfettamente alla logica cinica, ottusa e meschina che ha ispirato tanto il governo Turco quanto i governi europei nel finto tentativo di fermare gli arrivi dei profughi siriani in Europa.
Finto, ipocrita, inutile ma soprattutto disumano: perché esporrà le migliaia di donne, uomini e bambini siriani ad altre sofferenze e al rischio di morire sempre nel Mediterraneo, magari un po’ più a Ovest o a Sud. E creerà l’ennesima “emergenza”: la ripresa delle rotte nel Mediterraneo centrale che, tra parentesi, torneranno a fare pressione sull’Italia. Cosa farà l’Unione Europea? Stringerà un altro “accordo” con la Libia simile a quello turco? Con quale delle parti libiche in conflitto? Finanzierà, come ha già fatto l’Italia in passato, centri di detenzione e identificazione in un paese che il diritto di asilo non sa e non ha mai saputo cosa sia?
Per garantire che da domani il rimpatrio dei migranti “irregolari” siriani in Turchia diventi esecutivo, in fretta e furia 4mila “esperti” verranno inviati nelle isole greche per intervenire negli hot spot e procedere alla identificazione delle persone (anche forzata) e all’analisi “una ad una” delle domande di asilo.
Una ad una. Sappiamo bene come funziona. Rispondere sì a una domanda tipo “vuoi lavorare in Europa?” sarà sufficiente a determinare lo status di “persona non bisognosa di protezione”. E’ ciò che sta succedendo già da tempo nel nostro paese facendo impennare la percentuale di dinieghi delle domande di asilo.
Voi cosa rispondereste?
Grazia Naletto