di: Andrea Cinquegrani
20 anni da quel tragico 11 settembre.
Il capo della Casa Bianca, Joe Biden, promette di rendere pubblici atti & documenti fino ad oggi top secret. “Desecreto tutto”, sbandiera.
Altro fumo negli occhi degli americani, dopo i freschissimi, tragici scivoloni sul fronte dell’Afghanistan e su quello dei vaccini, per far approvare in modo illegale dalla ‘Food and Drug Administration’ il prodotto Pfizer e con il diktat per la terza dose.
Perché la verità sull’attentato alle Torri Gemelle e i 3000 morti è già consegnata alla storia ed è ben nota, non solo agli americani. Ma è stata regolarmente nascosta dal mainstream, dalla stampa sempre più omologata e cloroformizzata.
Una verità che parla di precise, chiare, inequivocabili responsabilità dei servizi segreti e d’intelligence a stelle e strisce, FBI e CIA in cima alla lista: le cui azioni, di tutta evidenza, erano orchestrate nelle alte sfere, vale a dire la Casa Bianca e il Pentagono.
Le prime verità risalgono ai risultati del lavoro svolto dalla ‘Commissione nazionale sugli attacchi terroristici dell’11 settembre’, nota anche come ‘Commissione sull’11 settembre’, venuti alla luce il 27 maggio 2004.
Sul fronte italiano, spicca il grande lavoro investigativo svolto da Giulietto Chiesa e da Ferdinando Imposimato, due grandi amici della ‘Voce’, due colonne che hanno firmato per il nostro magazine decine e decine di inchieste al calor bianco: ed anche sui misteri (ormai non più tanto) che avvolgono le Twin Towers.
Procediamo con ordine. E partiamo dagli esiti della ‘Commissione 11 settembre’.
ALTE COMPLICITA’
Una Commissione perfettamente bypartizan, composta da 5 democratici e 5 repubblicani, presieduta dal repubblicano Thomas Kean (all’epoca governatore del New Jersey), vicepresieduta dal democratico (allora in rappresentanza dell’Indiana) Lee Hamilton. In realtà, a dirigere la Commissione era stato chiamato addirittura l’ex segretario di Stato Henry Kissinger, il quale dopo poche settimane si dimise per palese conflitto d’interessi: quel Kissinger che più di vent’anni prima aveva diretto la ‘non liberazione’ di Aldo Moro, come proprio Ferdinando Imposimato e Sandro Provvisionato hanno documentato nel loro mitico “Doveva Morire”.
Un lavoro investigativo – quello della Commissione a stelle e strisce – andato avanti a singhiozzo, tra mille ostacoli ed intralci e soprattutto una scarsissima collaborazione da parte delle istituzioni, proprio quelle istituzioni che, invece, avrebbero dovuto collaborare al massimo ed esigere verità e giustizia. Tra insabbiamenti e depistaggi va avanti il lavoro, che comunque, alla fine, qualche risultato lo produce: in soldoni, l’imputato numero uno è l’Arabia Saudita, che avrebbe favorito in tutti i modi i terroristi, sia sotto il profilo organizzativo che, soprattutto, finanziario.
Ma saranno, un paio d’anni dopo (nel 2006), gli stessi vertici della Commissione, Kean ed Hamilton, a spiegare come andarono realmente le cose in un libro-verità, regolarmente oscurato dal sempre servizievole mainstream: si tratta di “Senza precedenti: la storia interna della Commissione sull’11 settembre”.
UN LIBRO CHOC
In quel libro choc, infatti, senza peli sulla lingua i due commissari (rammentiamolo, uno repubblicano e uno democratico) sostengono che quella Commissione venne “costituita per fallire”, cioè per nascondere la verità. Per pagine e pagine i due coraggiosi commissari descrivono per filo e per segno il profondo senso di frustrazione provato di fronte alle ripetute e fuorvianti dichiarazioni, palesemente errate, rilasciate dai funzionari del Pentagono e della ‘Federal Aviation Administration’, proprio ai fini di un depistaggio in piena regola.
La conclusione che traggono non lascia spazio ai dubbi: le defaillances della Central Investigation Agency (CIA) e del Federal Bureau of Investigation (FBI) degli Usa hanno permesso il verificarsi degli attacchi terroristici. Attacchi che si sarebbero potuti agevolmente evitare se solo le due agenzie avessero operato in modo appena più efficace e consapevole.
Motivo per cui è facile dedurre che non si sia trattato di superficialità e pressapochismo, visto l’elevato standard di efficienza sempre palesato dai due apparati investigativi, noti in tutto mondo, da sempre: ma si sia trattato, invece, di complicità & collusione. Il tutto, of course, con l’ok, anzi la benedizione del Pentagono e della Casa Bianca, il cui vertice era all’epoca rappresentato da George Bush junior, il rampollo di George Bush senior.
Uno dei principali depistatori, nel quadro di questa raccapricciante sceneggiata che ha causato 3.000 vittime (senza contare i devastanti effetti collaterali seguenti, come le invasioni di Iraq e Afghanistan), è stato l’allora capo della CIA, George Tenet, il cui comportamento, come vedremo in seguito, è stato segnalato da Imposimato nella sua relazione sull’11 settembre redatta per il Tribunale dell’Aja per i crimini contro l’umanità.
CIA, A TUTTO DEPISTAGGIO
Ecco il report di un sito di controinformazione, all’epoca dei lavori della Commissione: “Il direttore della Cia, George Tenet, ha fuorviato la Commissione e ‘ovviamente non è stato disponibile’ nella sua testimonianza davanti alla Commissione, secondo il copresidente Thomas Kean. Un agente dell’Fbi, di nome Doug Miller, aveva lavorato all’interno della Alec Station, nota anche come ‘Bin Laden Issue Station’, un’unità della Cia dedicata al monitoraggio delle attività di Osama bin Laden e dei suoi associati. Nella primavera 2000 Alec Station ha appreso che Khalid al-Mihdahar, un cittadino saudita che all’epoca era noto per essere un membro di al-Qaeda, e Nawaf Al Hazmi, un altro saudita che a quel tempo era un sospetto agente di al-Qaeda, erano entrati negli Stati Uniti e vivevano con il proprio nome nel sud della California”.
Prosegue quel report: “L’agente dell’Fbi Miller voleva informare l’Fbi della loro entrata e presenza negli Stati Uniti, ma la Cia ha bloccato gli sforzi di Miller per farlo. La contemporanea bozza di Miller all’Fbi che riferiva su questo, ossia che la Cia aveva impedito a Miller di inviare in quel momento, fu trovata molto più tardi. Khalid Al Mihdahar e Nawaf Al Hazmi erano fra i dirottatori dell’11 settembre del volo 77 dell’American Airlines. La Cia non ha quindi rivelato alla Commissione che più di un anno prima dell’11 settembre, stava monitorando l’ingresso e la posizione dei due dirottatori all’interno degli Stati Uniti”.
E così conclude: “Il copresidente Kean ritiene che l’incapacità della Cia di fornire queste informazioni alla Commissione sia stata deliberata, non un errore. ‘Oh, non è stata una svista negligente’, ha risposto Kean. ‘Era intenzionale. Nessun dubbio su questo nella mia mente… Nel Dna di queste organizzazioni c’è la segretezza”.
Più chiaro di così!
Eccoci, dunque, al folto gruppo dei dirottatori. Sia Khalid al-Mihdar che Nawaf al-Hazmi facevano parte del commando di 5 terroristi che dirottarono il volo 77 dell’American Airlines schiantatosi sul Pentagono.
Ma chi era, invece, il super capo di tutto il commando, composto complessivamente da 19 terroristi, di cui 5 in missione sul Pentagono e gli altri 14 sulle Twin Towers?
ATTA D’ACCUSA
Si tratta di Mohamed Atta, la cui figura viene delineata a tutto tondo da Ferdinando Imposimato nella sua lunga e dettagliata relazione scritta per la Corte dell’Aja. E Ferdinando scrisse in quell’epoca (marzo 2012) un’inchiesta per la Voce, nella quale descriveva, appunto, il profilo di Atta, la sua story e soprattutto tutte le attività svolte in oltre un anno di perfetta libertà negli States, proprio quell’anno che ha preceduto l’attacco alla Torri Gemelle.
Potete leggere l’articolo integralmente in basso.
E’ la vera pistola fumante, la prova regina che attesta le responsabilità, anzi le collusioni di Fbi e Cia nella connection: il tutto, come abbiamo già rimarcato, per l’attenta regia della Casa Bianca e del suo braccio operativo, il Pentagono.
I legami tra Atta e la primula rossa, per anni, del terrorismo internazionale, Osama bin Laden, erano molto stretti. Suggellati, tre anni fa, anche dal matrimonio tra il figlio di Osama, Hamza bin Laden, e la figlia del capo commando.
Ma anche fratelli e fratellastri di Osama hanno fatto non poco parlare di sé. E’ di appena un mese fa – la notizia è stata diffusa dalle agenzie il 2 agosto scorso – una sontuosa vendita, da ben 28 milioni di dollari. Si tratta della villa di Bel Air – il quartiere più chic di Los Angeles, popolato di star del cinema – fino a quel momento di proprietà del fratellastro di Osama, Ibrahim bin Laden, che l’aveva abbandonata appena dopo l’attacco alle Torri Gemelle. La stupenda proprietà immersa nel verde delle colline di Santa Monica è rimasta abbandonata per vent’anni, fino alla fresca vendita.
LE GRANDI ‘PARTITE’ DI BUSH SENIOR
Ed era un miliardario anche il fratello di Osama, Shafiq bin Laden, il quale – guarda caso – proprio quella tragica mattina dell’11 settembre si trovava in compagnia di George Bush senior. La cornice era sontuosa, ossia la terrazza del Ritz-Carlton Hotel di New York; e l’occasione da non perdere, ossia l’assemblea annuale dei prestigiosi soci di ‘Carlyle Group’, un colosso della finanza a stelle e strisce. E i due ‘amiconi’ – George e Shafiq – si poterono godere il magico spettacolo pirotecnico da quella
terrazza che più panoramica non si può.
Ma i rapporti tra Osama bin Laden e Bush senior sono stati anche diretti.
Come la Voce ha documentato nel corso di un’intervista con l’avvocato Carlo Taormina, il quale è stato anche il legale di Loredana Bertè, all’epoca compagna del campione di tennis Bjorn Borg.
Raccontò Taormina alla Voce di un pranzo organizzato nella tenuta di Bush padre, grande appassionato della racchetta, al quale presero parte, come guest star, il super tennista svedese, la sua Loredana e – udite udite – nientemeno che il futuro re del terrore, Osama bin Laden. Siamo a fine anni ’90….
Ecco, di seguito, l’inchiesta del marzo 2012 firmata da Ferdinando Imposimato.
A seguire, altri link sull’11 settembre.
articolo-Voce-Imposimato-marzo-2012
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