di MOWA
In questi decenni, nel mondo, si moltiplicano le “rivolte” contro i vari governi, tutte con lo stesso comun denominatore: le tecniche di provocazione.
In nessun paese ci sono grandi diversità sul versante “tecnico-insurrezionale” se non irrilevanti modifiche dovute, più che altro, a motivi di carattere politico e/o religioso propri del luogo.
Proviamo ad esaminare alcuni dei modi per tentare di comprendere meglio.
Primo.
Sui mezzi d’informazione abbiamo visto e letto che, in Ucraina, Venezuela, Grecia, Siria, Egitto, Libia, ci sono state rivolte di persone che, strategicamente, in veri e propri gruppi di “commando”, hanno costruito autentiche “opere d’arte” di barricate. [1]
Secondo.
Abbiamo visto che questi “commando” si mescolano tra le persone che rivendicavano legittimi diritti come, ad esempio, il lavoro, la tutela alla salute, ecc.
Terzo.
Abbiamo visto, spessissimo che, tra questi “commando” vengono usate parole d’ordine o atti specifici che hanno portato, gli ignari manifestanti dei diritti, ad essere travolti in scontri con le forze dell’ordine. [2]
Abbiamo potuto verificare che molte delle azioni inscenate da questi “commando” sono, frequentemente, frutto di una pianificata strategia. [3]
Quarto.
I “commando” hanno una “straordinaria” capacità di mimetizzazione li porta a saper identificare e neutralizzare le persone che loro considerano pericolose come: giornalisti, fotoreporter, organizzatori di manifestazioni, leader politici, poliziotti democratici, magistrati e tutti coloro che potrebbero farli riconoscere e/o svelare le pianificate trame messe in atto. [4]
Quinto.
Risulta, altresì, rilevante il sistema di inter-relazione che questi “commando” adottano tra loro:
a) internet per la chiamata generale;
b) telefonini e ricetrasmittenti per le azioni, per i ritrovi prima, durante ed a fine manifestazione;
c) bandiere e/o striscioni che assomigliano ma non sono come quelle dei manifestanti;
d) abbigliamento che da comune diventa inquadrabile (nero per i Black Bloc, grigio militare in Ucraina, [5] blue K-Way a Roma);
e) zainetti dove i gregari portano l’occorrente per aggredire;
f) caschi a seguito, ecc.
Tutto ciò, indica una preordinata preparazione para-militare. [6]
Sesto, ma non ultimo.
La spiccata aggressività che sviluppano questi “commando” contro coloro che tentano di sedare le nichilistiche azioni che siano esse forze dell’ordine o manifestanti. [7] Denotazione, anche questa, della distanza culturale dai manifestanti scesi in piazza.
Fatte tutte queste osservazioni si è andati a curiosare tra le varie tecniche di aggressione militare dell’Army Field Manuals [8]… e con “stupore” abbiamo trovato molte analogie comportamentali. Certo, nel manuale militare ci sono parti che sono estranee, ma moltissime sono sovrapponibili a quanto abbiamo visto o assistito in prima persona.
Riportiamo, solo, alcuni brani tratti dal predetto manuale ed esattamente al capitolo “Operazioni offensive” per comprenderne la valenza.
Il capitolo del manuale inizia con la citazione del generale George Patton jr.
“In guerra la difesa unica è la certezza del reato, e l’efficienza del reato dipende dalle anime di guerra-come di chi la conduce.”
Prosegue con il pararafo
“7.1 Il reato è la forma decisiva della guerra. Operazioni offensive mirano a distruggere o sconfiggere un nemico. Il loro scopo è quello di imporre la volontà degli Stati Uniti sul nemico e raggiungere la vittoria decisiva. Mentre le considerazioni immediate spesso richiedono difesa, risultati decisivi richiedono lo spostamento al reato più presto possibile.
FINI delle operazioni offensive
7.2 Le Operazioni offensive cercano di afferrare, trattenere, e sfruttare l’iniziativa per sconfiggere il nemico con decisione. […]attaccano contemporaneamente in tutta l’area di operazioni (AO) per lanciare i nemici fuori equilibrio, sopraffare le loro capacità, distruggere le loro difese, e garantire la loro sconfitta o distruzione. Il reato termina quando la forza raggiunge lo scopo dell’operazione, raggiunge un limite di anticipo, o si avvicina al culmine. […]concludono una fase di un’offensiva consolidando i guadagni, riprendendo l’attacco, o la preparazione per le operazioni future. […]
L’interruzione della coerenza del nemico. Attaccano contemporaneamente in tutta l’area di operazioni (AO) per lanciare i nemici fuori equilibrio, sopraffare le loro capacità, distruggere le loro difese, e garantire la loro sconfitta o distruzione. Il reato termina quando la forza raggiunge lo scopo dell’operazione, raggiunge un limite di anticipo, o si avvicina al culmine. […]concludono una fase di un’offensiva consolidando i guadagni, riprendendo l’attacco, o la preparazione per le operazioni future.”
CARATTERISTICHE delle operazioni offensive
7.4 Sorpresa, concentrazione, ritmo e audacia caratterizzano il reato. Le Operazioni offensive efficaci capitalizzare l’intelligence con accurate ed altre informazioni utili per quanto riguarda le forze nemiche, meteo e del terreno. […]
INFILTRAZIONE
7.36 L’infiltrazione è una forma di manovra in cui una forza d’attacco conduce movimento inosservato attraverso o in un’area occupata da forze nemiche ad occupare una posizione di vantaggio nella parte posteriore nemico mentre esponendo solo piccoli elementi al nemico incendi difensive (vedi Figura 7-4 ). La necessità di evitare di essere rilevato e impegnato possono limitare la dimensione e la forza delle forze infiltranti. […]
Attacchi Special Purpose
7-63 . . Un raid è una forma di attacco, solitamente di piccole dimensioni, che coinvolge una rapida entrata in territorio ostile per proteggere le informazioni, confondere il nemico, o distruggere le installazioni. […]
7-64 . . Un agguato distrugge le forze nemiche massimizzando l’elemento sorpresa. Le imboscate possono utilizzare sistemi antincendio diretta o altri mezzi distruttivi, […]Le imboscate possono disturbare la coesione nemico, senso di sicurezza e fiducia. Sono particolarmente efficaci contro le operazioni nemiche sostenere. […]
7-65 . . Finte distogliere l’attenzione dall’operazione decisivo e impedire al nemico di fuoco forza di combattimento contro di essa. Di solito sono poco profondi, attacchi limitati-obiettivo condotti prima o durante l’operazione decisiva.” […]
Non ci sono appellativi a difesa di coloro che si sono prodigati a creare il caos e riconoscere la “paternità” nelle azioni di “commando” e/o coloro i quali hanno contribuito ad alimentare il disordine voluto da questi professionisti. Non dimentichiamo Genova 2001 in occasione del G8 sino ad arrivare alle azioni di (de)stabilizzazione del quadro politico del 12 aprile u.s. a Roma.
Non c’è nulla di sinistra in quanto accaduto in quei giorni a Roma, così in quanto accaduto nei vari paesi del mondo dove l’“insurrezione liberatoria” è stata l’esatto contrario e lo testimonia questo video [9] propagandistico anti-comunista che gira in internet.
Quel modo di fare è lo stesso spontaneismo che negli anni ’70, in Italia, ha mietuto “vittime” che si sono, poi, date alla clandestinità perché abbracciarono le armi distruggendo quel tessuto sociale coeso della sinistra. Molte organizzazioni che si dichiaravano di sinistra (Potere Operaio, Lotta Continua, Autonomia Operaia, e altre situate a “sinistra” del PCI) fecero fare, per cattive (e ben poco marxiste) analisi politiche, a molti loro militanti… scelte che andarono in senso conservatore anziché rivoluzionario.
Evitiamo, quindi, di essere stolti e ripercorrere gli stessi errori!
Non cadiamo, di nuovo, nella trappola piccolo-borghese di sentirsi paladini del mondo. Non lasciamoci influenzare dai falsi miti (come allora) e dalle teorie dei cattivi maestri alla Toni Negri o alla Renato Curcio che, purtroppo, ancor oggi imperversano nei centri sociali. Facciamo necessariamente dei distinguo per non pentirci in futuro.
Cito, di nuovo, “Che fare” di Lenin con l’obiettivo di far comprendere come siano lontane le finalità strategico-politiche comuniste da episodi come quelli accaduti ultimamente a Roma: [10]
“In linea di principio, noi non abbiamo mai rinunciato e non possiamo rinunciare al terrorismo. È un’operazione militare che può perfettamente servire, ed essere perfino necessaria, in un determinato momento della battaglia, quando le truppe si trovano in una determinata situazione ed esistono determinate condizioni. Ma la sostanza del problema è precisamente che oggi il terrorismo non viene affatto proposto come un’operazione dell’esercito operante, strettamente legata e adeguata a tutto il sistema di lotta, ma come un mezzo di attacco singolo, autonomo e indipendente da ogni esercito. E quando manca un’organizzazione rivoluzionaria centrale e quelle locali sono deboli, il terrorismo non può essere niente altro. Ecco perché dichiariamo decisamente che nelle circostanze attuali questo mezzo di lotta è intempestivo, inopportuno, in quanto distoglie i combattenti più attivi dal loro vero compito, più importante per tutto il movimento, e disorganizza non le forze governative, ma quelle rivoluzionarie. Ricordate gli ultimi avvenimenti: davanti ai nostri occhi larghe masse di operai urbani e di «popolani» vogliono gettarsi nella lotta, e i rivoluzionari sono privi di uno stato maggiore di dirigenti e di organizzatori. In queste. condizioni, non si corre forse il pericolo che, se i rivoluzionari più energici passano all’attività terroristica, s’indeboliscano quegli unici reparti di combattimento, sui quali si possono fondare serie speranze? Non si corre forse il pericolo che si spezzi il legame tra le organizzazioni rivoluzionarie e le masse disperse dei malcontenti, che protestano e sono pronte alla lotta, ma sono deboli appunto perché sono disperse? Eppure questo legame è l’unica garanzia del nostro successo. Lungi da noi il pensiero di negare ogni importanza alle azioni eroiche isolate, ma abbiamo il dovere di mettere energicamente in guardia dal lasciarsi esaltare dal terrorismo, dal riconoscerlo come principale e fondamentale mezzo di lotta, cosa a cui moltissime persone propendono oggi. Il terrorismo non potrà mai diventare un’ordinata azione militare: nel migliore dei casi, può servire soltanto come uno dei metodi di assalto decisivo. Ci si domanda se nel momento attuale possiamo fare appello a questo assalto. Il Raboceie Dielo, a quanto pare, ritiene di sì. Per lo meno esclama: «Allineatevi in colonne d’assalto!». Ma, ancora una volta, molto zelo e poco senno. La massa fondamentale delle nostre forze militari è composta dai volontari e dagli insorti. Abbiamo soltanto alcuni piccoli reparti di truppe permanenti, e anche questi non sono mobilitati, non sono collegati fra di loro, non sono addestrati, in generale, ad allinearsi in colonne militari e meno che mai in colonne d’assalto. In queste condizioni a chiunque, capace d’intravvedere le condizioni generali della nostra lotta senza dimenticarle ad ogni «svolta» del corso storico degli avvenimenti, deve apparir chiaro che la nostra parola d’ordine, in questo momento, non può essere «andare all’assalto», ma deve essere «organizzare un regolare assedio della fortezza nemica». In altre parole: il compito immediato del nostro partito non può essere quello di chiamare tutte le forme ora disponibili all’attacco, ma quello di promuovere la formazione di un’organizzazione rivoluzionaria, capace di unire tutte le forze e di dirigere il movimento non soltanto di nome, ma di fatto, di essere cioè sempre pronta a sostenere ogni protesta e ogni esplosione sfruttandole per moltiplicare e consolidare le forze militari che possono servire per la battaglia decisiva.” […]
“Per concludere, poche parole per evitare un possibile equivoco. Abbiamo sempre parlato soltanto di una preparazione sistematica, pianificata, ma con questo non volevamo affatto dire che l’autocrazia potrà cedere esclusivamente in seguito a un regolare assedio o a un assalto organizzato. Non vogliamo scivolare in un assurdo dottrinarismo Al contrario, è pienamente possibile e storicamente molto più probabile che l’autocrazia cada sotto la pressione di una di quelle esplosioni spontanee o di quelle complicazioni politiche imprevedibili che minacciano continuamente da tutte le parti. Ma nessun partito politico può, senza cadere nell’avventurismo, impostare la sua attività facendo assegnamento su esplosioni e complicazioni. Noi dobbiamo seguire la nostra strada, svolgere instancabilmente il nostro lavoro sistematico, e quanto meno faremo affidamento sugli imprevisti tanto maggiori saranno le probabilità di non lasciarci prendere alla sprovvista da nessuna «svolta storica».” [11]
I comunisti sono, decisamente, un’altra cosa da quanto accaduto a Roma sia sui fatti che sulle finalità…
Non vi pare?