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MOWA
di Luca Fiore
La stampa imboccata dalle questure voleva il sangue, e non lo ha avuto. Nonostante i titoli terroristici e allarmistici del 99% della (dis)informazione – non si sono salvati neanche i media ‘progressisti’ – decine di migliaia di persone hanno sfilato ieri nel centro di Roma, sfidando un clima terroristico e una città svuotata e blindata. E così molti giornalisti – ignoranti e prevenuti, oltre che pagati per inventare la notizia quando la notizia non c’è – hanno incentrato i loro pezzi, le loro cronache su alcuni episodi, facendoli diventare il centro della loro cronaca a scapito di tutto il resto. Cancellati decine di migliaia di volti e di ragioni, le rivendicazioni, le provenienze, le identità politiche e sociali di chi è venuto a Roma. Se non ci fossero stati i petardi davanti ai ministeri a fornire argomenti ai cronisti il corteo sarebbe scomparso dalle prime pagine e dalle home page, relegato nella cronaca locale.
Ma un episodio è in parte sfuggito, nella sua gravità, ai pure ‘attenti’ inviati della stampa di regime. Il fatto che alcune decine di squadristi di Casa Pound, caschi in testa e mazze alla mano, siano usciti dal loro covo di Via Napoleone III e si siano avvicinati minacciosi al corteo, senza che le cosiddette forze dell’ordine presenti in forze – ben 4000 gli uomini in divisa mobilitati ieri nella capitale – siano intervenute per bloccare la provocazione. Anzi, alcune istantanee e alcuni video immortalano i capi del movimento ‘né di destra né di sinistra’ ma neofascista intenti in conversazioni assai amichevoli ed intime con gli esponenti dei reparti mobili schierati in piazza. D’altronde gli estremisti di destra erano stati lasciati gentilmente passare oltre il cordone di polizia e i blindati, e poi quando i manifestanti hanno cominciato a rendersi conto di quanto stava accadendo un cordone di celerini in tenuta antisommossa è stato prontamente schierato a difesa dei colleghi senza divisa.
Solo quando un gruppo di manifestanti ha cercato di allontanare i provocatori – lanciando contro la squadraccia qualche bottiglietta d’acqua e altri oggetti rimediati alla bisogna – i celerini sono intervenuti e hanno rimandato indietro gli uomini di Iannone. Ma senza caricare, solo qualche spintone. Incredibilmente la polizia non è intervenuta neanche quando i fascisti, guidati dall’ex candidato alle elezioni regionali Simone Di Stefano, hanno aggredito prima verbalmente e poi fisicamente la troupe di Servizio Pubblico, ‘colpevole’ di documentare la provocazione di Casa Pound e di riprendere i ragazzotti di Iannone troppo da vicino.
Naturalmente per molti giornali e tv si è trattato soltanto di uno scontro ‘tra opposti estremismi’ evitato solo grazie ‘al pronto intervento della Polizia’. Poco importa che le fantasiose ricostruzioni contenute negli articoletti di anonimi cronisti vengano poi smentite dai video pubblicati dalle stesse testate. Evidentemente si spera che chi legge gli articoli non guardi anche i video, e viceversa…
Nei giorni scorsi anche i media italiani sono stati costretti ad occuparsi diffusamente delle attività violente, criminali e omicide degli squadristi di Alba Dorata. Hanno dovuto farlo solo dopo l’omicidio del rapper Pavlos Fyssas e la decisione da parte delle autorità elleniche di decapitare il movimento neonazista e di rivelare ai disattenti cronisti le responsabilità di quelli che alcuni frequentatori dei social network, a volte sprovveduti ma più spesso fan dei camerati greci, continuano a definire innocenti ‘vittime del sistema’. In Italia la compiacenza e la tolleranza di forze dell’ordine e media nei confronti dei gruppuscoli squadristi invece non è stata ancora scalfita. E quindi nei brevi resoconti della stampa ‘democratica’ un gruppo di picchiatori che inneggiano ad Hitler e a Mussolini sono l’equivalente di un corteo di 70 mila persone – sfrattati, occupanti di case, No Tav, No Muos, No Expo, lavoratori, studenti, migranti, famiglie – che scendono in piazza per difendere i diritti attaccati dal governo Letta e dall’Unione Europea.
Ieri pomeriggio, passando davanti al luogo dove poco prima l’intervento del servizio d’ordine aveva respinto la provocazione dei ‘fascisti del terzo millennio’, alcuni spezzoni di manifestanti cantavano un slogan che spiega molto di più di lunghe e complesse analisi: “siete i servi delle larghe intese, fuori i fascisti dal paese”.