Gli apripista
Partito del Popolo Danese (Dansk Folkeparti – DF)
Nato nel 1995 per iniziativa di Pia Kjaersgaard, ex-dirigente del Partito del Progresso (Fremskridtspartiet), una formazione populista anti-tasse che, negli anni ’70, ottenne alcuni exploit elettorali (oscillava tra il 16% ed il 9%) chiedendo un drastico taglio delle imposte.
Il Partito del Popolo Danese è la formazione, tra quelle xenofobe del Nord Europa, che ha avuto il primo successo politico: per ben due volte infatti è stata nell’area dei governi di centro-destra (una volta partecipandovi e successivamente con un appoggio esterno, fino al 2009) del Liberali di Andres F. Rasmussen (in seguito diventato segretario generale della NATO).
Il grande risultato della combattiva Kjaersgaard, la sessantenne ex-assicuratrice regina del Df fino al 2015, fu indubbiamente la riscrittura delle norme danesi sul diritto d’asilo, dopo una martellante campagna d’odio contro i mussumani condotta sui media nazionali da dopo l’11 settembre.
La nuova legge targata Partito del Progresso, ma sostenuta anche da Rasmussen e mai abrogata, prevede: l’abolizione del ricongiungimento familiare, l’obbligo di residenza per sette anni (senza alcun sussidio economico e con i primi 18 mesi a stipendio ridotto per legge) per poter richiedere il permesso di soggiorno definitivo ed il divieto per gli immigrati di sposare un cittadino straniero fino ai 24 anni.
Indubbiamente la normativa più radicale del Nord Europa.
Partito del Progresso- Norvegia (Fremskrittpartiet- FrP)
Fondato nel 1973 da Anders Lage, un personaggio dalla biografia decisamente eccentrica: classe 1904, ex-membro della Lega Patriottica (un movimento nazionalsta ed anticomunista, messo, però, al bando durante l’occupazione nazista), cospiratore antifascista (arrestato due volte dai tedeschi), ambientalista e amico degli animali, famosissimo agitatore anti-tasse e anti-burocrazia.
A Lage seguì per quasi trentanni, come trascinatore dei “Progressisti”, l’analista finanziario Carl I. Hagen (“King Carl”) che condusse fino al 2006 una durissima campagna, anche interna al suo partito, per favorire le privatizzazioni dei servizi ed introdurre politiche più restrittive sull’immigrazione.
Parlando apertamente di “orde islamiche pronte a saccheggiare il Paese”, il Partito del Progresso vinse nel 2003 anche molte elezioni locali (con punte anche del 47,5%).
Dal 2006 invece a guidare l’FrP arrivò l’economista Siv Jensen che mantenne il partito tra il 23% (2009) ed 16,3% (2013) arrivando, dopo una lunga trattativa, nell’ottobre del 2013 a formare un governo con la leader conservatrice Erna Solberg.
La proposta principale dei “Progressisti” prevedeva che i proventi del petrolio norvegese (il ricchissimo OilFoud) fossero utilizzati per finanziare un welfare inflessibilmente per soli autoctoni.
Alla Jensen toccò la prestigiosa poltrona di Ministro delle Finanze, ma al Partito del Progresso vennero assegnati, inoltre, molti posti chiave, specie dal punto di vista della gestione dei servizi e dell’economia: i ministeri della giustizia, dei trasporti, dell’agricoltura e, ovviamente, del welfare, dell’educazione/inclusione sociale, del petrolio/energia e dell’immigrazione.
“Un partito operaio senza il socialismo”: preserviamo la Finlandia!
I Veri Finlandesi (Perussuomalaiset – PS)
Nascono nel 1995 da una scissione (in polemica con alcuni scandali finanziari) del Partito Rurale Finlandese, guidata dall’ex-segretario Timo J. Soimi, un singolare imprenditore del settore alimentare, cattolico (nel Paese sono pochissimi) e tifoso sfegatato della squadra di calcio londinese del Millwall.
Negli anni ’80 in Finlandia si consumò una ristrutturazione produttiva che portò moltissimi agricoltori ad emigrare nelle città, irrobustendo le fila dell’industria, non solo della carta ma anche delle telecomunicazioni.
Simbolo di questa rivoluzione fu la Nokia che, con lungimiranza, puntò tutto sui computer e successivamente, negli anni ’90, sui cellulari, abbandonando la sua tradizionale diffidenza verso le produzioni ad alto livello tecnologico.
I PS elaborarono una proposta politica che mescolava: nazionalismo-sovranista (no all’UE e alla NATO), tradizionalismo-identitario (stop immigrazione, no al matrimonio o all’adozione per le coppie omosessuali e fine dell’obbligo di imparare lo svedese in tutte le scuole ), ma, soprattutto, istanze ridistributive (una durissima patrimoniale, una drastica riduzione delle tasse solo per i ceti bassi e una imposta sulle plusvalenze finanziarie).
Va ricordato che la minoranza svedese è circa il 5% dei finlandesi mentre gli immigrati, arrivati negli anni 2000, rappresentano appena il 3% della popolazione totale: nonostante questo i PS parlarono di “invasione islamica”.
In realtà nonostante gli sforzi della sua leadership, i Veri Finlandesi rimasero una realtà politica irrilevante fino alla metà degli anni 2000, non raggiungendo mai le percentuali di voto del vecchio Partito Rurale (circa l’8%), ma oscillando tra l’1,6% (2003) ed il 4,1% (2007), pur riuscendo a restare in parlamento grazie ad una legge elettorale proporzionale decisamente generosa.
Ma dal 2008 anche nell’estremo Nord dell’UE arrivava, travolgente, la Crisi: dal 2008 al 2015 hanno chiuso un quarto delle imprese finlandesi, la disoccupazione è raddoppiata (10%) e la spesa pubblica ha portato il deficit pubblico al 62% del Pil.
Il tutto mentre la “bolla Nokia” esplodeva (l’azienda veniva acquistata in saldo dalla Microsoft), l’export della carta crollava (l’industria del legno è da sempre la principale del Paese) e le sanzioni Ue contro la Russia chiudevano uno dei più importanti canali commerciali.
Contestualmente a questo, il sostegno ai Veri Finlandesi decollò rapidamente.
Nelle Elezioni del 2011, mentre il mondo politico nazionale discuteva di che misure contrapporre alla recessione e di che atteggiamento tenere verso gli indebitati PIIGS, l’intransigenza di Soimi portò il suo partito al 19% con 39 parlamentari e 559.340 voti
I Conservatori ottennero invece 44 deputati con 598.000 preferenze (20,4%), mentre i Socialdemocratici 42 con 561.000 (19,1%); si aprì una fase di Grossa-Coalizione, con un esecutivo tendente a sinistra, composto da sei partiti.
Mentre la Finlandia rientrava nelle nazioni sotto osservazione del Fondo Monetario Internazionale, nelle elezioni del 2015, i PS di Soimi, superarono la sinistra con il 17,7% (525.000 voti) con lo slogan “Dalla parte dei Finlandesi”: ormai non era più possibile escluderli dalle più importanti responsabilità.
Dopo una complessa trattativa si formò quindi un governo di centro-destra con il Partito di Centro, la Coalizione Nazionale ed i Veri Finlandesi: a Timo Soimi toccò il Ministero degli Esteri, mentre i suoi PS ottennero I dicasteri del Lavoro, della Giustizia, della Difesa e della Salute/Stato Sociale.
Dalla camicia bruna al gessato: i Democratici Svedesi (Sverigedemokraterna-SD)
Quando il ventiseienne Jimmi Akesson divenne, nel 2005, segretario dei Democratici Svedesi, quel partito, dove pure lui era nato e cresciuto, considerava un successo storico aver preso l’1.4% (76.000 preferenze) nelle votazioni del 2002 (il manifesto elettorale raffigurava un Vichingo che reggeva un cartello con impresso sullo scudo lo slogan “Mantieni la Svezia svedese!”).
I SD erano sempre stati, fin dalla loro fondazione nel 1988, una formazione cripto-nazista: spesso, infatti, alcuni suoi membri avevano apertamente parlato di “deportazione di massa degli immigrati islamici”, mentre nei raduni della sua federazione giovanile circolavano testi antisemiti, si ascoltavano gruppi musicali nazirock e si praticavano riti dal sapore inequivocabile come bruciare libri di scrittori ebrei (tutte cose definite in seguito da Akesson, “ragazzate”).
Ad ogni modo a suon di posizioni iconoclaste, espulsioni ed una grossa dose di marketing, il giovanissimo neo-segretario riuscì in una vera e propria impresa, portando i suoi nuovi Democratici Svedesi a prendere, nel 2006, il 3% (163.000 voti): messi in soffitta i simboli guerrieri delle sage nordiche, venne scelto per rappresentare il partito solo un fiore stilizzato con i colori nazionali.
Rimasero però gli slogan contro le armate islamiche affamate di sussidi statali.
Il tutto mentre crollava la decennale egemonia socialdemocratica di “Göran il rosso” (Hans Göran Persson) ed al governo andava una coalizione di centro-destra capitanata dal Partito dei Moderati di Fredrick Reinfeldt: un passaggio storico per la nazione scandinava.
Anche la scalata dei Democratici Svedesi continuò inarrestabile: 3,28% con 104.000 voti (Europee 2009), 5,7% nelle Elezioni Nazionali del 2010 (per la prima volta in parlamento con ben 20 deputati), mentre nelle successive votazioni per il Parlamento UE del 2014 Akesson raccoglieva il 9,67% con poco meno di 360.000 preferenze e eleggeva due rappresentanti.
In soli nove anni il segretario yuppie era riuscito a far diventare una piccola formazione di fans di Hitler, un moderno partito di protesta, scommettendo tutto sul suo “volto da bamboccio” e sulla sua intransigenza in tema di accoglienza; una rigidità, a suo dire, motivata esclusivamente da “motivi economici e non da razzismo”.
Molti osservatori continuarono, però, a definire tutto questo solo un cambiamento di facciata, quasi imposto dall’alto alla base di un partito ancora filo-fascista.
Lo stesso Akesson aveva ammesso che a sedici anni lasciò i Giovani liberali per aderire ai giovani SD “attratto dalle loro posizioni sull’immigrazione e dalle loro pose hitleriane”.
Sebbene diversi fuoriusciti dai Democratici Svedesi abbiano dato vita a formazioni politiche concorrenti (in primis il “Partito degli Svedesi”) ed il Paese continui ad avere una piccola ma vivace scena neonazista giovanile, la scalata Akesson non subì rallentamenti, anzi la sua popolarità personale crebbe.
Nei media il giovane segretario dei “Democratici” veniva spesso dipinto come un “ragioniere un po’ razzista” per il suo parlare ossessivamente di una legislazione svedese in materia di immigrazione il cui budget era “purtroppo insostenibilie per le Casse della Nazione”.
Nelle Elezioni Nazionali del 2015 i SD raggiunsero uno storico 13% (781.000 preferenze) ottenendo 49 deputati, diventando di fatto un possibile interlocutore per l’opposizione centrista capitanata dal Partito dei Moderati, in crisi di consensi (i socialdemocratici, dopo una parentesi di dieci anni sono tornati infatti, in coalizione con gli ambientalisti, a governare).
Intanto l’opera di “ripulitura” dei Democratici Svedesi continua: lo stesso Akesson arrivò, prima delle ultime votazioni, a partecipare ad uno spot-elettorale Tv contro il razzismo in compagnai di due migranti, insistendo sul fatto che limitare l’ingresso degli stranieri convenga economicamente anche agli immigrati già residenti nel Paese.
L’impressione attuale è che Akesson non intenda affatto fermarsi, puntando a concentrare su di sè il voto di quanti, impoveriti dalla Crisi, stanno maturando sentimenti di sfiducia verso la classe politica, anche tra l’elettorato liberale.
La strategia resta mostrarsi come una opzione politica affidabile, “un partito nè di destra, nè di sinistra, ma per la Svezia”, come amano definirsi in televisione i “Democratici”, in attesa delle elezioni del 2018.
18 Aprile 2016