Vincenzo Comito
Guerra, inflazione, shock energetico: vediamo in dettaglio gli eventi chiave dell’anno che sta finendo cercando poi di mettere in campo qualche previsione per il 2023.
Siamo alla fine del 2022, anno che non ha portato in generale molte buone notizie al mondo (riferendosi all’ano che sta finendo Martin Wolf sintetizza la questione in tre parole: “guerra, inflazione, shock energetico”) (Tindera, Wolf, 2022); comunque, in queste note cerchiamo di fare il punto su alcuni eventi svoltisi in questo periodo e di mettere in campo alcune previsioni per il nuovo anno ed oltre.
Il mondo, il continente europeo e l’Eurozona
L’Ocse, dopo aver stimato la crescita dell’economia mondiale al 3,1% nel 2022 (comunque in ritirata rispetto a precedenti stime), valuta ora quella del 2023 al 2,2%, in notevole riduzione rispetto all’anno precedente (altre istituzioni parlano per la verità del 2,7%). Peraltro, nelle stime dell’ente appaiono grandi differenze tra le varie aree del globo; come in passato a tirare la volata è l’Asia: così, per l’India è prevista una crescita del 6,2%, del 4,6% per la Cina, mentre per gli Stati Uniti si pensa ad uno 0,5% (di nuovo, qualcun altro è più ottimista).
Al di là delle cifre, i rappresentanti del Fondo Monetario e della Banca Mondiale si mostrano molto preoccupati per delle prospettive globali che si vanno deteriorando (The Economic Times, 2022). Il direttore generale del Fondo, Kristalina Georgieva, ha di recente dichiarato che gli indicatori disponibili mostrano ulteriori riduzioni delle prospettive economiche globali, mentre David Malpass, capo della Banca Mondiale, si mostra preoccupato per il rischio di una recessione a livello mondiale (The Economic Times, 2022).
L’economia europea e dell’Eurozona
In tale quadro non brillantissimo, per la Commissione UE il pil dei paesi dell’UE crescerà del 3,3% nel 2022 e quello dell’Eurozona del 3,2%; per il 2023 le previsioni sono molto peggiori, in particolare per l’Eurozona si pensa allo 0,3%, per l’Italia sempre allo 0,3% contro il 3,8% del 2022, per la Germania al -0,6%, per la Francia allo 0,4%; ma le stime di Moody sono molto più pessimistiche, con l’eurozona prevista al -0,6%, l’Italia al -1,4%, la Germania al – 1,8%, la Francia al -0,7%.
Ma l’economia e più in specifico l’industria del nostro continente si trovano in prospettiva di fronte a degli importanti ostacoli. Intanto da molto tempo ormai l’Europa, che peraltro continua ad essere disunita, ha grandi difficoltà a tener dietro a Stati Uniti e Cina sul piano tecnologico, mentre i tentativi di rimediarvi appaiono deboli e comunque tardivi. Con la guerra in Ucraina si è aggiunta una questione altrettanto grave, quella del forte aumento dei prezzi dell’energia, nonché della sua difficile disponibilità, cosa che in particolare in alcuni settori appare insostenibile, mentre Cina e Stati Uniti ne sono sostanzialmente esenti. C’è poi la forte crescita dei livelli di inflazione, fenomeno questa volta comune agli Stati Uniti, ma sostanzialmente sconosciuto in Cina. Più recentemente si è aggiunto quello che potrebbe essere il colpo di grazia per l’industria del nostro continente, il varo da parte di Biden dell’Inflation Reduction Act, che risuscita le mai sopite tendenze protezionistiche degli Stati Uniti e che pone grossi ostacoli all’Europa. La reazione politica nel nostro continente a tale atto di forza è apparsa, almeno sino a questo momento, sottotono. Si annunciano così trasmigrazioni dei nuovi investimenti di molte grandi imprese europee verso gli Stati Uniti ed, in misura più ridotta, verso la Cina. Il 2023 chiarirà forse molte cose.
L’inflazione, il debito pubblico, i tassi di interesse
Dunque, secondo molte previsioni l’inflazione globale e in particolare quella dei paesi occidentali dovrebbe nel 2023 vedere una sia pur modesta riduzione, che diventerebbe più marcata nell’anno successivo. La progressiva moderazione nei livelli di inflazione, di cui si individuano già alcuni segni, appare da collegare alla riduzione dei prezzi dell’energia in relazione anche alle difficoltà economiche cinesi e al fatto che i problemi presenti nelle catene di approvvigionamento mondiali si sono negli ultimi mesi alleviati.
Per quanto riguarda così l’Eurozona di nuovo l’Ocse stima una crescita dell’8,3% dei prezzi al consumo per il 2022, mentre intravede un sia pur modesto miglioramento per il 2023, con il 6,8%.
Lo sperato miglioramento futuro si scontrerà con diversi ostacoli (The Economist, 2022). Intanto i prezzi dell’energia, che sembrano declinare rispetto ai picchi raggiunti nel 2022, si potrebbero ora scontrare con la probabile ripresa economica cinese, le cui debolezze hanno comportato sino ad oggi una minore domanda di petrolio e gas. Poi, i governi occidentali non riusciranno nel 2023 a ridurre i loro deficit di bilancio in relazione alle necessità di sostenere ancora l’economia e gli investimenti nelle energie, vecchie e nuove. Infine, va segnalata l’influenza della scarsità di manodopera e la previsione di ulteriori aumenti dei tassi.
Per altro verso, non manca chi si chiede se la crescita dell’inflazione sia veramente un fenomeno solo congiunturale o non siamo invece di fronte ad un quadro ormai strutturale, legato in particolare al alcuni mutamenti di fondo nel contesto economico e demografico di molti paesi (Benhamou, Cartapanis, 2022).
Come già accennato, le stime relative all’indebitamento pubblico non appaiono incoraggianti. Si può valutare che, per quanto riguarda la zona euro (Les Echos, 2022), le emissioni di titoli obbligazionari pubblici raggiungano nel 2023 i 1200 miliardi di euro (di cui 827 per il rimborso delle obbligazioni in scadenza), con una crescita del 5% rispetto all’anno precedente. Per quanto riguarda i singoli paesi, si pensa a 294 miliardi per l’Italia, 290 per la Francia, 240 per la Germania. Tale aumento si scontra purtroppo con la riduzione degli acquisti di titoli pubblici da parte della BCE, che nell’anno non reinvestirà una parte cospicua dei titoli in scadenza, per circa 160 miliardi di euro. L’aumento dei tassi comporterà poi un maggior esborso per interessi.
In ogni caso, mentre la Fed e la Bce fanno intravedere un rallentamento nella politica di rialzo dei tassi, in generale si naviga nella nebbia; la prima e la seconda annunciano certo ambedue un aumento dello 0,5%, ma lanciano segnali opachi e contradditori (Masciandaro, 2022).
Due opinioni divergenti sul futuro
In presenza di grandi incertezze, gli economisti non appaiono certo unanimi nelle loro previsioni sull’immediato futuro; presentiamo così a questo punto due opinioni quasi agli antipodi sulla questione.
-Nouriel Roubini, ovvero una catastrofe più o meno imminente
Nouriel Roubini è stato tra i pochi che a suo tempo aveva correttamente previsto la crisi del 2008; ora, comunque più in là con gli anni, quasi assorbito nel ruolo di profeta di sciagure, ci riprova e pensa che ci sarà una nuova e più grave catastrofe (Roubini, 2022).
Egli parte dall’analisi della dinamica del debito a livello mondiale. Il suo totale in relazione al Pil è passato dal 200% del 1999 al 350% del 2021. Esso non serve poi tanto, afferma Roubini, a finanziare degli investimenti produttivi, ma per l’essenziale a coprire delle spese di consumo al di sopra dei redditi, tipico ingrediente di fallimento. La conseguenza è che ci sono numerosi debitori zombie tenuti sino ad oggi in piedi dai bassi tassi di interesse. Ma ora, con la crescita di questi ultimi, ci troviamo di fronte ad un colpo duro, mentre l’inflazione riduce i redditi dei debitori in difficoltà e il valore dei loro attivi. Intanto assistiamo al ritorno della stagflazione e a una serie continua di choc d’offerta negativi, come la perturbazione dell’offerta di beni e di lavoro creata dalla pandemia, la guerra con le relative conseguenze sui prezzi delle materie prime, infine lo zero Covid cinese. L’atterraggio sarà rude, avremo una recessione profonda e prolungata insieme ad un crisi grave finanziaria. Le banche centrali dovranno abbandonare la lotta contro l’inflazione di fronte al crack che si minaccia, i costi reali e nominali del prestito saliranno molto. La madre di tutte le crisi del debito stagflazionista può essere rimandata, ma non evitata.
-Martin Wolf, ovvero dovremmo cavarcela
Sulle prospettive dell’economia largamente di diverso avviso rispetto a Roubini appare Martin Wolf, il più noto giornalista del Financial Times (Tindera, Wolf, 2022). Egli pensa che sia plausibile che l’inflazione nel 2023 scenderà e si collocherà di nuovo ad un basso livello entro un paio di anni, anche se sul fronte economico ci saranno delle difficoltà, con alcune economie europee che entreranno in recessione a causa del doppio shock dei prezzi dell’energia e degli alti tassi di interesse. Ma intanto appare probabile che nel 2023 i tassi raggiungeranno un picco, mentre poi ci sarà un recupero certamente entro il 2024 e che anche le difficoltà del reperimento dell’energia saranno plausibilmente superate. Nel medio termine, attraverso un mix di crescita delle rinnovabili, l’accesso a nuove fonti per il gas, un miglioramento nell’efficienza di uso dell’energia, ce la faremo.
I paesi emergenti e la zeitenwende
-Il viaggio di Xi nel mondo arabo
Ricordiamo intanto che in sede Onu ed altrove la gran parte dei paesi emergenti più importanti si sono rifiutati a suo tempo di condannare la Russia per l’invasione dell’Ucraina e che altri lo hanno fatto senza grande convinzione. Questa frattura tra i paesi occidentali e gran parte del resto del mondo tende in questi mesi ad approfondirsi e a trovare degli sbocchi propositivi.
E’ recente in particolare il viaggio di Xi Ping in Arabia Saudita, dove ha sottoscritto più di una trentina di accordi per circa 50 miliardi di dollari, in una regione che, mentre vede la Cina come il principale partner commerciale, cerca di ridurre la sua dipendenza dal petrolio e da Washington. Poi, da un incontro con i paesi arabi è uscito l’accordo per la creazione di una comunità cino-araba, con un piano di azione in otto punti; una riunione con i paesi del Golfo ha portato infine all’avvio di una partnership strategica, mentre si studia il pagamento degli acquisti di petrolio e gas da parte della Cina in renmimbi.
Il viaggio di Xi mette in scena i nuovi rapporti di forza che si vanno plausibilmente sviluppando a livello mondiale, con un mondo arabo che si rivolge ora in maniera forte verso l’Est. Si tratta per tale area del mondo di avere un partner che, mentre può per lo meno bilanciare l’ingombrante presenza degli Stati Uniti, può anche aiutare gli sforzi di diversificazione economica di questi paesi, aumentare i flussi di investimenti tra di loro, cooperare nel settore delle nuove tecnologie e delle energie rinnovabili.
-Un fronte dei paesi in via di sviluppo?
Non si tratta soltanto del modo arabo. Nell’ultimo periodo la Cina e la Russia hanno firmato con l’Iran accordi per importi molto consistenti e che prefigurano in ogni caso un forte legame con tale paese. Intanto Lula è stato eletto presidente del Brasile e promette di stringere un grande patto economico con la Cina, mentre l’India continua a comprare il petrolio russo e intesse rapporti sempre più stretti con il paese. Ma l’ultimo periodo è stato caratterizzato dalla crescita in forza della Sco, la Shangai Cooperation Agreement. La Sco, fondata nel 2001 e a cui partecipavano originariamente Russia, Cina e i paesi dell’Asia Centrale, è stata considerata sino a ieri come un’organizzazione di poco rilievo e dagli obiettivi limitati. Con il tempo vi hanno aderito India e Pakistan e più recentemente l’Iran, mentre ci sono ormai molti altri paesi che vi entrano almeno come osservatori, dai paesi del Golfo, all’Egitto alla Turchia, Bielorussia, Afghanistan, Mongolia ed altri che fanno la fila. Lo scoppio della guerra sembra aver contribuito a dare un forte impulso all’organizzazione. Il vertice di Samarcanda del settembre 2022 ne ha allargato gli obiettivi, tra l’altro discutendo di un processo di progressiva dedollarizzazione. Dobbiamo poi ricordare come diversi altri Stati importanti spingano in direzione di un maggiore integrazione con Cina e Russia, dal Sud-Africa all’Argentina al Venezuela. Gli sviluppi tesi a creare una sia pure elastica concentrazione di interessi tra la gran parte dei grandi paesi emergenti, che rappresentano insieme la parte più consistente della popolazione mondiale e una fetta crescente del suo pil, saranno messi alla prova nel nuovo anno e si potrà forse capire se si tratta di una occasionale convergenza di interessi o di un aspetto ormai permanente della ristrutturazione dell’ordine geopolitico mondiale, di una zeitenwende, cioè di una svolta epocale, come ha affermato di recente lo stesso cancelliere tedesco Olaf Scholz.
La Cina
Secondo alcune stime, il Pil cinese dovrebbe crescere del 3,2-3,3% nel 2022, mentre alcune previsioni per il 2023 oscillano tra il 4,4% e il 5,0%, segnalando probabilmente una rilevante ripresa, mentre le stime ufficiali per il prossimo anno si dovrebbero forse collocare tra il 5,0% e il 5,5%. Intanto il commercio estero, che nei primi tre trimestri del 2022 stava crescendo in maniera abbastanza sostenuta, ha registrato negli ultimi mesi invece un sostanziale rallentamento, per cui l’aumento complessivo dell’anno non dovrebbe superare il 7-8%; più positivo l’andamento degli investimenti esteri nel paese, che dovrebbero crescere del 17-18% nel 2022 e del tasso di inflazione, che dovrebbe aggirarsi intorno al livello del 2,0% alla fine del 2022, mentre non si vedono gravi minacce per un suo aumento nel 2023.
Di fronte a queste cifre che registrano un calo abbastanza marcato della crescita del pil almeno nel 2022 si tendono a sottolineare in primo piano la difficoltà portate dalle chiusure da Covid e dalla crisi del settore immobiliare. Mentre comunque ora l’economia sembra poter ripartire nel nuovo anno grazie alla liberalizzazione dei vincoli del Covid, al nuovo e forte sostegno al settore immobiliare, agli interventi di spinta finanziaria all’economia, essa si trova comunque di fronte ad alcuni problemi di fondo (Macaire, 2022), quali l’invecchiamento della popolazione, l’elevato indebitamento complessivo del paese, l’aumento delle disoccupazione giovanile, nonché i persistenti vincoli alla crescita dei consumi, mentre il paese cerca di mettere in piedi un sistema sociale migliore e di ridurre le grandi diseguaglianze esistenti, nonché di fornire un’ulteriore spinta alle tecnologie nazionali, sotto la minaccia in particolare del nuovo e forte boicottaggio Usa. Si può essere comunque relativamente ottimisti sulle prospettive di medio termine del paese.
Conclusioni
Senza essere del tutto catastrofisti come Roubini, si deve riconoscere che il 2023 si presenta come pieno di ombre e di minacce, in un quadro più generale che appare per lo meno problematico, caratterizzato come è, tra l’altro, dalla crescente ostilità degli Stati Uniti verso la Cina e dal perdurare della guerra in Ucraina, nonché dai problemi energetici e dell’inflazione. Il prossimo futuro appare comunque per molti versi avvolto nella nebbia. Intanto sembra forse configurarsi, peraltro tra diverse incertezze e con qualche riserva, una possibile alleanza tra la gran parte dei paesi in via di sviluppo. Speriamo che comunque abbia in qualche modo alla fine ragione Martin Wolf, anche se il suo ottimismo non appare molto condiviso in giro.
Articoli citati nel testo
-Benhamou F., Cartapanis A., L’inflation, il y en a pour longtemps ?, Le Monde, 18-19 dicembre 2022
-Benoit G., Les Etats européens vont s’endetter plus et plus cher sur les marchés, Les Echos, 8 dicembre 2022
-Lemaitre F., Xi Jinping recu en majesté en Arabie Saudite, Le Monde, 10 dicembre 2022
-Macaire C., La Chine en quete d’un nouveau modèle de croissance, Le Monde, 11-12 dicembre 2022
-Masciandaro D., I tempi e la direzione della rotta restano ignoti…, Il Sole 24 Ore, 15 dicembre 2022
-Roubini N., L’inévitable crack, Les Echos, 8 dicembre 2022
–The Economic Times, IMF, World Bank sound alarm about global economic outlook, www.economictimes.com, 11 dicembre 2022
–The Economist, The monetary marathon, 10 dicembre 2022
-Tindera M., Wolf M., Martin Wolf on the economy in 2023, www.ft.com, 14 dicembre 2022
27 Dicembre 2022