di ALBERTO DI PISA
Un contributo notevole alla conoscenza dell’intreccio tra ‘ndrangheta, massoneria e poteri dello Stato è venuto dalla collaborazione di due personaggi di rilievo, il notaio Pietro Marrapodi, ex democristiano e il sindaco di Reggio Calabria Agatino Licandro, entrambi massoni. Il Marrapodi, dopo avere nel 1992 abbandonato la massoneria, denunciò ai magistrati della Procura di Reggio Calabria le attività illecite della ‘ndrangheta in città accusando anche alcuni magistrati di contiguità con elementi della ‘ndrangheta.Il 28 maggio 1996 venne trovato impiccato nella sua abitazione.
Qualche dubbio fu avanzato se si fosse trattato di suicidio considerato anche il fatto che a seguito della sua collaborazione aveva subito minacce tanto che aveva richiesto una scorta. Le indagini non fornirono però elementi in contrasto con l’ipotesi del suicidio. Il Marrapodi era considerato dai magistrati della Procura reggina un collaboratore altamente attendibile tantè che dopo la sua morte, nel dibattimento di primo grado davanti la Corte di Assise, il Sostituto procuratore, Salvatore Boemi ebbe a dichiarare : “Pietro Marrapodi e Giacomo Lauro sono due personaggi che con più chiarezza hanno tracciato la perfida alleanza tra il mondo massonico deviato in questa città e le organizzazioni mafiose. E’ un livello dove mafia, politica economia e istituzioni deviate dello Stato si incontrano per stabilire affari, spartizioni, ridisegnare geografie di potere”.
Agatino Licandro venne raggiunto da una ordinanza di custodia cautelare per abuso di potere con vantaggio patrimoniale e, successivamente, da altra ordinanza in carcere, per concussione in seguito alle dichiarazioni di un imprenditore. Condannato per i reati per cui era stato tratto a giudizio decise di collaborare con la giustizia rivelando il meccanismo di potere che gestiva la città di Reggio. Parlò di un vero e proprio comitato di affari di cui facevano parte rappresentanti delle istituzioni, magistrati della Corte dei Conti, cinque sindaci della città, di cui tre democristiani e due socialisti. Tutti respinsero le accuse.
A seguito delle propalazioni del Licandro vennero emessi tre mandati di cattura nei confronti di tre politici di primo piano di Reggio, Franco Quattrone, Pietro Battaglia e Giovanni Palamara e un quarto mandato di cattura nei confronti di Giuseppe Nicolò. A tutti venne contestato di avere fatto parte del vertice politico che aveva deciso l’eliminazione di Ludovico Ligato ex presidente delle Ferrovie. Insieme a loro vennero accusati per l’omicidio, quali esecutori materiali alcuni boss della ‘ndrangheta. L’accusa nei confronti dei politici non resse tuttavia in Cassazione.
Va infine osservato come, a differenza di quanto è avvenuto nella mafia siciliana, in cui dopo Buscetta e fino ad oggi si è assistito ad un vero e proprio fiorire di collaboratori di giustizia, nella ‘ndrangheta si è avuto un numero esiguo di pentiti. La ragione del numero ridotto di collaboratori si spiega con il fatto che mentre Cosa Nostra uccide i parenti dei pentiti e talvolta gli stessi pentiti, la ‘ndrangheta adotta una strategia più sottile consistente nel ricontattare i pentiti, uno per uno, cercando di riconquistarli.
Rocco Lombardo, Procuratore della Repubblica di Lodi, infatti, nella relazione antimafia del 2008 ha formulato il convincimento che la ‘ndrangheta dispone di mezzi economici di gran lunga superiori a quelli dello Stato per pagare i pentiti e può in questo modo agire per far ritrattare quanto dichiarato o per impedire le confessioni”
E’ nel contesto sopra delineato che si inserisce la vicenda giudiziaria di Antonio Caridi al quale viene contestato dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria di essere un dirigente ed organizzatore della componente riservata della ‘ndrangheta, nella cui veste, in tutte le consultazioni elettorali dal 1997 sino alle elezioni regionali del 2010, avrebbe goduto dell’appoggio elettorale del clan De Stefano e dei clan Crucitti ed Audino di Reggio Calabria nonché del medico Giuseppe Pansera, genero del boss Giuseppe Morabito di Africo, uno fra i capi assoluti di tutta la ‘ndrangheta.
Nell’ordinanza del GIP Caridi viene poi accusato di avere interferito sull’esercizio delle funzioni di organi di rango costituzionale di cui è, oppure è stato, componente e le cui funzioni avrebbe contribuito a piegare verso interessi di parte in grado di provocare vantaggi ed utilità personali, professionali e patrimoniali. A tal proposito il Gip fa riferimento all’assunzione di Savio Leandro Vittorio, dirigente di settore dell’afor – Forestazione di Reggio Calabria nonché di Giuseppe Richichi, direttore operativo di Multiservizi Spa ritenuto ” affiliato di rilievo alla cosca Tegano di Archi di Reggio Calabria”, di Bruno De Caria, direttore operativo di” Leonia spa”, affiliato di rilievo della cosca Fontana di Archi di Reggio Calabria, di Logotea Demetrio, presidente del Consiglio di amministrazione della società Fata Morgana Spa, espressione politica di Giuseppe Scopelliti, di Aiello Salvatore, direttore operativo di Fata Morgana Spa, poi divenuto collaboratore di giustizia. Tutti i suddetti personaggi, secondo l’accusa sarebbero stati favoriti dal Caridi nei periodi in cui aveva ricoperto l’incarico di assessore all’Ambiente del comune di Reggio Calabria (dal 2002 al 2007 e dal 2007 al 2010).
Lungo è l’elenco delle assunzioni “favorite” da Caridi elencate nell’ordinanza del GIP e tutte interessanti le società partecipate e soggetti appartenenti alla ‘ndrangheta o a questa organizzazione criminale vicini. Il Caridi poi, sempre secondo quanto riportato nell’ordinanza del GIP, avrebbe imposto all’Azienda ospedaliera Bianchi-Melacrino-Morelli l’assunzione della signora Concetta Santoro, moglie di Nicolazzo Bruno appartenente alla cosca Tegano.
Viene ancora contestato a Caridi di avere imposto ai dirigenti delle FF.SS, l’aumento del volume di lavoro della ditta Ferroser per consentire alla cosca Tegano di accrescere l’importo della somma di denaro imposta mensilmente a titolo di tangente. Nel periodo poi in cui ricopriva la carica di Assessore regionale alle attività produttive, Caridi avrebbe canalizzato sul clan Pelle di San Luca i contributi per il settore agricolo di sua competenza previa, scrive il GIP, “predisposizione di procedure pilotate e caratterizzate da false attestazioni”.
La vicenda giudiziaria del senatore Caridi costituirebbe una conferma di quanto giudiziariamente accertato in passato cioè di come oggi la ‘ndrangheta abbia raggiunto un notevole livello organizzativo con esponenti delle cosche che hanno acquisito la possibilità di muoversi liberamente tra apparati dello Stato, politica, servizi segreti, massoneria e gruppi eversivi ed altresì una conferma di come fosse fondata l’intuizione del Procuratore Cordova che aveva ipotizzato l’esistenza di una super loggia segreta e ciò ove si consideri che Caridi è accusato di essere un dirigente e un organizzatore di una componente riservata della ‘ndrangheta.
(fine)
09 agosto 2016