La strage senza colpevoli, il massacro di 81 innocenti senza giustizia. Ma forse, dopo 35 anni di colossali menzogne e depistaggi di Stato (anzi, di Stati), di false piste, di clamorosi flop giudiziari, c’è uno spiraglio, nella tragedia di Ustica che compie, appunto, 35 anni. E, fra quei poveri relitti, forse viene a galla la sagoma di una “verità”.
Ha un nome, Clemenceau, quella verità. Qualche traccia spunta tra le ultime carte giudiziarie, una portaerei francese quasi fantasma. La Voce ne aveva scritto vent’anni fa, una cover story dedicata al già eterno giallo di Ustica e soprattutto un’intervista-bomba in cui veniva fatto esplicito riferimento alla Clemenceau come postazione strategica per quella strage. Come mai sono trascorsi, da allora, vent’anni di vuoto & finte investigazioni? Ma partiamo dagli ultimi sviluppi.
Dopo l’ultradecennale inchiesta portata avanti dalla toga il cui nome, nelle storiografie giudiziarie, s’identifica con Ustica, ossia Rosario Priore, che accerta una dinamica “missilistica” della strage senza peraltro trovarne mandanti ed esecutori, eccoci alla riapertura delle indagini, otto anni fa, affidata a due pm della procura romana, Erminio Amelio e Maria Monteleone. Il caso si rianima grazie ad una picconata dell’ex capo dello stato Francesco Cossiga, uno che conosceva bene i fatti, essendo fra l’altro all’epoca, 1980, presidente del consiglio. Cossiga parla senza peli sulla lingua di responsabilità francesi, di un missile e anche di una portaerei. E’ per via di quelle tracce, di quei tasselli indicati dall’ex presidente della repubblica che il fascicolo, ormai sepolto, riprende fiato.
Nel corso della nuova inchiesta alcune piste vengono decisamente escluse, altre rianalizzate. Ed emergono scenari internazionali da brividi. Procediamo con ordine.
Esclusa, archiviata per sempre, la pista della bomba a bordo. Ora – ma solo ora – è ufficialmente una “bufala”: per anni è servita, però, come ottimo ingrediente per svariati depistaggi.
In soffitta anche il cedimento strutturale, altra traccia depistante dura a morire. “Non fu bomba né cedimento strutturale – sintetizzano i pessimisti di oggi – queste le uniche verità incontestabili: ma gli inquirenti non sono in grado di affermare definitivamente cosa accadde”.
Eccoci allora allo scenario che – in ambienti giudiziari capitolini – viene definito quello forse più accreditato dai pm: la “quasi collisione”, visto l’incredibile affollamento che, quella tragica notte, caratterizzava i cieli del Tirreno. 21 velivoli tracciati dai radar, secondo alcune fonti. “Aerei ombra”, secondo definizioni tecniche: per certi versi in linea con la perizia stilata dai superconsulenti di Priore, Carlo Casarosa e Manfred Held, che parlavano esplicitamente di “intercettazione da parte di un velivolo nascosto”. Ancora: nelle carte dell’inchiesta riavviata nel 2008, si parla di “Dc9 usato come ombrello per sfuggire ai radar della difesa aerea”.
Insomma, un traffico che neanche nelle ore di punta. Tra velivoli Nato, a stelle e strisce, libici (e finti libici, secondo accreditate piste di anni fa, con tanto di piloti antiGheddafi prezzolati per addossare la colpa della strage al colonnello). In quei cieli, lungo la dorsale dell’appennino tosco emiliano, tra gli altri, volava di sicuro un Awacs, in funzione di “guida caccia”. Per far cosa? Impossibile appurarlo, anche per gli attuali inquirenti. Si è ipotizzato, a lungo, che potesse trattarsi di un velivolo della Nato. Dopo lunghe ricerche, fonti Nato rivelano: quell’Awacs è non è degli alleati, ma proprio degli Usa. A questo punto Amelio e Monteleone inviano una serie di domande agli alti comandi militari a stelle e strisce. Fino ad oggi, neanche lo straccio di una risposta. Verranno – come vedremo tra poco – superati dai francesi, capaci di mettere nero su bianco bugie grandi come una casa: o meglio, come una portaerei.
Passiamo al terzo scenario, il missile. E ad alcune variazioni sul tema. Ossia un missile lanciato da un caccia. Il quale, a sua volta, può essere partito da una base terrestre, oppure navale: entrambe le piste, a quanto pare, sono state – e sono – al vaglio dei due pm della procura di Roma.
Partiamo via terra. L’indiziata numero uno – stando a questo copione – è la base francese di Solenzara, in Corsica. Il cui nome fa capolino nelle dichiarazioni di Cossiga, ma soprattutto in quelle, di molti anni fa, rese da un generale dei carabinieri ed ex braccio destro di Carlo Alberto Dalla Chiesa, Nicolò Bozzo. Il quale, quella notte, era di stanza proprio a Solenzara: “non riuscivo a dormire perchè parecchi velivoli decollarono, tenendomi sveglio”: cosa inusuale, perchè nessun mezzo poteva partire dopo la mezzanotte (le autorità francesi lo hanno sempre negato, ma dagli accertamenti giudiziari è emerso che quella notte la base fu attiva ben oltre il rituale orario). Possibile saperne qualcosa di più da chi guidava quella base corsa? A quanto pare no: il comandante e il suo vice, nel frattempo, sono morti.
Andiamo ora via mare. E arriviamo alle portaerei dei misteri. Nel ventaglio delle ipotesi studiate dagli inquirenti, ci sono sempre dei missili, partiti da caccia militari. Statunitensi, come documenterebbero alcuni tracciati dei tracciati radar di Ciampino? Oppure francesi? E’ questa la pista Cossiga. Il quale avrebbe precisato, nella sua verbalizzazione, che si “tratta di un missile aria aria”, “a risonanza e non a impatto”, “sparato da un caccia decollato da una portaerei francese, mentre tentava di intercettare e colpire un aereo libico con a bordo Gheddafi”. L’ex presidente-picconatore, però, è stato sempre scettico sulla possibilità di accertare le verità su Ustica: “Non si saprà mai nulla. La Francia sa mantenere un segreto”.
Il segreto riguarda le portaerei Clemenceau e Foche, rispettivamente al comando di Jean de Laforcade e Alain Coatanea. Gli indizi portano tutti alla prima. Ma de Laforcade, purtroppo, non può fornire spiegazioni: morto anche lui. Che fare, allora? Il pm Amelio ha interpellato le autorità francesi. Dove si trovavano le due portaerei quella notte? Risposta: a poca distanza dal porto di Tolone. Tali circostanze negli ambienti giudiziari romani spingono ad una conclusione: la pista del missile conduce ad una portaerei non identificata. Una gigantesca sagoma galleggiante che improvvisamente diventa fantasma, un ufo, “non trovata”.
Ma ecco che, vivaddio, arrivano i nostri. E suonano le fanfare. Così esulta il super esperto di Ustica, Andrea Purgatori, un tempo firma del Corsera, oggi per l’Huffington Post: “C’era una portaerei nel triangolo di mare tra Napoli, la Sardegna e Palermo la notte della strage di Ustica. I magistrati ne sono certi ‘al mille per mille’. Una portaerei – spiega – che ha visto tutto coi i suoi radar. Che probabilmente era coinvolta nello scenario di guerra nel quale il Dc9 fu abbattuto per errore. Che si è allontanata rapidamente dopo l’esplosione insieme al convoglio di navi da cui era seguita”. E ancora: “C’è qualcosa di più e di più concreto, coperto dal riserbo, per consentire ai magistrati di poter affermare che in quello scenario di guerra va certamente posizionata anche una portaerei”.
Qualcosa di più – e di molto più concreto – c’era già molti, molti anni fa: addirittura a fine ’91, quando alla Voce raccontava non pochi retroscena l’allora deputato socialista Franco Piro, che parlò espressamente di “Clemenceau”, delle forti volontà di eliminare Gheddafi e di un “accordo segreto della Nato con un paese alleato”.
Le Voce ne ha scritto diffusamente in due cover story, a febbraio ’94 e, dopo l’uccisione di Gheddafi, a novembre 2011 (guarda caso, ad addestrare e organizzare gli insorti libici, in prima fila gli yankee e, ancor di più, i francesi). In entrambe le inchieste fanno capolino i servizi segreti. Lo scenario descritto da Piro, del resto, combaciava con quello fornito da un ex agente dei Servizi, Alessandro Vanno, autore di un esplosivo memoriale su Ustica & dintorni.
E poi. I rilievi per cercare resti & prove sui fondali, chi li avrà mai fatti? La Mediterranean Survey and Service, creatura del super faccendiere a un passo da Dio Francesco Pacini Battaglia, al suo fianco l’ex capo di stato maggiore della Difesa (ai tempi della strage) Giovanni Torrisi. Del resto, a spalleggiare Pacini Battaglia in un’impresa stavolta volante, Ali Aero Leasing Italiana, c’era l’ex capo di squadra aerea Paolo Moci: scopo della società l’addestramento di piloti libici. Con una commessa, allora, miliardaria in arrivo proprio dal colonnello Gheddafi, e “intermediata” grazie ai servizi del piduista ed ex capo del Sismi Giuseppe Santovito.
Ma qualcuno ha mai indagato su tutti quei “servizi”?
—————————
Per approfondire, leggi
“Gheddafi, corpo che parla”, inchiesta della Voce di ottobre 2011
28 giugno 2015