“Clericalismo è tutto fuorché qualcosa di religioso, perché è il ricatto, è il profitto sulla religione” (padre Giulio Bevilacqua)
Mentre la scuola pubblica viene privata delle più elementari risorse, prospera con fondi e privati e pubblici una scuola privata dove vige l’omologazione culturale e l’autoritarismo pedagogico; una scuola fortemente caratterizzata ideologicamente; che prevede distinte una scuola per poveri e una scuola per ricchi; la scuola della “chiamata diretta” e del “buono scuola” come forma di finanziamento pubblico indiretto: una scuola che nulla ha a che vedere con la scuola della Costituzione. Di questo modello di scuola proponiamo una analisi in questo articolo uscito sul n. 14 della rivista «Gli Asini». E invitiamo i lettori a due firme: una alla petizione proposta dall’Associazione Nonunodimeno per abolire i buoni scuola erogati dalla Regione Lombardia; una all’appello “Bologna riguarda l’Italia” del Comitato Art. 33 per il voto a favore dell’abolizione dei finanziamenti pubblici alle scuole private nel referendum bolognese del 26 maggio.
L’educazione con Comunione e Liberazione
di Giorgio Morale
La scuola di mamma e papà
«La Zolla è un esempio di scuola cattolica che ha fatto proprio il principio di sussidiarietà, applicato quando ancora nessuno conosceva la parola: mamma e papà, insieme, hanno cercato insegnanti ed aule per costruire insieme una scuola ed hanno lottato per il suo riconoscimento pubblico».
Queste parole «semplici» e rassicuranti sul sito de La Zolla sono una buona introduzione alla scuola di CL (Comunione e Liberazione): a monte di esse c’è la parola del fondatore don Luigi Giussani, a valle quella pratica di CL-CDO (Compagnia delle Opere) oggi ben nota in Lombardia: la costituzione di un sistema che garantisce – attraverso l’occupazione dei centri del potere politico e un far lobby che coinvolge associazioni, imprese, banche – la conquista di una posizione egemonica nei vari settori.
Don Giussani era consapevole della centralità dell’istruzione, famoso il suo «mandateci in giro nudi, ma lasciateci liberi di educare», perché «L’idea fondamentale di una educazione rivolta ai giovani è il fatto che attraverso di essi si ricostruisce una società; perciò il grande problema della società è innanzitutto educare i giovani (il contrario di quel che avviene adesso)» (Luigi Giussani, Il rischio educativo, p. 15). «La vera educazione» diceva «deve essere un’educazione alla critica». L’argomentazione di don Giussani prosegue sostenendo che educazione è «introduzione alla realtà» e che «per educare occorre proporre adeguatamente il passato», il quale «può essere proposto ai giovani solo se è presentato dentro un vissuto presente».
Il passato da proporre e che può costituire un criterio contro lo sbaraglio prodotto dalla mentalità laicistica, contro lo scetticismo e il neutralismo che appiattiscono ogni valore è «un’esperienza che è l’esito di un lungo passato: duemila anni»: l’esperienza cristiana. E qui entrano in campo mamma e papà: «La lealtà con l’origine occorre sia innanzitutto dei genitori». Sono loro a dare la vita e ad aiutare a crescere, e perciò a dover assumersi una responsabilità e ad esercitare un richiamo che inserisca i figli nella «realtà totale» che discende dalla continuità con quella tradizione e dalla coerenza con essa. Alla loro autorità considerata «naturale» i figli devono rispondere con una soggezione affascinata e inevitabile.
Il richiamo all’esperienza cristiana in cui i genitori cristiani educano i figli è valorizzato «al massimo nella Chiesa». Solo una scuola da essa ispirata può «creare coscienze veramente aperte, e spiriti veramente liberi», poiché la critica per non agitarsi a vuoto deve essere esercitata all’interno di una tradizione e nell’obbedienza a una autorità. Autorità che dalla Chiesa e dalla famiglia passa alla scuola, «prosecuzione e sviluppo dell’educazione data dalla famiglia». Presupporre nel giovane una libera facoltà di scelta del meglio e maturità di giudizio è «metodo diseducativo per eccellenza» che «genera solo irrazionalismo e anarchismo». Insomma, dalla educazione come educazione alla critica siamo approdati alla scuola come esercizio di un’autorità e trasmissione di un’ideologia.
Sussidiarietà, per una scuola tutta per sé
Ecco perché mamma e papà ciellini devono farsi una scuola tutta per sé. Come dice Giorgio Vittadini, fondatore e presidente fino al 2003 della CDO, nonché fondatore della Fondazione per la Sussidiarietà e della Fondazione Meeting per l’amicizia tra i popoli (Meeting di Rimini), «lo statalismo, il centralismo… uccide l’autonomia, la creatività e la libertà nella scuola statale. Bisogna avere il coraggio di valorizzare l’autonomia nella scuola pubblica e le scuole libere» (ilsussidiario.net, 12/5/2012).
Secondo la formulazione di Onorato Grassi, ciellino doc e consigliere dell’Istituto Sacro Cuore, «l’autonomia costituisce il principio strutturale dell’esercizio della libertà nella società, così come la sussidiarietà ne rappresenta il principio funzionale». Per Grassi la «scuola tutta per sé» realizza quattro modelli:
«I. Modello efficientista. La scuola libera funziona meglio delle altre… II. Modello morale… È una scuola “sicura sotto l’aspetto morale”… III. Modello sociale. La scuola nasce come risposta ad un bisogno sociale… IV. Modello culturale. È quello di scuole che si fondano su una proposta educativa e culturale e tendono sia alla crescita intellettuale e morale dell’alunno, sia alla verifica e all’attualizzazione di una tradizione culturale cui si richiamano» (ilsussidiario.net, 3/3/2012).
Sono ispirate a questo modello le scuole private associate alla FOE (Federazione Opere Educative) della CDO. Esse sono in Italia oltre 400, di cui circa 120 in Lombardia: l’elenco completo si può visionare sul sito http://www.foe.it. Proviamo a vederne qualcuna: l’Istituto Sacro Cuore, di cui è presidente l’avv. Paolo Sciumè, consigliere in Mediolanum Assicurazioni e Mediolanum Banca di Silvio Berlusconi, imputato nel crac Parmalat e per riciclaggio del patrimonio di Vito Ciancimino. L’Istituto è gestito dal 1984 dalla Fondazione Sacro Cuore della Fraternità di Comunione e Liberazione.
L’Istituto, che comprende dalla scuola dell’infanzia ai licei, offre servizi che qualsiasi scuola pubblica vorrebbe poter offrire ai propri studenti: gli alunni del liceo possono fermarsi a studiare a scuola di pomeriggio usufruendo di aule di studio con la presenza di un insegnante; un giorno la settimana sono attivati corsi di musica; la Polisportiva permette di svolgere attività anche agonistiche; tutti i pomeriggi gli studenti del liceo possono disporre di tre laboratori multimediali.
Che una tale scuola esista non costituisce un problema, secondo la Costituzione «Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato» (art. 33), il problema nasce quando, in base al servizio svolto, la scuola «tutta per sé» chiede allo Stato di sostenere con denaro pubblico quei genitori che «scegliendo per i propri figli una scuola non istituita dallo Stato, si trovano costrette a sostenere un costo economico supplementare» (sito dell‘Istituto Sacro Cuore).
Ed è solo l’inizio
In Italia è stato Luigi Berlinguer, ministro dell’Istruzione nel primo governo Prodi, ad aprire con due decreti (261/98 e 27/99) la via della parificazione tra scuola statale e scuola privata, con la motivazione che entrambe svolgono una funzione pubblica: «La scuola è “pubblica” per la funzione che svolge, non per il soggetto che la gestisce» approva Onorato Grassi (ilsussidiario.net, 19/5/2012). E’ stato poi il secondo governo D’Alema con la legge 62/2000 a estendere alle scuole paritarie le esenzioni fiscali previste per gli enti senza fine di lucro, a istituire i buoni scuola come contributi destinati alle famiglie a parziale copertura delle spese scolastiche e ad aumentare i finanziamenti per le scuole parificate.
Il decreto 27/2005 del ministro Moratti ha garantito ulteriori vantaggi alle scuole private, trasformando i contributi in «partecipazione alle spese», aumentando i finanziamenti e abbassando da 10 a 8 il numero minimo di studenti per classe necessario alle scuole private per ottenere l’accesso ai contributi. Il governo Berlusconi ha ancora aumentato il fondo per il buono scuola concesso a prescindere dal reddito.
Per certi teorici del principio di sussidiarietà, ciò è solo il primo passo verso un totale arretramento dello Stato la cui gestione in proprio di servizi viene considerata una illegittima ingerenza negli affari della persona. Mentre alcuni sostenitori della sussidiarietà infatti concepiscono lo Stato come gestore e regolatore del sistema, altri sostengono, come diceva Pio XI nella Quadragesimo Anno (1931), che «è necessario che l’autorità suprema dello Stato rimetta ad assemblee minori ed inferiori il disbrigo degli affari e delle cure di minore importanza». Insomma, lo Stato si faccia da parte e pensi solo a pagare.
Il «buono scuola» per i ricchi
In Italia i contributi statali per i buoni scuola sono cumulabili a quelli regionali, difatti in Lombardia dal 2001 è operativo il «buono scuola» poi ri-denominato «dote per la libertà di scelta». Le condizioni per ottenere il buono sono stabilite in modo da avvantaggiare le famiglie che iscrivono i figli alle scuole private («che applicano una retta d’iscrizione e frequenza»). Infatti la famiglia che iscrive un figlio a una scuola statale per usufruire del buono deve avere un ISEE inferiore o uguale a euro 15.458 e può ottenere un contributo massimo di 140 euro. La famiglia che iscrive un figlio a una scuola privata deve avere un Indicatore reddituale inferiore o uguale a 30.000 euro e può ottenere un contributo fino a un massimo di 1.450 euro. Da notare che l’Indicatore reddituale richiesto per chi iscrive il figlio a una scuola privata, calcolato secondo un meccanismo inventato ad hoc, «considera soltanto la composizione e il reddito del nucleo familiare, ma non il patrimonio mobiliare, né quello immobiliare» (Rapporto sul buono scuola 2009 del gruppo consiliare regionale di Rifondazione Comunista).
Il risultato è che oltre 4.000 beneficiari del buono scuola dichiarano al fisco un reddito tra 100.000 e 200.000 euro annui e che alcuni risultano residenti in zone prestigiose e costose, come a Milano in Galleria Vittorio Emanuele o via Manzoni. Nell’anno 2008-2009, secondo il Rapporto, al 9% degli studenti iscritti alle scuole private è andato l’80% dei fondi per il diritto allo studio, e tra queste la parte del leone spetta alle scuole associate alla CDO. In quell’anno il citato Istituto Sacro Cuore figura al primo posto per l’entità dei contributi andati ai suoi studenti con un finanziamento di 788.893,56 euro.
La scuola per i poveri: il business della formazione professionale
Passiamo a un altro ordine di scuola. CL ha intuito prima di altri che la formazione professionale poteva costituire un business. Quasi un ventennio di presidenza Formigoni ha realizzato una pressoché totale identificazione fra CL-CDO e strutture regionali e ha permesso agli enti formativi legati a CL di prosperare. Lo strumento principe è stato l’istituzione della «dote scuola» con la Legge Regionale 6/8/2007, n. 19. La «dote» è una disponibilità economica virtuale che il cittadino lombardo può spendere presso qualsiasi ente formativo accreditato per accedere a servizi di istruzione (dote scuola: 4.550 euro annui per un allievo iscritto a un istituto privato accreditato dalla Regione, 2.500 euro per un istituto accreditato statale), di formazione professionale (dote formazione: fino a 5.000 euro annui) e di sostegno al lavoro (dote lavoro: a partire da 1.500 euro annui). Il 3 maggio di quest’anno la Regione Lombardia annuncia anche una «dote imprenditore»: fino a 5.000 euro di contributi per la formazione degli imprenditori.
L’istituzione della dote scuola ha incoraggiato il proliferare dei centri di formazione professionale: circa 600 in Lombardia, di cui oltre il 30% legati a CL (vedi Ferruccio Pinotti, La lobby di Dio, p. 221). A facilitare il loro lavoro, oltre alle relazioni privilegiate con il governo regionale, il fatto di poter disporre di una rete precostituita di enti appartenenti alla CDO a cui fare riferimento, visto che un requisito richiesto da molti progetti è che coinvolga una «rete». E CL ha già pronta una rete che schiera sempre gli stessi soggetti: nel campo della formazione Galdus, Consorzio Scuole Lavoro, La Strada, ecc.
Tra le tante strutture, una ha portata strategica e può essere assunta come prototipo: Galdus. Basti pensare che Galdus ha ricevuto a vario titolo dalla Regione Lombardia nel 2009 finanziamenti per circa 1.772.960 euro, nel 2010 per 5.697.481 euro. Galdus è nata nel 1990 nella parrocchia di San Galdino a Milano. Oggi è un CFP accreditato dalla Regione Lombardia e si occupa di formazione per aziende, corsi di obbligo scolastico-formativo, laboratori per il tempo libero, accompagnamento al lavoro. Dispone di 4 sedi: 2 a Milano, 1 a Cremona, una a Zelo Buon Persico (LO). La più ampia è l’Officina dei giovani, un campus polifunzionale di oltre 18.000 metri quadrati in via Pompeo Leoni 2.
La struttura dell’Officina dei giovani, avuta in comodato per 35 anni dal Comune di Milano ai tempi del sindaco Moratti, è stata realizzata con un contributo di 8 milioni di euro della Regione Lombardia, a cui bisogna aggiungere altri 2 milioni per l’attività dei corsi di formazione e altri 10 milioni concessi per decreto presidenziale: una prerogativa del Presidente lombardo per evitare lungaggini, controlli e opposizioni. Inaugurata nel 2010, l’Officina conta più di 20 aule, 1 auditorium, spazi sportivi, appartamenti, un centro per il lavoro, laboratori per i corsi di formazione professionale. L’obiettivo è coinvolgere oltre 700 ragazzi dai 14 anni in su.
Ma l’attività di Galdus spazia in tutti i campi della formazione, dal corso di lingua italiana per stranieri al concorso di poesia per studenti, e in tutti gli ambiti fa la parte del leone.
Il famoso caso della scuola di CL di Crema
Un nuovo prototipo avrebbe dovuto essere la famosa scuola di CL di Crema, i cui lavori sono interrotti da quasi un anno senza che se ne conosca la ragione. Il finanziamento di questa scuola, subito denunciato da ReteScuole di Crema, è quanto di più straordinario possa esserci in un’Italia in cui gli edifici scolastici decadono e le scuole pubbliche vantano dallo Stato un credito di un miliardo e mezzo che presumibilmente non arriverà mai.
Il 26 marzo 2008 il sindaco di Crema Bruno Bruttomesso manda un fax alla Regione Lombardia per segnalare due interventi di edilizia scolastica in scuole non statali secondo lui meritevoli di contributi. Dopo due giorni i rappresentanti di Regione Lombardia, Comune di Crema e Fondazione Charis legata alla CDO firmano un protocollo d’intesa che prevede la partecipazione della Regione al finanziamento del nuovo edificio scolastico con 4,5 milioni di euro, su una spesa totale di 14 milioni. Questo grazie al fatto che dal 2006 un voto a maggioranza del Consiglio regionale permette di utilizzare una quota fino al 25% dello stanziamento complessivo per interventi di «programmazione negoziata», cioè una sorta di trattativa privata tra Regione, ente locale e privato.
Contuttociò, il cantiere è fermo ormai da più di un anno: sia per guai giudiziari della Fondazione Charis, sia per mancanza di fondi a causa della levitazione dei costi, sia perché le denunce di ReteScuole hanno evitato nuovi finanziamenti. Adesso è un imponente scheletro, un monumento al malgoverno.
Il nuovo istituto comprensivo, denominato Campus Fides et Ratio, su un’area di 30.000 metri quadrati avrebbe dovuto comprendere: dall’asilo nido alla scuola superiore, un centro di formazione professionale, chiesa, auditorium, palestra, centro di aggregazione giovanile, mensa, piscina coperta. Il Campus è progettato per 950 alunni e si articola su tre piani più un piano interrato per una superficie di 14.341 metri quadrati.
Qualche confronto può essere utile per cogliere la disparità del trattamento riservato a scuola pubblica e privata. Nel 2008, per l’adeguamento strutturale delle scuole pubbliche di tutta la Provincia di Cremona sono stati stanziati soltanto 400.000 euro, mentre per soli due istituti privati di Crema sono stati stanziati 1 milione per la «Cascina Valcarenga» e 150.000 per il «Paola di Rosa» della Fondazione Manziana. La situazione si è capovolta: adesso è la scuola pubblica statale a dover reclamare un trattamento di parità.
Non si adatta a questa pratica che unisce fede e affari quello che padre Giulio Bevilacqua, direttore spirituale di papa Paolo VI, definiva clericalismo? “Clericalismo… è tutto fuorché qualcosa di religioso, perché è il ricatto, è il profitto sulla religione”.
La «chiamata diretta»: per la scuola dell’ideologia e della presenza
La scuola modello CL si caratterizza anche per una dichiarata finalità ideologica in contrasto con il principio della laicità dello Stato: d’altra parte abbiamo visto come avere un «modello culturale» sia tra i suoi requisiti. Ad esempio l’ASLAM (Associazione Scuole Lavoro Alto Milanese) ha fra gli obiettivi primari l’«esigenza di veicolare attraverso una comunicazione chiara, la radice cattolica di ASLAM. Ancora più stringente è l’esigenza di mostrare l’efficacia del metodo educativo nato dal carisma di don Giussani utilizzato nella gestione delle risorse e nel rapporto con l’utenza, al fine di consentire a chi legge di individuare chiaramente l’identità di ASLAM» (vedi qui).
Questa «esigenza» si può fare risalire all’idea di don Giussani della necessità della visibilità della presenza dei cattolici nella società: «Far emergere l’unità dei credenti là dove il credente si trova: è il palesarsi della “comunione” che avrà come frutto sperimentabile nel tempo una “liberazione”» (La coscienza religiosa nell’uomo moderno, p. 75). Nella pratica ciò si traduce in una sorta di «occupazione militare» dei vari ambiti. Nella scuola CL tende a raggruppare i suoi studenti e insegnanti negli stessi istituti, dove muovendosi come un solo corpo impongono loro scelte e progetti promuovendo le loro associazioni e l’ostracismo di chi la pensa diversamente.
Un elemento per realizzare la presenza è quella che è stata battezzata «chiamata diretta» dei docenti. Il 4/4/2012 il Consiglio Regionale della Lombardia ha approvato la legge 146 denominata «Misure per la crescita, lo sviluppo e l’occupazione» voluta da Formigoni, che all’art. 8 prevede che «a partire dall’anno scolastico 2012/2013, a titolo sperimentale, le istituzioni scolastiche statali possono organizzare concorsi differenziati a seconda del ciclo di studi, per reclutare il personale docente necessario a svolgere le attività didattiche annuali e favorire la continuità didattica». La legge, bloccata perché per il governo violerebbe la Costituzione e per questo motivo l’ha impugnata dinanzi alla Corte Costituzionale, avrebbe consentito ai dirigenti scolastici degli istituti lombardi di scegliere una quota di docenti senza rispettare le graduatorie provinciali.
Nella prima stesura la componente ideologica era esplicitamente dichiarata:
«È ammesso a partecipare alla selezione il personale docente del comparto scuola che conosca e condivida il progetto e il patto per lo sviluppo professionale, che costituiscono parte integrante del bando di concorso di ciascun istituto scolastico».
Alla presenza è legata, nella teologia di CL, la compagnia, luogo in cui si realizza l’esperienza della comunione e quindi della liberazione. E’ la compagnia a ispirare quella pratica che accompagna l’aderente a CL «dalla culla alla tomba». Nelle scuole compagnia vuol dire avvicinare i compagni proponendo una rete amicale e di sostegno, studiare insieme, la scampagnata, la preghiera, l’adesione alle campagne politico-ideologiche nazionali promosse nelle scuole e nelle università, per lo più con sigle che non citano esplicitamente CL.
Un abbraccio in malafede
Dalla seconda metà degli anni Novanta è in ripresa in Italia il cattolicesimo più clericale, propiziato dagli ultimi due papati e favorito dalle forze politiche al governo nazionale, regionale e locale. Anche l’ideologia liberista, trionfante a livello mondiale, viene invocata a sostegno di politiche statali di finanziamento dell’iniziativa privata: così, si sostiene, viene incentivata una concorrenza virtuosa che dovrebbe avere come effetto una rincorsa al miglioramento della qualità del servizio accompagnata dalla riduzione dei costi. «La scuola privata è un risparmio per lo stato» è un ritornello tanto più ricorrente quanto più lo stato si mostra sensibile ad esso.
La scuola privata in realtà offre il suo servizio solo per i più abbienti che possono permettersi di pagare le rette di queste scuole, mentre continua a peggiorare il servizio che la scuola statale offre alla stragrande maggioranza della popolazione. Se infatti la scuola privata riceve risorse crescenti attraverso i mille rivoli di finanziamenti speciali, alle strutture, al diritto allo studio, a progetti, la scuola pubblica statale dal 2008 ad oggi ha avuto 8 miliardi e circa 140.000 lavoratori in meno, il blocco di scatti stipendiali e contratti, taglio di insegnamenti e ore di lezione, e si trova il 46% degli edifici non sicuri.
Si verifica quanto profetizzava Piero Calamandrei:
«il partito dominante… comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi… Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle sue scuole private» (III Congresso dell’Associazione a difesa della scuola nazionale, Roma 11/2/1950, vedi qui).
Si fatica a scorgere vie d’uscita e alternative. Le tappe del rafforzamento della posizione della scuola privata e in particolare di quella cattolica portano il nome di esponenti politici del centrosinistra. Il principio di sussidiarietà nella sua versione più spregiudicatamente affaristica ha fatto breccia anche in larghi settori del centrosinistra, il quale si mostra in gran parte disposto a un abbraccio col clericalismo in nome di un liberismo malinteso e professato in malafede. Vale in particolar modo per CL quanto Stefano Levi Della Torre dice della Chiesa:
«Cosa può avere in comune la Chiesa con il liberismo? Hanno in comune l’insofferenza verso le norme laiche della legislazione: il liberismo perché norme e quindi vincoli; la Chiesa perché laiche e cioè indifferenti, in linea di principio, alle prescrizioni confessionali. In nome dei suoi valori superiori la Chiesa pretende privilegi» (Laicità, grazie a Dio, p. 14).
(da «Gli Asini», a. III, n. 14, febbraio-marzo 2013, pp. 75-83)