Leonardo ha deciso di far ripartire la produzione dei cacciabombardieri F-35 nello stabilimento di Cameri. Con il rischi peri lavoratori
La vergogna F-35 al tempo del Covid-19. Una storia emblematica di una subalternità complice all’industria militare che sopravvive al “virus” e ai cambi di governo. Una storia italiana. Uno scandalo portato allo scoperto dalla Rete italiana per il Disarmo, Sbilanciamoci! E Rete della pace.
Da ieri, denunciano le tre organizzazioni, “è ripartita nello stabilimento di Cameri la produzione dei cacciabombardieri F35. Nonostante le richieste di questi ultimi giorni delle nostre campagne e reti, da associazioni ed organizzazioni della società civile il gruppo Leonardo ha deciso – sfruttando il consenso preventivo e ‘in bianco’ ottenuto dal governo – di riaprire lo stabilimento di assemblaggio e certificazione finale in provincia di Novara, con circa 200 operai presenti. E’ inaccettabile che – rischiando di far ammalare centinaia di lavoratori – sia stata presa la decisione di continuare le attività industriali relative a un cacciabombardiere d’attacco che può trasportare ordigni nucleari: non è certamente una produzione essenziale e strategica per il nostro Paese, in particolare in questo momento di crisi sanitaria.
Lavoratori a rischio
“Leonardo – prosegue il comunicato – fornisce come motivazione il rischio che – in caso di sospensione delle attività – si possano perdere commesse e posti di lavoro. Giustificazioni risibili e poco realistiche: le commesse in corso sarebbero solo sospese ed inoltre con tutto il mondo fermo per coronavirus è difficile ipotizzare che si realizzino fantomatiche cancellazioni motivate da semplice ritardo. Ne deriva dunque anche la falsa motivazione legata alla perdita di posti di lavoro, che invece è il solito stratagemma del “ricatto occupazionale” da sempre utilizzato dall’industria militare. E comunque si tratterebbe dello stesso rischio che stanno vivendo migliaia di imprese e milioni di lavoratori e professionisti che sono a casa seguendo correttamente le indicazioni di distanziamento sociale del governo ma che rischiano di finire in cassa integrazione e poi – magari – di perdere davvero il posto di lavoro. Mentre il Paese avrebbe bisogno di mascherine, ventilatori, professionalità e materiale sanitario si rischia di far ammalare i lavoratori per un cacciabombardiere. Una scelta sbagliata e inaccettabile”.
Riconversione, una battaglia di civiltà
Protesta e proposta: un mix praticato con determinazione e sapienza dal fronte “disarmista”. Con gli stessi soldi che dobbiamo
Ancora spendere per gli F-35 (almeno 10 miliardi di euro) potremmo fare le seguenti cose nei prossimi 10 anni: 100 elicotteri per l’elisoccorso in dotazione ai principali ospedali; 30 canadair per spegnere gli incendi durante l’estate; 5. 000 scuole in sicurezza a partire dalle zone sismiche a rischio idrogeologico; 1.000 asili nido pubblici, a favore di 30.000 bambini; 10.000 posti di lavoro per poter assistere familiari nel settore della non autosufficienza.
“E una cosa che abbiamo sempre visto – dice a Globalist Francesco Vignarca, Coordinatore della Rete Italiana per il Disarmo – ma in questo frangente stupisce ancora di più perché siamo in una emergenza mai vissuta. Davvero l’Italia è ferma, tranne che per il business delle armi. La cosa ancora più grave –sottolinea Vignarca – è che tutto questo succede per scelta autonoma delle aziende a cui il Governo ha fondamentalmente dato carta bianca. Il Governo ha il diritto-dovere di fare delle scelte, però deve assumersi le sue responsabilità, perché ad altri comparti produttivi non hanno dato facoltà di scelta”.
31 marzo 2020