Correva l’anno 1968. L’escalation statunitense in Vietnam era ai suoi massimi. Nell’estate ci fu l’invasione della Cecoslovacchia da parte dell’Unione Sovietica. Fu l’occasione per la destra per immaginare che i conti fossero pareggiati. Da allora accadde, nelle innumerevoli assemblee sul Sud-Est asiatico, immancabilmente, che qualcuno in fondo alla sala urlasse: “Vogliamo parlare della Cecoslovacchia?!”. Era ormai una specie di rito… Mi sono venute alla mente quelle grottesche performance davanti alle reazioni seguite al mio articolo sul “Fatto Quotidiano” sul tema della cattiva informazione, abbinata alla russofobia, e alla nostalgia della guerra fredda.
E torno per un momento al corpo medico russo in Italia, il cui arrivo era stato concordato ovviamente con le autorità del nostro Paese, ma che ha suscitato una furiosa orticaria, in taluni ambienti, e in prima fila si è collocato il quotidiano “La Stampa”, diretto da Maurizio Molinari, atlantista di ferro. A sua volta il giovane Iacoboni, passato all’onore delle cronache è membro dell’Atlantic Council (che ha nel suo statuto di “promuovere la leadership americana”…). Ma ciascuno ha le proprie idealità, il problema è che esse non dovrebbero diventare predominanti sulla etica professionale, tanto più nel caso specifico di chi fa giornalismo. Ricordo che Molinari, nel suo ultimo libro (il 21°!), uscito pochi mesi fa, teorizza che la guerra fredda è ripartita, e che è in corso l’“attacco all’Occidente” (questo il titolo). E tra gli attaccanti pone in primo piano la Russia di Putin.
In effetti la Russia è da tempo nel mirino di Molinari, e poi si lamenta se l’ambasciatore russo a Roma parla di “russofobia” del giornale torinese. Stavolta Molinari ha mandato all’attacco il soldato Iacoboni. Sui cui articoli, non ritornerò, ma come previsto, hanno suscitato irritazione a Mosca. Ma come? – si saranno detti i dirigenti russi – noi mandiamo, a nostre spese, in base a un accordo con il governo italiano, una spedizione a dare un aiuto concreto (nella provincia più toccata dal contagio e più trascurata, in Lombardia, quella di Bergamo), e questi scrivono non solo che il nostro aiuto è inutile, ma che si tratta di un cavallo di Troia, per invadere il Paese!? Dopo la protesta dell’ambasciatore, è intervenuto il portavoce del Ministero della Difesa, il quale dopo aver respinto al mittente tutte le accuse, palesemente false e infondate, già ridicolizzate da Travaglio, ha concluso con un motto tratto dalla Bibbia, precisamente dal Libro dei Proverbi: “Qui fodit foveam, incidit in eam”, che letteralmente significa: “Chi scava la fossa precipita in essa”. Il proverbio biblico ha avuto grande fortuna nella letteratura patristica, e poi successivamente è stato variamente tradotto e adattato in numerose lingue, con un significato ovviamente non letterale: ossia, chi tende insidie agli altri spesso ne rimane vittima lui stesso. Ma ha fatto comodo interpretare la frase come addirittura una esplicita minaccia di morte.
Di qui lo scandalo! Minaccia di morte da parte dei russi. Una pletora di difensori della libertà di stampa che non hanno avuto nulla da ridire sui “servizi” (al servizio di chi?) di Iacoboni, si è mobilitata sbandierando solidarietà al “giornalista minacciato” , e nessuno si è sognato di dire a Iacoboni di stare più attento a scrivere baggianate foriere di tempesta, come poi è stato, tempesta che avrebbe potuto benissimo portare non solo a un rientro immediato dalla spedizione russa, ma a una incrinatura delle relazioni diplomatiche, che, a ben riflettere, non era un effetto collaterale non previsto, ma forse un desiderio di Molinari. La guerra fredda non sta ripartendo? Forse sì, se ci sono giornalisti che si comportano così.
Mentre il direttore della “Stampa” l’indomani è sceso in campo addirittura con un solenne editoriale, in difesa del “suo” giornalista, Iacoboni si è agitato nella parte della vittima. E guarda caso il 4 aprile è insignito del Premio intitolato a un grande giornalista, Carlo Casalegno ucciso dalle BR nel 1977, premio per i “servizi sulla contestata missione russa nella Bergamasca”. Gli articoli farlocchi diventano verità assodata: “la contestata missione russa”. Contestata da chi? Dalle popolazioni locali abbandonate dalla Regione e dallo Stato? Dai parenti delle migliaia di morti? Dagli intubati in ospedali che erano luoghi di morte invece che di cura?
La gag Cecoslovacchia/Vietnam mi è venuta in mente proprio davanti a certi commenti di politici e giornalisti al mio articolo, commenti che (oltre alla lunga serie di ingiurie al sottoscritto) lungi dall’affrontare la questione – pettegolezzi e sospetti spacciati per verità da Iacoboni– hanno urlato: sì, ma in Russia non c’è libertà! E Putin è forse meglio? E i giornalisti in galera o ammazzati? Appunto: stiamo discutendo del Vietnam, e voi volete che si parli della Cecoslovacchia…
(La foto ritrae mezzi russi che hanno portato materiali e personale medico e sanitario in Lombardia. Fonte ufficiale della Federazione Russa)