Gli attivisti sono vittime di violenza nel 18% dei casi e di omicidi nel 13%, cifre che aumentano per le popolazioni indigene
Ma ambientalisti e difensori del diritto alla terra riescono a vincere fino al 27% dei conflitti ambientali
Nei giorni scorsi ci ha fatto un immenso piacere ricevere un messaggio da Rosalinda Martinez. Eugui Roy. Il giovanissimo erpetologo e militante della piccola associazione Biologgers Divulgacion de las Ciencias assassinato in Messico il 7 maggio. Rosalinda ha detto di apprezzare molto il nostro interesse e l’articolo che greenreport.it ha scritto su suo fratello e, alla nostra richiesta di ricevere aggiornamenti sugli sviluppi giudiziari della vicenda, ha risposto che «La vostra presenza nel processo di indagine dell’omicidio di mio fratello è della massima importanza per me. Con piacere condivido la pagina in cui è stato pubblicato tutto ciò che riguarda Eugui, sono molto lieta di sapere che l’eugui è un esempio per i giovani, è un modo per onorarlo».
Purtroppo il nuovo studio “Environmental Conflicts and Defenders: a global overview”, pubblicato su Global Environmental da un team di ricercatori catalani, cinesi, turchi e canadesi conferma che casi come quello di Eugui Roy non sono rari: «Gli attivisti che protestano contro le ingiustizie ambientali che si verificano in tutto il mondo sono vittime di alti tassi di criminalizzazione, violenza e omicidio.
I ricercatori guidati da Arnim Scheidel dell’Instituteut de Ciència i Tecnologia Ambientals de l’Universitat Autònoma de Barcelona (ICTA-UAB) hanno realizzato la più grande analisi dei conflitti ambientali condotta finora. Lo studio evidenzia che «Queste conseguenze sono particolarmente frequenti tra le popolazioni indigene del Pianeta e nei conflitti relativi all’estrazione mineraria e all’utilizzo del suolo».
I ricercatori del progetto Environmental Justice (ENVjustice) hanno analizzato 2.743 casi di conflitti ambientali in tutto il mondo registrati nel Global Atlas of Environmental Justice (EJAtlas), una mappa interattiva che identifica e individua i conflitti ecologico-fondiari esistenti e rappresenta un passo avanti nel campo dell’ecologia politica statistica e comparata.
All’ ICTA-UAB sottolineano che «Il movimento globale per la giustizia ambientale comprende attivisti locali contro l’estrazione di combustibili fossili, miniere a cielo aperto, piantagioni di alberi, dighe idroelettriche e altre industrie estrattive, nonché contro lo smaltimento di rifiuti in discarica o negli inceneritori». Per Joan Martínez-Alier, economista dell’ICTA-UAB e ricercatore capo del progetto ENVjustice, «Questa è l’ecologia dei poveri e degli indigeni» e Scheidel aggiunge: «Per supportare efficacemente i difensori dell’ambiente, è necessario comprendere meglio i conflitti ambientali sottostanti, nonché i fattori che consentono agli attivisti di mobilitarsi con successo per la giustizia ambientale».
I ricercatori hanno caratterizzato i conflitti ambientali e i difensori coinvolti e le strategie di mobilitazione che hanno avuto risultati positivi e dicono che «I dati analizzati dimostrano che gli attivisti sono, per la maggior parte, membri di gruppi vulnerabili che usano forme di protesta non violente. Tuttavia, l’attivismo ha un costo elevato per le loro vite. Nel 20% dei casi, gli attivisti affrontano alti tassi di criminalizzazione e le loro azioni di protesta hanno conseguenze sotto forma di denunce, multe, contenziosi e pene detentive. Nel 18% dei casi sono vittime di violenza fisica e nel 13% dei casi vengono uccisi. Queste cifre aumentano significativamente quando sono coinvolte le popolazioni indigene, raggiungendo il 27% nella criminalizzazione».
Ma gli ambientalisti e i difensori del diritto alla terra non mollano e «Nell’11% dei casi, le proteste hanno contribuito a fermare progetti distruttivi dal punto di vista ambientale e socialmente conflittuali, difendendo l’ambiente e i mezzi di sussistenza».
Uno degli autori dello studio, Juan Liu della China Agricultural University, sottolinea che «La combinazione di strategie di mobilitazione preventiva, diversificazione delle proteste e contenziosi può aumentare significativamente questo tasso di successo fino al 27%». Lo studio evidenzia anche il ruolo delle donne come leader delle mobilitazioni (nel 21% dei casi), che sono però anche spesso le più colpite dagli impatti ambientali e sulla salute generati dai conflitti.
Le mobilitazioni promosse dalla società civile a favore di utilizzi dell’ambiente più sostenibili e socialmente giusti avvengono in tutto il mondo, in paesi di tutti gli strati socioeconomici, «Il che – concludono i ricercatori – dimostra l’esistenza di varie forme di ambientalismo di base come forza promettente per la sostenibilità globale e la giustizia ambientale».
[4 Giugno 2020]