Discorso per l’inaugurazione del Wiener Festwöchendi Kay Sara, annotato da Milo Rau – 16 maggio 2020
Il discorso dell’attrice e attivista indigena Kay Sara che trovate pubblicato qui avrebbe dovuto inaugurare il Wiener Festwöchen al Burgtheater di Vienna. Ma il Coronavirus ha deciso diversamente, e Kay Sara ha registrato il suo discorso in video dall’Amazzonia perché venga trasmesso online per la prima volta questa sera. Kay Sara, con questo discorso, non inaugura soltanto il Wiener Festwöchen ma anche il primo episodio dello streaming live “School of Resistance”, un progetto di Milo Rau, dell’ Accademia delle Arti Tedesca, del teatro NTGent e della Fondazione della Cultura Federale Tedesca. Questo appuntamento di discussione bisettimanale offrirà una piattaforma ad esperti chiamati a discutere di un cambiamento possibile, per un mondo che vada oltre lo sfruttamento e l’oppressione: artisti, attivisti, politici e filosofi da ogni parte del mondo.
Che teatro fa condivide il video online, per noi sottotitolato in italiano, con dieci giornali internazionali tra cui Le Soir, De Morgen, Le Monde, NRC, Taz, Der Standaard, Tagesanzeiger.
Qui il link per poter vedere il primo episodio (in inglese).
Kay Sara è nata nello stato brasiliano dell’Amazzonia ed è attivamente impegnata per dare voce alle popolazioni indigene e proteggere il loro ecosistema. Interpreterà il ruolo di Antigone nella produzione di Milo Rau dell’Antigone di Sofocle “Antigone in the Amazonas”, prevista in Italia al Romaeuropa Festival nel 2021.
Questo discorso inizia con molti condizionali. Oggi, avrei dovuto essere sul palco del Burgtheater per inaugurare il Wiener Festwöchen. Sarei stata la prima donna indigena a tenere un discorso in quel teatro – il più grande e prestigioso teatro al mondo, così mi hanno detto. Avrei iniziato con una citazione di un classico europeo, l’Antigone di Sofocle: “Molte cose sono mostruose. Ma niente è più mostruoso dell’uomo”.
Sarei arrivata qui direttamente dalle nostre prove in Amazzonia di una nuova produzione europeo-brasiliana dell’Antigone. Io avrei interpretato Antigone, ribelle contro il sovrano Creonte che si è rifiutato di seppellire suo fratello in quanto nemico dello stato. Il coro sarebbe stato formato da sopravvissuti al massacro dei senza terra perpetrato dal governo brasiliano. Avremmo portato in scena questa nuova Antigone in una strada occupata attraverso l’Amazzonia – quelle stesse foreste bruciano senza sosta. Non sarebbe stato uno spettacolo, sarebbe stata un’azione. Non un atto artistico ma un atto di resistenza: contro il potere dello stato che sta distruggendo l’Amazzonia.
Ma non è accaduto niente di tutto questo. La strada che attraversa l’Amazzonia non è stata occupata e io non ho interpretato Antigone. Siamo di nuovo tutti sparpagliati per il pianeta, e ci vediamo l’uno con l’altro attraverso uno schermo – proprio come adesso. I miei amici europei mi hanno chiesto come stessi. Sto bene. Sono nella foresta, con la mia gente, nell’estremo nord del Brasile, sulle rive del fiume Oiapoque. La natura mi circonda, mi protegge e mi nutre. Vivo al ritmo del canto degli uccelli e della pioggia, ed ho eseguito un antico rituale per la mia protezione, creato dalla mia famiglia. Per la prima volta in 500 anni, l’Europa e l’America sono divise l’una dall’altra.
Appartengo al terzo clan dei Tariano, il Clan del Tuono. Sono una figlia del Dio del Tuono. Una volta, ce lo racconta il mito, noi Tariano eravamo fatti di pietra. Ma nei tempi moderni abbiamo acquisito un corpo umano in modo che potessimo comunicare con le persone giunte da noi. Mia madre, una Tucano, mi ha dato il nome Kay Sara. Significa: “Colei che si prende cura degli altri”. Quindi, solo da parte di padre sono una Tariano. Adesso vi sto parlando in portoghese brasiliano. Come chiunque, sono un incrocio di molte cose. Sono una Tucano e una Tariano, una donna, un’attrice, un’artista, una combattente per la resistenza. In questo momento, vi parlo essendo tutto questo.
Noi Nativi veniamo chiamati “Indiani”. Ma io insisto: dobbiamo essere chiamati “Indigeni” “Indiani” è un insulto che ci è stato imposto dagli invasori, per dirci che siamo inferiori – ed io voglio che non sia più così. Sono diventata un’attrice così che potessi parlarvi di noi, degli Indigeni.
Per lungo tempo, la nostra storia è stata raccontata usando le parole dei non indigeni. Adesso è venuto il momento di raccontarla con le nostre. La nostra disgrazia incominciò quando gli spagnoli e i portoghesi giunsero sulla nostra terra. Prima arrivarono i soldati, poi giunse il clero. Assieme agli europei giunsero anche le malattie. Migliaia di Tribù scomparvero. E altri milioni di noi morirono per mano dei soldati e del clero. Ma questi eventi sono stati dimenticati e ormai non si trovano più scritti da nessuna parte. Ci uccisero nel nome di un unico Dio e di un’unica civiltà, nel nome del progresso e del profitto.
Alcuni lavorarono per loro. Ma queste persone, indigeni e neri, furono poi schiavizzate e uccise. Oggi siamo rimasti in pochi: io sono una delle ultime del terzo clan dei Tariano. E poche settimane fa, la malattia successiva ci è arrivata dall’estero: il nuovo Coronavirus. Forse avrete sentito che a Manaus, la capitale dell’Amazzonia, l’epidemia sta colpendo in maniera consistente. Non c’è neppure tempo per fare i funerali. I corpi vengono accatastati con delle ruspe nelle fosse comuni. Altri giacciono sulle strade, insepolti come il fratello di Antigone.
I bianchi usano il caos per penetrare ancora più in profondità nelle foreste. Le foreste bruciano, la deforestazione è divenuta ancora più intensa. Chi è il responsabile? Chiunque finisca nelle mani dei tagliatori di legna viene ucciso. E il Presidente che ha fatto? Quello che fa sempre: stringe le mani dei suoi sostenitori e deride i morti. Ha ordinato al suo staff di abbandonare le popolazioni indigene al loro destino. Questo per noi equivale ad una condanna a morte. Bolsonaro vuole completare il genocidio degli indigeni che va avanti ormai da 500 anni.
Lo so, siete abituati a discorsi come questo. Quando ormai è troppo tardi, arriva sempre un veggente. Quando nelle tragedie greche compaiono Cassandra o Tiresia, capisci subito che c’è un disastro che ha già fatto il suo corso. Questo perché a voi piace sentirci cantare, ma non sentirci parlare. E quando ci ascoltate, non ci capite. Il problema non è che non sappiate che le nostre foreste stanno bruciando e la nostra gente sta morendo. Il problema è che voi vi siete abituati a saperlo. Noi no.
Quindi adesso vi racconterò quello che tutti voi già sapete: un po’ di anni fa, gli affluenti dell’Amazzonia si sono prosciugati per la prima volta a memoria d’uomo. Se non agiamo adesso, nell’arco di dieci anni, l’ecosistema dell’Amazzonia scomparirà. Il cuore di questo pianeta smetterà di battere. Questo è ciò che dicono i nostri scienziati, e quello che dicono anche i vostri – e forse è l’unica cosa su cui sono d’accordo. Moriremo, se non agiamo subito. Non possiamo essere così egoisti da negare alle future generazioni ciò che abbiamo di più importante: la Natura. E con essa, tutto quello che ci è indispensabile per sopravvivere come esseri umani.
Nelle scorse settimane ci hanno mandato una moltitudine di opuscoli firmati da celebrità. Meno voli, meno sfruttamento, meno omicidi. Ma come potete credere che, dopo 500 anni di colonizzazione, dopo migliaia di anni di sottomissione del mondo, possiate essere ancora capaci di pensare qualcosa che non porti ulteriore distruzione? Se ascoltate voi stessi, sentirete soltanto la vostra coscienza sporca. E quando viaggiate per il mondo, troverete soltanto il sudicio con cui lo avete contaminato. Ormai non si può tornare indietro. Ma non possiamo neppure consentirvi di distruggerci definitivamente. Io non sono spaventata per me, sono spaventata per i nostri discendenti.
Adesso per voi è il momento di tacere. E’ giunto il momento di ascoltare. Avete bisogno di noi, i prigionieri del vostro mondo, per capire voi stessi. Perché in fondo è molto semplice: non esiste il guadagno in questo mondo, esiste solo la vita. Ed è questo il motivo per cui è bene che io non sia sul palco del Burgtheater. Che io non vi stia parlando come un’attrice. Perché tutto ciò non ha più niente a che fare con l’arte. Non c’entra più nulla il teatro. La nostra tragedia ha luogo qui e adesso, nel mondo, davanti ai nostri occhi.
E forse è questo ciò che mi spaventa quando sento parlare Creonte: lui sa che sta sbagliando. Sa che quello che sta facendo è sbagliato. Che lo è in ogni senso possibile. E che questo lo porterà alla rovina, alla distruzione della sua famiglia, all’Apocalisse. Ciononostante Creonte lo fa comunque. Critica sé stesso, odia sé stesso, ma continua a fare ciò che odia.
Questa follia deve finire. Smettetela di essere Creonte. E’ tempo di essere Antigone. Perché quando l’ingiustizia diventa legge, la resistenza diventa un dovere. Resistiamo assieme, siamo umani. Ognuno secondo la sua visione e nel suo luogo, uniti dalle nostre differenze e dall’amore per la vita che ci unisce tutti.
Traduzione di Giacomo Bisordi
Foto di Armin Smailovic
Fonte: https://cheteatrochefa-roma.blogautore.repubblica.it/