di Shlomo Sand
Haaretz, 1 luglio 2020
Di fronte alla scommessa audace che stanno portando avanti il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il Primo Ministro Benjamin Netanyahu sull’annessione di parte della Cisgiordania, si sono costituiti tre blocchi politici che ad essa si oppongono. Se vogliamo capire cos’è Israele nel 2020 e il futile gioco politico che vi si sta giocando, dobbiamo fare le opportune distinzioni tra questi blocchi e capirne le caratteristiche.
Il primo blocco consiste nella grande maggioranza dei coloni e nei loro entusiasti sostenitori fin dall’Israele pre-1967. Costoro si rendono giustamente conto che un’imminente annessione contiene una minaccia, in quanto, secondo il piano Trump, questa potrebbe essere controbilanciata da una futura concessione ai Palestinesi di una porzione della sacra terra di Israele.
Se ciò accadesse, l’annessione potrebbe creare, non sia mai, un stato palestinese tipo Bantustan nel cuore della terra ebraica storica. La città di Nablus, che era così cara ai nostri avi, Betlemme, la città dove la nostra antenata Rachele fu seppellita e, peggio ancora, Hebron, la città del patriarca Abramo, potrebbero essere consegnate tutte agli stranieri, gente che magari è sì stata circoncisa, ma non è ebrea.
Non è stato abbastanza avere rinunciato nel 1948 alla parte orientale della terra di Israele, e cioè alla Giordania? Non meritiamo un ringraziamento per non avere ancora espulso gli invasori palestinesi dalla parte occidentale della terra di Israele? Il piano attuale di annessione è esile e carente. Persino l’ex politico e generale Yigal Allon e i suoi fedeli supporter della sinistra sionista si sarebbero vergognati a sostenerlo.
Il secondo blocco, che è la completa antitesi del primo, si oppone con veemenza ad ogni annessione. Include la maggioranza degli umanisti liberali, che si oppongono fortemente anche all’occupazione.
Essi temono, giustamente, che un’annessione della Cisgiordania, come l’annessione del 1967 di Gerusalemme Est (“la città riunificata”) non garantirà la cittadinanza ai nativi dei territori annessi.
Non è sufficiente che 400.000 persone, ben il 39% dei residenti di Gerusalemme, non siano cittadini con pari diritti ormai da 53 anni, e tuttavia nessuno pronuncia una parola su questo nella Knesset, che è a due passi da dove vivono i Palestinesi?
Inoltre, annettere la Valle del Giordano e varie altre aree impedirebbe qualsiasi futuro accordo, compreso il riconoscimento reciproco di Israele e Palestina, ed ogni possibilità di stabilire uno stato indipendente di Palestina. Aprirebbe quindi la strada verso la creazione di uno stato ebraico di apartheid, che minerebbe l’esistenza di Israele come stato ebraico democratico entro i confini del maggio 1967, che potrebbero essere sì “leggermente modificati”, ma sono assolutamente accettabili.
Il terzo blocco di oppositori all’annessione è il più grande. Comprende tutta la gente che è in pace con l’occupazione, ma teme che l’annessione comprometterebbe la tranquillità e la comodità della loro vita attuale (almeno com’era prima del coronavirus).
Dopo tutto, i Palestinesi sono abituati a vivere fin dalla nascita senza sovranità o diritti civili ormai da mezzo secolo. E senza questa inutile idea di annessione, che Trump ha portato qui tra noi da Washington, potrebbero continuare a vivere così, con l’aiuto di Dio, per almeno un altro mezzo secolo.
E perché no? Le loro vite sono comunque migliori di quelle dei cittadini della Siria bombardata, dei profughi palestinesi e dei loro tanti discendenti che vivono in Libano o nella Striscia di Gaza.
È vero, tutto il mondo brontola, ma accetta l’occupazione e si è persino abituato ad essa. Nonostante tutte le loro chiacchiere liberali, gli Europei non sono realmente interessati ai diritti umani dei Palestinesi. Inoltre, gli Europei dell’Est, che in passato erano antisemiti, hanno cambiato comportamento e sono ora entusiasti del nostro atteggiamento mirabilmente sensibile nei confronti dei Musulmani.
Il fatto che sin dal 1945 il mondo non ha mai voluto conferire legalità alla variazione forzata e arbitraria dei confini di neanche di un metro potrebbe complicare la nostra presenza continua in Giudea e Samaria, come anche il nostro progetto di espandere gli insediamenti, che è continuato con l’incoraggiamento aperto o nascosto di tutti i governi israeliani.
I nostri primi patriarchi sionisti (non quelli della Bibbia) hanno capito abbastanza bene che realizzare il sogno sionista e “far fiorire il deserto” è avvenuto grazie alla sofisticata strategia di “un altro dunam, un’altra capra”, e non da un’irresponsabile tattica del “tutto in una volta”. È così che abbiamo costruito il glorioso stato ebraico ed è così che lo espanderemo in maniera abile e flessibile.
Dopo tutto, nel frattempo, molti Palestinesi abbandoneranno gradualmente la Giudea e la Samaria. Le loro élite lo stanno già facendo. Così il rapporto demografico migliorerà gradualmente. Allo stesso tempo dobbiamo lottare per continuare a sostenere il nostro passato storicamente unico, piuttosto che l’unicità della politica di cui ora ci serviamo nei territori della nostra patria, che sappiamo per certo che è sempre stata nostra e lo sarà per sempre.
Ciascuno dei miei lettori può naturalmente scegliere di identificarsi con uno di questi blocchi o tracciare nuovi confini per descrivere altri blocchi. Ma non posso evitare di aggiungere che (e me ne scuso coi miei raffinati lettori) il terzo blocco mi ricorda un uomo che affoga in una piscina di escrementi e che, quando tocca il fondo, riesce a stento ad aprire la bocca per sussurrare una preghiera: “Non fate onde”.
Shlomo Sand è uno storico ed autore del libro in lingua ebraica “La Razza Immaginaria”.
https://www.haaretz.com/opinion/.premium-don-t-annex-and-don-t-make-waves-1.8960574
Traduzione di Gennaro Corcella – Assopace Palestina