di Miriam Cuccu
La nuova udienza del processo Borsellino quater si è aperta oggi a Caltanissetta per procedere alla discussione dei testi, in seguito a inquietanti minacce che hanno colpito la procura. Solo nella giornata di ieri il procuratore aggiunto Nico Gozzo, che si occupa del processo sulla strage di via d’Amelio – oltre alle recenti indagini sulla strage di Capaci e sul fallito attentato all’Addaura – è stato raggiunto da nuove minacce (un video amatoriale nel quale si vedrebbe un uomo armato, indicato come colui che dovrebbe uccidere il magistrato).
Luigi De Sena e i legami con Arnaldo La Barbera
Dinnanzi ai pm nisseni si è oggi proceduto all’esame del teste Luigi De Sena, politico ed ex prefetto (è stato vicepresidente della Commissione parlamentare antimafia) che dal 1985 al 1992 era assegnato, fuori ruolo, al Sisde, in qualità di Direttore dell’Unità Centrale Informativa. De Sena vantava una solida amicizia con l’ex capo della Squadra Mobile di Palermo (successivamente questore) Arnaldo La Barbera, deceduto nel 2002, proprio colui che si è occupato delle indagini risultate poi depistanti sulla strage di via D’Amelio, legate alle testimonianze del falso pentito Vincenzo Scarantino. Una colossale strategia che avrebbe dunque allontanato gli investigatori da una verità che, a distanza di oltre vent’anni, i magistrati della procura di Caltanissetta tentano di portare alla luce.
Le dichiarazioni di De Sena, che già a suo tempo i magistrati avevano definito “lacunose”, sono costellate da diversi vuoti di memoria. Sui legami con l’ex capo della mobile, nello specifico sul suo rapporto con il Sisde dal 1986 al 1988 quando il nome in codice di La Barbera era “Rutilius” e si trovava ancora a Venezia. O sulla genesi delle primissime indagini circa la morte del giudice Borsellino e degli agenti della scorta, in merito alle quali La Barbera è stato “sempre convinto della bontà delle indagini da lui dirette” sostenendo “che stava andando nella direzione giusta del caso attraverso il pentimento di alcune persone” come Scarantino, le cui deposizioni sono state dichiarate mendaci a seguito dell’entrata in scena del collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza. Niente di nuovo anche sul contrasto avvenuto a suo tempo tra La Barbera e il superperito Genchi, suo strettissimo collaboratore: quest’ultimo voleva compiere degli “accertamenti sulle carte di credito del giudice Falcone”, e in seguito si è improvvisamente dimesso rinunciando alla collaborazione alle indagini.
Il pubblico ministero, facendo un passo indietro, ha poi chiesto conto a De Sena di ciò che ricordava circa il fallito attentato all’Addaura, nel 1989, contro Giovanni Falcone: “Una sera a Roma (La Barbera, ndr) mi parlò” della presenza all’Addaura “del dottor D’Antone – il questore Ignazio D’Antone, condannato nel 2004 per concorso esterno per aver favorito la latitanza di due boss – che era stato riconosciuto dal – maresciallo Tumino” (l’artificere dei Carabinieri che distrusse l’innesco sarà poi condannato per calunnia) aggiungendo che “il dottor La Barbera criticò pesantemente questa affermazione” in quanto “lui stesso aveva constatato che D’Antone non era presente in quella circostanza”. Nulla da dire, però, sulla possibilità che l’episodio fosse collegato ad un eventuale depistaggio al riguardo, o su occasionali confidenze dell’ex questore di Palermo circa possibili piste investigative.
Sono poi seguite alcune domande in merito all’omicidio del poliziotto Nino Agostino e alla scomparsa di Emanuele Piazza, agente 007 la cui rete di informatori avrebbe reso possibile la cattura di diversi latitanti: “Lo incontrai personalmente all’hotel Delle Palme di Palermo” ha ribadito De Sena, che si era occupato di far entrare Piazza nei servizi proprio perchè “la sua catena di informatori poteva consentire di catturare personaggi interessanti”. Le indagini aperte a seguito dei due delitti furono date a due poliziotti agli ordini di La Barbera: uno è indagato per depistaggio per la morte di Agostino, l’altro, Vincenzo Di Blasi, è stato condannato nel 2006 a sette anni per favoreggiamento nei confronti del clan dei Graviano. Fu proprio Di Blasi a introdurre Piazza al Sisde attraverso De Sena, allora prefetto.
Vincenzo Biagio Paradiso e quella telefonata del boss dell’Arenella
L’esame dei testi è proseguito con Vincenzo Biagio Paradiso, che dal 1991 lavorava – inizialmente come collaboratore – presso il Ce.ri.s.di (Centro Ricerche e Studi Direzionali) a Castello Utveggio. Nello specifico viene chiesto conto al teste di una telefonata partita dall’utenza di Gaetano Scotto – boss dell’Arenella accusato di aver partecipato alla preparazione della strage di via D’Amelio – a quella di Paradiso, nella sua abitazione, il giorno 6 febbraio 1992. Due minuti dopo la conversazione individuata sui tabulati, una seconda, sempre dal telefono mobile di Scotto, raggiunge il centralino del Ce.ri.s.di. Paradiso, però, ha ribadito che “come ho già detto non ho mai potuto ricordare, non le so rispondere”. Così come “non so dare spiegazioni” al fatto che non vi sia traccia della telefonata tra le annotazioni del centralino, nonostante la prassi sia sempre stata quella di registrare ogni telefonata ricevuta. Inoltre, nulla Paradiso sostiene di aver notato, dall’alto di Castello Utveggio, subito dopo la strage di via D’Amelio, sebbene il posto offra un ottima visuale della via nella quale la 126 imbottita di tritolo attendeva il giudice Borsellino.
Con l’esame di tale Marchese, esponente dei Servizi tuttora operativo (avvenuto a porte chiuse, della durata di poco più di cinque minuti), si è conclusa l’udienza del processo che riprenderà il 26 novembre.
21 novembre 2013
Foto © LaPresse