di Marta Capaccioni – Video
Our Voice: “I cittadini hanno il potere di distruggere la mafia, dando il giusto sostegno ai giusti tutti i giorni, perché non vengano lasciati mai più soli”
Bastano pochi secondi per rivivere il fumo e l’odore delle bombe e sentire di nuovo i pianti strazianti di una Democrazia che perde altri uomini che le avevano dedicato la vita. “Io non voglio vedere magistrati morire”, ha gridato Our Voice attraverso la voce della sua direttrice, Sonia Bongiovanni, “non voglio vedere morire persone del nostro paese, i nostri genitori, i nostri padri, come Falcone e Borsellino, non li voglio vedere morire”. È stato un urlo straziante quello della giovane attivista presente insieme a centinaia di compagni al Sit-In di venerdì scorso in piazzale Gaeta, davanti al Palazzo di Giustizia di Reggio Calabria, in difesa dei magistrati della Dda e in particolare del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, pm nel processo denominato ‘ndrangheta stragista.
“Non può morire Giuseppe Lombardo, non può morire Nino Di Matteo, non possono morire questi giusti”, ha continuato Sonia Bongiovanni fino all’ultimo filo di voce, “noi cittadini dobbiamo impegnarci perché questo può accadere: questi magistrati vengono minacciati tutti i giorni e possono morire da un momento all’altro. Per me non esiste una vita se non c’è questa lotta, se noi giovani non ci esprimiamo attraverso la nostra arte e le nostre passioni. Per mostrare che il potere criminale perde e deve perdere perché siamo qui tutti noi”.
Una giornata memorabile ormai scritta nelle pagine di storia della nostra Italia. Come potranno essere dimenticati quei pullman in fila provenienti da ogni angolo d’Italia? E quelle centinaia di giovani con gli striscioni tra le mani?
Non era un film, né un sogno. Quella presenza è stata testimoniata in mille forme e colori diversi: nei social spopolavano le foto e i video degli interventi dei giovani attivisti e di tutti i presenti che esprimendosi hanno chiarito il motivo per cui si trovavano lì, per la prima volta la società civile che manifesta in piazza contro la ‘ndrangheta viene mostrata nei primi servizi televisivi regionali (Tgr Calabria), nelle radio (Radio San Paolo di Alessandria), nelle televisioni (News Tv, Rtv), nei quotidiani (LaC News, Stretto Web, Corriere della Calabria, Il Giornale di Calabria, City Now, Lacchité, CN24).
Nel processo ‘ndrangheta stragista è emersa la mafia calabrese come l’organizzazione criminale più potente al mondo, padrona di banche e di intere nazioni, proprietaria di imprese e di enormi traffici mondiali di droga. Così come è stato dimostrato da numerosi processi, inchieste e articoli giornalistici. Per la maggior parte degli italiani però la ‘ndrangheta è ancora la mafia di strada, quella del pizzo. Pochissime volte, se non mai, la mafia era stata costretta a venire allo scoperto a livello mediatico in questo modo.
Il processo condotto dal procuratore Lombardo era praticamente sconosciuto. E qualcuno aveva mai sentito il nome del magistrato in qualche canale televisivo nazionale? Sicuramente no. Perché ciò che è scomodo non si pronuncia e ciò che è incorrompibile si fa tacere.
“Questo è il gioco che vogliono loro”, ha chiarito Lombardo durante la requisitoria, “il gioco della disinformazione e la disinformazione nel contrasto alle mafie è agevolazione per le mafie”.
Ma questa volta no. Perché “noi siamo lo Stato”, come ha detto il giornalista e direttore del giornale AntimafiaDuemila (organizzatore del Sit-In), Giorgio Bongiovanni, “il fatto che i cittadini italiani si avvicinano ad un Palazzo di giustizia per dire ‘noi ci siamo’, il fatto che iniziano a manifestare e ad essere presenti per dire ‘No alla ‘Ndrangheta’, significa che oggi per la ‘Ndrangheta a Reggio Calabria è l’inizio della fine. Perché quando il popolo comincia a muoversi, dopo decine e centinaia di anni di silenzio – in questa città dove i boss padroneggiano e gli unici a reprimerli sono i magistrati e le forze dell’ordine quando li arrestano o i giudici quando li condannano, mentre i cittadini stanno zitti per paura o per omertà – allora i boss cominciano a pensare: ‘Beh se inizia a muoversi la città noi siamo in pericolo”.
Centinaia di persone raggruppate in una piazza, concentrate nell’ascolto dell’ultima parte della requisitoria del procuratore Lombardo. Contemporaneamente, decine di cittadini si trovavano a pochi metri dal magistrato, all’interno dell’aula Bunker, attenti a non perdersi una parola del racconto di quella drammatica storia.
‘Ndrangheta e Cosa Nostra per la prima volta unite nelle stragi e negli attentati che hanno insanguinato l’Italia negli anni Novanta, in accordo nel perseguire un obiettivo politico-ideologico che avrebbe favorito gli interessi di entrambe (cioè mantenere un ruolo centrale negli assetti di potere per condizionare lo Stato), concretizzatosi poi nel sostegno elettorale al partito di Forza Italia guidato da Silvio Berlusconi. Una vicenda complicata, testimoniata nei particolari da numerosi collaboratori di giustizia, grazie ai quali si è iniziato a far luce su quello che viene denominato sistema criminale integrato: un solo sistema dove mafie, esponenti della politica e della finanza, centri massonici e servizi segreti deviati, sono uno e lavorano insieme in una prospettiva mondiale, parlando lo stesso linguaggio e perseguendo gli stessi obiettivi, definiti e chiari a tutti.
“Siamo di fronte a gente che deve mantenere inalterato il ruolo di baricentro che ha sempre avuto”, ha detto il procuratore aggiunto, “in una condizione dalla quale sia possibile determinare le scelte di quelli che sono gli organi di governo di questa nazione“. “Io rappresento lo Stato che non ha proposte di vendetta rispetto a nessuno, abbiamo solo proposte di giustizia”, ha precisato con forza il magistrato in un’altra parte della requisitoria, guardando i giudici della Corte d’Assise, chiamati a decidere sulla condanna o sulla assoluzione dei due imputati del processo: il boss di Cosa Nostra, fedelissimo di Totò Riina Giuseppe Graviano e il boss ‘ndranghetista Rocco Santo Filippone.
“Voi signor presidente, signori giudici, siete chiamati a dare giustizia”, ha detto infatti in ultimo il procuratore capo di Reggio Calabria, Giovanni Bombardieri, “non solo alle povere vittime degli attentati stragisti in contestazione, a dare giustizia non solo alle loro famiglie, ai loro amici. Voi signori giudici siete chiamati a dare giustizia al popolo italiano, nel cui nome pronuncerete la vostra sentenza. Vittima di quel mostruoso, pazzesco disegno stragista è il popolo italiano, con le sue istituzioni democratiche. Ed al popolo italiano dovrete spiegare con la vostra sentenza quello che in quegli anni drammatici è realmente avvenuto”.
Una grande responsabilità di fronte ai cittadini che erano presenti venerdì scorso e di fronte a tutta l’Italia. Perché adesso in tanti vogliono conoscere i nomi e i cognomi di coloro che hanno sporcato e compromesso il nostro Paese, di coloro che hanno collaborato per anni con un potere criminale che ha ucciso uomini, donne e bambini. Come ha detto Lombardo nella requisitoria “arrivare alla verità piena è solo una questione di tempo”.
E adesso tutti sanno che la società civile c’è ed è pronta a manifestare in ogni piazza e tribunale d’Italia.
13 Luglio 2020
DOSSIER Processo ‘Ndrangheta stragista