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di Angelo Ruggeri
Il vero obbiettivo dell’idea di Tremonti non è “distrarre” ma è abolire la programmazione economica democratica sancita dall’art 41,
La Cina è vicina o, meglio, l’Italia cerca di “avvicinarsi”. Qualche anno fa, erano le “tigri asiatiche”. Ora è la Cina il riferimento per riscrivere l’art.41 C. e i rapporti economici e di lavoro esplicitati dal “caso” Pomigliano.
Oltre alla “competitività”, la parola chiave è: “dumping sociale”. Il termine fu coniato proprio per l’Italia agli inizi delle prime prove di liberalizzazione, nel secondo dopoguerra. “Dumping”, per definire la “competitività” ottenuta col taglieggiamento dei salari e dei diritti che oggi si persegue globalmente, confermando la tesi dell’impoverimento progressivo delle classi lavoratrici internazionalizzate e raddoppiate. “Sociale” in quanto operato in evasione delle stesse leggi del Paese. Nel caso del “prendere o lasciare” di Pomigliano, addirittura, si vuole aggirare i diritti costituzionalmente garantiti e indisponibili con un accordo sindacale. Da Atene a Roma le società del ricatto.
Il dumping sociale, da “privilegio” della Fiat e di vari datori di lavoro del Nord, del Centro e del Sud (da Rosarno a Pomigliano), lo si vuol far diventare politica di Stato. Sulle orme della in Cina. Negli anni in cui Tremonti predicava il “colbertismo” e il “fallimento del mercatismo”, la riforma costituzionale cinese, infatti, ha fissato quella inviolabilità e libertà assoluta dell’impresa e della proprietà privata d’impresa, che nell’Italia liberale fu sancita nel 1848. Donde il tentativo della Costituzione democratica del 1948, di fissare una funzione sociale alla proprietà e all’impresa.
L’Italia è un Paese di sana e robusta Costituzione che è vigente ed è soprattutto “rigida” (non modificabile) perché afferma principi innovativi. L’art. 41 è nel titolo III della Prima Parte della Costituzione, sotto la voce: Rapporti economici. Dall’art. 13 all’art. 54 ( rapporti civili, rapporti etico-sociali e rapporti economici) vi è tutta la base della democrazia e della cultura della Costituzione. In discussione è l’impianto fondativo della nostra “Carta”. L’art. 41 è il pilastro della cosiddetta “costituzione economica” è la cerniera tra i Principi Fondamentali e i valori civili, sociali ed economici e la parte “organizzativa” dello stato e della Repubblica. Repubblica delle autonomie – “stato” esse stesse – istituzionali e locali, politiche, sociali e sindacali, religiose e culturali espressive ed espressione della comunità sociale e civile. Non più stato “centrale” ne lo “stato” inteso come governo e quindi “apparato” e burocrazia. Non più il guardiano del gioco, il “veilleur de nuit”, gendarme-guardiano notturno-carabiniere-poliziotto, com’era nel 1848. Ma uno stato-comunità e della società-civile organizzata in partiti, sindacati, movimenti e istituzioni religiose e culturali, ecc.. Ovvero tutto quello che era sconosciuto nell’800, allo stato liberale e pre-fascista e resta sconosciuto alle “tigri asiatiche”, ai Paesi dell’Est Europa e alla Cina.
Il vero obbiettivo dell’azzardata idea di Tremonti non è “distrarre l’attenzione dalla manovra economica”, come molti dicono. Il suo vero obbiettivo – affinché nessuno ci riprovi anche in futuro – è abolire definitivamente la programmazione sancito dall’art. 41, riscrivendolo con la penna di Milton Friedman e del liberismo in piena débacle. La “sinistra” non lo dice per nascondere di aver abbandonato la programmazione economica negli anni 80 e di aver dato per morto l’art.41 negli anni 90. Maastricht l’ha cancellato, avevano detto, seguendo il corso del capitalismo anglosassone della cosiddetta “Common Law” epicentro dell’odierna crisi e privatizzando le Banche che dovrebbero acquistare i titoli di stato. Così, con la deregolamentazione finanziaria il debito pubblico è stato messo nelle mani di società private, che scaricano i debiti e i fallimenti delle loro speculazioni sugli Stati che pagano per salvale e scaricano i costi sulla popolazione.