di “melusina”
GIULIANO PISAPIA.
È avvocato penalista, già presidente della Commissione giustizia alla Camera, ex parlamentare indipendente di Rifondazione comunista. Paladino dei diritti civili e di una legalità ancorata al garantismo, è il candidato di riferimento di Sinistra e libertà e della Federazione della sinistra, apprezzato anche da una parte della borghesia illuminata milanese.
Auspica un “rinnovamento della macchina comunale per renderla più efficiente valorizzando le tante professionalità interne al Comune, e riducendo le consulenze”, e ritiene necessaria “una ristrutturazione dei Consigli di zona rendendo i quartieri più omogenei e trasformandoli in vere municipalità con poteri decisionali e di spesa”. Una parte del bilancio, poi, “dovrebbe essere partecipato perché solo chi vive in un quartiere ne conosce le priorità”. Pensa alle periferie come piccoli centri con più autonomia di poteri, mentre “i comitati di quartiere dovrebbero collaborare alle decisioni dell’amministrazione per esercitare maggior controllo sull’infiltrazione mafiosa”. Sul lavoro afferma che “il Comune può sostenere le cooperative sociali che danno lavoro ai giovani e agli espulsi dal mercato del lavoro, come a Genova”. Critica il PGT (Piano di Governo del Territorio) perché “pensa più che altro ad aumentare le aree edificabili e offende il parco Sud”. Propone la chiusura del centro storico alle auto e di alcuni spazi in ogni zona, in modo da creare nuove zone di vivibilità, socialità e sicurezza. Suggerisce l’estensione del Bike shering anche nelle periferie, e di fare non solo piste ciclabili ma vere corsie ciclabili, facendo diventare Milano la città delle biciclette. L’ecopass “andrebbe ampliato ma senza farlo pagare solo a chi non può permettersi un’auto nuova, e i proventi destinati al trasporto pubblico”, e taxi collettivi andrebbero messi agli ingressi della città nei giorni di massimo inquinamento. Pisapia ha attraversato centro e periferia per presentare la proposta di un registro comunale per le unioni di fatto e un welfare cittadino a favore di tutte le forme di famiglia. Sulla sicurezza, afferma, “cancellerò quelle ordinanze che puntano solo a generare paura e a militarizzare il territorio, poi cercherò di valorizzare i luoghi di aggregazione nelle periferie come ha fatto l’amministrazione di Madrid, dove in sei mesi sono riusciti a diminuire del 30% gli episodi di violenza”.
Per la casa il Comune “deve ricominciare a costruire case popolari, anche sperimentando forme nuove come prefabbricati di legno nelle aree pubbliche inutilizzate”; vorrebbe “controllo sugli affitti per gli studenti universitari”, essendo “una follia 400 euro per un posto letto” e poi “un grande piano di ristrutturazione degli 80 mila appartamenti dell’Aler che sono murati e indisponibili, per destinarli a giovani coppie e ai 40 mila sfrattati che ci sono a Milano, e chi si accollerà le spese di ristrutturazione non pagherà l’affitto fino all’estinzione del credito”. Internet dovrebbe essere “gratuito”, le scuole “aperte la sera” e “facilitazioni per ottenere il permesso di soggiorno”. Per lui l’Expo “può essere un’opportunità per lasciare infrastrutture e servizi e non per fare speculazioni immobiliari, costruire grattacieli che nessuno vuole n>o cementificare il Parco Sud”. Per questo avrebbe voluto “puntare sulle aree pubbliche già esistenti come quelle della Fiera, bocciando l’ipotesi Ortomercato” sposata dal suo antagonista alle primarie Stefano Boeri.
Dice di voler essere il candidato di tutti per unire e allargare, ma s’allarga di certo troppo quando il 6 settembre immagina “alleanze anche con l’UdC”, dichiarando all’Ansa di “esservi accomunato nella battaglia per il quoziente familiare”, una misura che in realtà aumenta le disuguaglianze perché favorisce i redditi più alti e discrimina il 2° coniuge che lavora. Meglio avrebbe fatto in questo caso a dichiararsi favorevole ad un’adeguata detrazione per carichi familiari legata al reddito, lasciando perdere chi, come l’UDC, sulle tematiche del lavoro è coi Marchionne che cancellano i diritti, vuole gli anticostituzionali finanziamenti alle scuole private e creare nel nostro territorio centrali nucleari, o dare in pasto ai privati, mercificandolo, un bene pubblico come l’acqua.
Ma Pisapia è anche questo:
1.Giuliano Pisapia negli anni Ottanta, infatti, difese Robert Venetucci, l’uomo della mafia americana condannato all’ergastolo con Michele Sindona come mandante dell’omicidio di Giorgio Ambrosoli, liquidatore del Banco Ambrosiano. E poi ha difeso pure Arnaldo Forlani, l’ex segretario Dc coinvolto in Tangentopoli (all.ti).
2.12 ottobre 2010. Rinviato il processo per la STRAGE di PRAIA per gli impegni parlamentari dell’avv. GHEDINI, difensore dei dirigenti della MARLANE MARZOTTO: dal martedì al venerdì non si può fare il processo perchè lui è impegnato a Montecitorio.
Assordante silenzio e assenza di media, partiti e sindacati di stato.
Pietro MARZOTTO e gli altri 13 imputati sono difesi anche da Piero GIARDA (Confindustria), dal sen. Pietro CALVI (responsabile giustizia del PD e ora eletto alla Corte Costituzionale dal parlamento) e da Giuliano PISAPIA.
- Giuliano PISAPIA si dichiara (ANSA 23 agosto 2010 e 16 luglio 2006) favorevole alla separazione delle carriere tra Pubblico Ministero e Giudici. Fu una proposta lanciata per prima da Licio Gelli nel famoso Piano di Rinascita della P2, ripresa poi da Bettino Craxi, e oggi cavallo di battaglia del nero governo Berlusconi.
Pisapia la recupera, non capendo che Pubblici Ministeri e Giudici fanno la stessa cosa: indagano per accertare la verità. Dividendo le carriere si compie il primo passo per far dipendere i Pubblici Ministeri dal Governo nella persona del Ministro di Grazia e Giustizia, facendo così svolgere soltanto processi graditi al potere e impedendo quelli per i delitti commessi da Berlusconi, dalla Casta e dalla cricca del malaffare.
Del resto nell’ordinamento sono già previsti meccanismi di incompatibilità in casi in cui un Magistrato si possa trovare ad accusare qualcuno e poi doverlo giudicare dieci anni dopo. E per di più un Pubblico Ministero, oggi, per diventare giudice deve prima cambiare sede o regione.
E poi la professionalità di un magistrato si completa nell’excursus professionale, tant’è che Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono stati Pubblici Ministeri e Giudici.
3.Giuliano PISAPIA non convince neppure quando, il 16 gennaio 2007, unitamente ai penalisti dell’Unione Camere Penali Italiane presentò un progetto che prevedeva tra l’altro l’istituzione di un doppio Consiglio Superiore della Magistratura, uno per i Giudici e uno per i Pubblici Ministeri: un piano molto simile a quello proprio oggi proposto da Berlusconi nelle sua “riforma” della giustizia per sottomettere i magistrati;
4.Giuliano PISAPIA sbagliò anche il 30 luglio 2006, quando si dichiarò all’ANSA “favorevole all’indulto” deciso dal Senato il 29 luglio col disegno di legge n. 241 2006.
Fu un odioso colpo di spugna giudiziario per salvare dalle patrie galere soprattutto tangentisti, corrotti, corruttori e concussi, con alla testa l’avvocato degli affari sporchi di Berlusconi, Cesare Previti, che uscì subito dagli arresti domiciliari, ma anche tanti accusati di reati finanziari, societari, tributari, fiscali e contro la pubblica amministrazione, come ad esempio i “furbetti” del quartierino, i protagonisti della tangentopoli bancaria, come Fazio e Consorte, e Tanzi, Tonna e Cragnotti, che hanno rovinato migliaia di piccoli risparmiatori con i fallimenti di Parmalat e Cirio, o perfino chi era accusato di voto di scambio con la mafia.
Anche i padroni accusati di sfruttamento del lavoro nero, di reati contro i lavoratori, di violazione del dlgs 626 per la tutela della salute e la sicurezza nei posti di lavoro (e quindi indirettamente responsabili delle centinaia di migliaia di morti e infortuni sul lavoro all’anno), l’hanno fatta franca in caso di patteggiamento della pena.
Il che contrasta palesemente col Pisapia che pur dichiara, sembrerebbe in maniera più netta di altri candidati, che il sindaco di questa coalizione “non dovrà essere neutrale nei conflitti sul lavoro e sui beni comuni, ma sempre dalla parte dei lavoratori e mai con i poteri forti”. Sorprende che chi aspira ad amministrare la sicurezza dei milanesi, si ritrovi favorevole ad un provvedimento che su quasi 30 mila casi di indultati ne vide tornare in carcere 10 mila, il che significa aver causato 10 mila nuove vittime del crimine.
LA CORTE D’ APPELLO CONFERMA L’ ERGASTOLO PER VENETUCCI
Repubblica — 06 marzo 1987 pagina 16 sezione: CRONACA
MILANO Robert Venetucci se ne sta in piedi dentro la gabbia dimesso e impenetrabile come sempre. Capisce poco l’ italiano, e niente del tutto l’ italiano giudiziario della sentenza che il presidente della Corte d’ Assise d’ Appello sta leggendo. E’ uno dei suoi avvocati, Giuliano Pisapia, a comunicargli scuotendo la testa che anche questa volta è andata male. Ergastolo, ha confermato il processo d’ appello, per l’ omicidio di Giorgio Ambrosoli. Non c’ è giustizia in questo paese commenta Venetucci a dentri stretti, con la sua voce baritonale, porgendo i polsi ai ferri . Quelli che hanno fatto questa cosa sono fuori, liberi per la strada. Ma chi sono? Venetucci ha gli occhi lucidi, e scuote la testa: Non lo so, io non so niente di Ambrosoli. Io sono innocente di questa accusa. Sono le dieci e quaranta, e l’ aula si svuota in fretta. La sentenza stilata in tre giorni di camera di consiglio conferma in pieno, salvo alcune leggere diminuzioni di pena, il verdetto di primo grado sugli anni più foschi dell’ epopea sindoniana, quelli seguiti al crack, quelli delle intimidazioni mafiose, delle manovre occulte e dell’ assassinio. Morto Sindona, ucciso dal cianauro nella maniera misteriosa e spettacolare che si conosce, il suo complice Robert Venetucci è rimasto solo ad affrontare l’ ergastolo. Degli altri imputati, soltanto il vecchio Luigi Cavallo, il giornalista primattore di mille intrighi, è venuto ad ascoltare la sentenza. Tre anni e due mesi per lui, che è a piede libero, contro i quattro anni del primo verdetto. Protettori politici Minime le variazioni anche per gli altri. Piersandro Magnoni, genero di Sindona, è stato condannato a tre anni e mezzo: uno sconto di sei mesi. John Gambino, il boss mafioso di New York, ha avuto quattro anni e mezzo: diciotto mesi in meno. Francesco Fazzino, uno di quelli che andarono a incendiare la porta di casa a Enrico Cuccia, s’ è visto ridurre la pena da cinque anni a tre anni e mezzo. Posizioni marginali le loro, tutto sommato. La Corte d’ Assise d’ Appello ha confermato poi la condanna a tre anni inflitta a Roldolfo Guzzi, l’ ex-legale di Sindona, e quella a due anni e mezzo per Maria Elisa, figlia del banchiere. Ha resistito quindi, nei due grandi giudizi, la ricostruzione che il sostituto procuratore Guido Viola e il giudice istruttore Giuliano Turone misero insieme con un’ inchiesta lunga e puntigliosa. Giusto un anno fa, il 18 marzo, la Corte d’ Assise condannò Michele Sindona e Robert Venetucci all’ ergastolo per l’ omicidio dell’ avvocato Giorgio Ambrosoli, il commissario liquidatore che lavorando sul crack della Banca Privata Italiana aveva messo a nudo gli intrighi e le truffe del finanziere. E che, soprattutto, si era opposto nella maniera più ferma ai tentativi di accomodamento, ai progetti di salvataggio che Sindona stava orchestrando con l’ aiuto dei suoi protettori politici, Giulio Andreotti in testa. La morte ha tolto di scena i due protagonisti. Prima William Joseph Arico, il killer mafioso che la notte dell’ 11 luglio 1979 sparò tre colpi di 357 Magnum contro Ambrosoli. Arico morì tentando di evadere dal Metropolitan Correctional Center di Manhattan: precipitò mentre si calava da una finestra insieme con un trafficante di cocaina. Una morte strana, mai chiarita. La sua morte, però, tolse il vincolo del segreto sulle rivelazioni che Arico aveva fatto dopo l’ arresto, in un tentativo di patteggiamento con le autorità mai andato in porto. Cordoglio per i familiari Ai magistrati americani Arico aveva confessato di aver ucciso Giorgio Ambrosoli su incarico di Michele Sindona. Il tramite fra i due era stato Robert Venetucci, un italoamericano con il quale Arico lavorava. Le confessioni del killer costituivano la conferma di quello che un pentito, Henry Hill, aveva già raccontato ai giudici. Hill aveva detto di aver raccolto in carcere le confidenze di Arico sull’ omicidio Ambrosoli. Sindona e Venetucci hanno sempre negato. Il primo, fino alla morte nel supercarcere di Voghera, nella sua maniera torrenziale, ipotizzando congiure nei propri confronti, ribaltando sospetti sul suo ex-braccio destro Carlo Bordoni. Il secondo con il silenzio. Dapprima un silenzio totale, in istruttoria, per evitare che la sua voce potesse essere riconosciuta come quella dell’ ignoto picciotto che aveva minacciato Enrico Cuccia. Tentativo fallito, perché ad accusarlo di quell’ episodio era venuta la deposizione di un poliziotto americano e dello stesso figlio di William Arico, che era presente e aveva anche lui minacciato Cuccia da una stanza dell’ Holiday Inn. Ma anche durante i due processi Venetucci s’ è rifiutato di entrare nei particolari della faccenda. Ha risposto laconicamente alle domande della Corte, protestandosi innocente. Morto Sindona ci si aspettava che almeno al processo d’ appello aprisse qualche spiraglio, mostrasse di voler, se non confessare, almeno dare un contributo al chiarimento degli aspetti ancora dubbi della vicenda. Ma non è stato così. Venetucci, con la sua solita espressione impenetrabile, ha detto di non aver niente da aggiungere. Prima che i giudici entrassero in camera di consiglio ha espresso cordoglio per i familiari di Giorgio Ambrosoli. Troppo poco, ha decretato la Corte, anche per una sola attenuante. – di FABRIZIO RAVELLI
25 novembre 1993 – Corriere della Sera. L’ ex segretario dc dai giudici nega di aver incassato la tangente Enimont TITOLO: L’ ultima difesa di Forlani Ammette l’ offerta di contributi: dissi di rivolgersi a Citaristi.
MILANO . E l’ ultima trincea della Prima Repubblica. Bastonato dai risultati elettorali, il “Vecchio Che Resiste” si gioca tutto nell’ ufficio di Antonio Di Pietro. Ieri sera nei corridoi deserti della Procura e’ comparso Arnaldo Forlani, leader storico ed ex segretario politico della Democrazia cristiana. Le sue iniziali fanno parte di una sigla che ha marchiato un’ epoca: il Caf. Il patto tra Giulio Andreotti, Bettino Craxi e Forlani che ha dominato gli ultimi anni di Tangentopoli, quelli della grande razzia. Cappotto di cammello sul quale risaltavano i capelli bianchi, l’ ex segretario sembrava invocare l’ anonimato. I giudici invece si sono fatti attendere: lo hanno lasciato solo nell’ ufficio per venti minuti. Poi sono arrivati in formazione d’ assalto: Di Pietro, Francesco Greco e Gherardo Colombo. Colombo l’ aveva gia’ incontrato dieci anni fa: Forlani era il capo del governo al quale il giovane pm consegno’ le liste della P2 scoperte nella villa di Licio Gelli. Una mossa esplosiva che costrinse l’ esecutivo alle dimissioni. I tempi sono cambiati. L’ immunita’ non c’ e’ piu’ , anche se Forlani si difende dietro un altro scudo: la sua carica di europarlamentare. Assieme ai suoi avvocati Giuliano Pisapia e Antonio Fiorella sostiene che per i deputati di Strasburgo non valgono le nuove modifiche. I giudici la pensano in altro modo: i diritti dei rappresentanti comunitari sono gli stessi di quelli nazionali. La scaramuccia va avanti per mezz’ ora, senza troppa ostinazione. Di Pietro e compagni hanno gia’ raccolto abbastanza successi in aula, nel processo Cusani: non insistono. Accettano la formula delle “spontanee dichiarazioni”. Quali? Forlani scandisce lentamente le parole: “Ho reso una dichiarazione spontanea sulla vicenda Enimont ed ho ribadito la mia estraneita’ ai fatti contestati sotto tutti i profili”. Alle domande dei giornalisti su Carlo Sama e il contributo di 1.500 milio ni alla vigilia delle elezioni 1992 replica con sorrisi stentati. Davanti ai giudici in realta’ avrebbe ammesso l’ incontro con l’ amministratore di casa Ferruzzi. E avrebbe riconosciuto che il tema era l’ offerta di un finanziamento. Per specificare: non mi occupavo delle questioni economiche, gli dissi di rivolgersi a Citaristi. E l’ accusa di essere il destinatario di ben 35 dei miliardi del tangentone Enimont? Di aver smistato gran parte della quota dc per l’ acquisto delle azioni di Raul Gardini? Su questo punto e’ muro: e’ una follia, quei soldi . dichiara l’ ex segretario . non esistono. Eppure i giudici hanno ricostruito il percorso di quattro miliardi in Cct, finiti al tesoriere Severino Citaristi… Forlani dice di non ricordare. E in ogni caso, se anche ci fossero stati Cct . spiega . soltanto Citaristi li avrebbe gestiti. Perche’ e’ venuto solo oggi? “Perche’ volevo rendere queste dichiarazioni”. Voleva aspettare le votazioni? “No, assolutamente”. Tutto chiarito o dovra’ ritornare? “Non potete pretendere commenti da me… Comunque se mi hanno convocato, saro’ al processo Cusani”. I magistrati sono soddisfatti: Forlani avrebbe promesso un dettagliato memoriale. Il politico che aveva domato la Balena bianca lascia il Tribunale in modo dimesso. Per lui niente scorte ne’ auto blu, ma soltanto un taxi giallo. E mentre l’ ex leader dc esce, arrivano gli avvocati di Craxi. Nicolo’ Amato e Salvatore Lo Giudice consegnano l’ ultima parte della ricostruzione promessa a Di Pietro. Sabato era stata la volta del vicere’ andreottiano Cirino Pomicino. Ormai del Caf sono rimasti solo i memoriali ad uso della Procura.
Di Feo Gianluca