Il taglio dei parlamentari è obbiettivo della destra reazionaria
… posto a sostegno di “riforme istituzionali” alla tedesca.
Quindi un NO nel referendum contro chi considera Parlamento e la democrazia un impaccio …
e per un vero monocameralismo … quindi contro un senato delle regioni, sistema “tedesco”, come proposto nel Piano P2
Angelo Ruggeri
In questi decenni, la stragrande maggioranza anche di coloro che chiamano a dire NO nel referendum – compresi i cosiddetti giuristi democratici – hanno sostenuto come scopo efficentista la mera “riduzione del numero dei parlamentari”, che trattasi di obbiettivo e argomentazione di destra e della destra, anche reazionaria, anche occulta, poste a sostegno di “riforme istituzionali” alla tedesca: cioè volto a fare del Senato una assemblea non elettiva ma di nominati notabili delle regioni, persino dicendo di essere per il monocameralismo: come se la ragione di questo sia storicamente motivato dall’efficientismo. NON ESISTE NULLA DI PIU FALSO E INGANNATORIO DI QUANTI FINO AD IERI HANNO SOSTENTO QUESTO, E TRA I “QUANTI” VANNO ANNOVERATI PRATICAMENTE TUTTI QUELLI DI “SINISTRA” NONCHE’ TUTTI COLORO – A INIZIARE DAI COSTITUZIONALISTI SOSTENITORI DELLA COSIDETTA “DEMOCRAZIA COSTITUZIONALE” – CHE DA DECENNI PERSEGUONO L’OBBIETTIVO REVISIONISTA DI “CAMBIARE” LA SECONDA PARTE DELLA COSTITUZIONE: mistificando che così non si toccherebbe la Prima Parte, mentre invece si sapeva che sarebbe toccata e INCRINATA non solo anche la Prima Parte ma anche i PRINCIPI FONDAMENTALI (la Costituzione è un tutt’uno e non si può separare una parte dall’altra) .
A mo di esempio di tutti coloro – compresi i costituzionalisti di cui sopra – che hanno accettato o sostenuto la modifica della Seconda Parte della C. e della modernizzazione efficientista della Carta del 48 e per una anticostituzionale riforma tedesca del Senato, persino tenendosi al coperto dell’idea del monocameralismo; insomma per tutti coloro che dissero e ottennero che ci si pronunciasse per “riforme istituzionali” e “costituzionali”, citiamo e ricordiamo ad esempio, che ottennero anche che fosse iscritto nei programmi di “Rifondazione”(il termine “comunista” passato in secondo piano), che riprendeva, appunto, quanto sostenuto dai cosiddetti giuristi democratici e di c.d. “democrazia costituzionale”, contrari alla democrazia sociale della nostra Carta del 48. Cosi anche Rifondazione nel programma scriveva : “anche noi siamo per le riforme istituzionali, perché siamo per il monocameralismo” (ecco la mistificazione suggerita dai costituzionaliisti sedicenti democratici ).
Questo cosa ci dimostra? Dimostra che c’è una equivocità perpetuatasi e tanto più pericolosa e insidiosa, quanto più essa si manifesti nel nome di obbiettivi giusti, come il monocameralismo, che pur essendo agli antipodi è stato e viene presentato come “riforme istituzionali” esso stesso. Tal che sul terreno propriamente di destra delle “riforme istituzionali”, anziché assurgere al ruolo di manifestazione di autonomia della sinistra e dei comunisti in opposizione alle opzioni istituzionali di destra, la proposta monocamerale rischia di diventare iniziativa posta a copertura di effettiva inerzia o più semplicemente una enfatica parola piuttosto che essere, finalmente, suscitatrice di una ritrovata autonomia della sinistra, rivelatrice ulteriore della effettiva mancanza di essa. Tanto da non ricordare innanzitutto, nemmeno dalla proponente “Rifondazione”, che a proposito di monocameralismo trattasi della proposta del Togliatti costituente, per poi nemmeno motivarla con un richiamo alle ragioni storiche di coerenza di classe e di coerenza democratica ma bensì, viceversa, come scopo efficentista di mera “riduzione del numero dei parlamentari”, che trattasi di obbiettivo e argomentazione di destra e della destra, anche reazionaria, anche occulta, poste a sostegno di “riforme istituzionali” alla tedesca (1).
Perché le forti ragioni di un sistema monocamerale non stanno certo nella riduzione di un eccessivo numero di deputati che per ciò stesso rende difficile il trovare un posto a sedere per lo svolgimento delle attività legislative nelle aulette delle Commissioni, bensì nel fatto che il bicameralismo, storicamente, non è altro che la proiezione della realtà di classe in una camera alta del notabilato nobiliare o borghese e in una camera bassa del popolo, con cui da sempre si cerca di limitare la sovranità popolare e l’allargamento della base sociale e di massa dello Stato, attraverso una Camera che visioni e semmai impedisca l’emanazione di una legge dell’altra Camera.
In cui cioè una Camera ha la funzione di freno dell’altra in una contrapposizione dei ceti alti alla pienezza dell’esercizio della sovranità popolare (2).
Questo stà a significare che su un terreno di destra come quello delle “riforme istituzionali” e nella mancanza di una autonomia delle sinistre da queste, persino il monocameralismo diventa solo una occasione di sfoggio da parte di queste, di una volontà di contributo, avallo e legittimazione alle misure di razionalizzazione, di efficienza e di economicità che ci si propone di introdurre con le “riforme istituzionali”.
Scelleratamente dissipando il patrimonio di una idea forza che muove e mira a scopi e soluzioni opposte a quelle di “riforma istituzionale” e dovrebbe ispirare nuove coerenze d’impianto istituzionali e ragionamenti del tutto opposti e diversi da quelli di destra si resta impelagati nella pania degli argomenti opposti che per i fini opposti sono stati posti a fondamento e ragione stessa delle cosiddette “riforme istituzionali” e “costituzionali”: vale a dire delle logiche efficentistiche e di critica ai costi della democrazia, anziché esaltare questioni di rappresentatività, socialità e sovranità popolare che il monocameralismo per sua stessa natura evoca.
Tanto che proprio contrapponendo alle “riforme istituzionali” una battaglia sul monocameralismo, sarebbe stato possibile fin dall’inizio affermare quella autonomia sempre mancata alla sinistra, portando tutti a conseguenze logiche opposte e di lotta, se non ci si fosse invece a suo tempo dichiarati, contemporaneamente, e a favore del monocameralismo e del suo stesso contrario, cioè il Bicameralismo.
Così fece infatti Occhetto quando dichiarò già nel 1985, “noi siamo per il monocameralismo e in subordine, per il Bicameralismo diseguale“. All’opposto di quello che seppe elaborare e fare Togliatti quando, nell’impossibilità di ottenere il monocameralismo, riuscì genialmente ad avere almeno un bicameralismo “eguale” ovvero, di fatto, un monocameralismo seppure imperfetto e articolato in due Camere ma con uguali compiti, al fine di realizzare così il massimo in quel momento possibile di una unità del potere della sovranità popolare . Ma se si è arrivati a rivendicare contemporaneamente il monocameralismo e il suo contrario, significa evidentemente che in realtà non lo si voleva realmente, tanto che propria MAI DA NESSUNO , politici o costituzionalisti, nessuna lotta e iniziativa è stata mai fatta a favore di un effettivo e vero monocameralismo .
Il “taglio” dei parlamentari colpisce la forza del Parlamento che in una democrazia deriva dalla sua capacità di rappresentanza. L’insegnamento dei Costituenti
La Costituzione ha riconosciuto piena rilevanza all’esigenza di garantire alle minoranze spazi di effettiva agibilità nel Parlamento per porle in condizione di svolgere un ruolo attivo non solo nella fase elettorale, ma anche e soprattutto nella fase di determinazione della politica nazionale (art. 49 C.).
Pertanto la rappresentatività delle istituzioni fu considerata come “la chiave per cogliere in modo continuo e ravvicinato i bisogni” della collettività e quindi come l’unico strumento capace di consolidare le fragilità del sistema politico.
Per questo i Costituenti hanno scelto non solo di superare la storica contrapposizione tra Camera “alta” e Camera “bassa” con l’introduzione del sistema bicamerale “paritario”, fondato sul principio unificante della sovranità popolare che implica un Parlamento posto al “centro” “non solo del sistema delle assemblee elettive ma anche del complessivo sistema istituzionale, compresi quindi il Governo e il Presidente della Repubblica”.
Ma i Costituenti hanno scelto anche di non fissare limiti stretti in relazione al numero dei componenti delle Camere, perché consapevoli del fatto che “la riduzione del numero dei parlamentari” restringe le “possibilità di scelta” e quindi gli “spazi della rappresentanza popolare”, rischiando di escludere “dalla sfera pubblica” le voci dei cittadini, specie di quelle più scomode per i poteri politico-economici dominanti.
In base a tali premesse anche il NO nel referendum al taglio dei parlamentari va motivato ricordando questo insegnamento dei Costituenti, i quali, giustamente, non considerarono prioritarie le esigenze connesse ad una pretesa efficienza e rapidità bensì ritennero prioritarie quelle del pluralismo politico, sociale e istituzionale, perché ritennero, come è effettivamente, che “la forza del Parlamento” in un sistema democratico deriva principalmente proprio alla sua capacità di rappresentanza.
Sicché la riduzione del numero dei parlamentari penalizzerebbe ancor più la rappresentanza perché – se fosse approvata – verrebbe ad inserirsi nel quadro di un sistema partitico già fortemente sbilanciato in quanto incentrato su partiti o coalizioni tendenzialmente convergenti verso il centro, che esprimono per lo più gli interessi socio-economici più forti e dominanti.
Cosicché la pretesa realizzazione di un Parlamento più efficiente avverrebbe pertanto grazie all’esclusione di una parte dei rappresentati dalla sfera della rappresentanza della sovranità popolare – sino ad escludere e colpire il pluralismo di interi territori – con una Camera di deputati ridotta a 400: un numero magico, evidentemente,visto che è il numero a cui, da Mussolini in poi, si sono rifatti tutti i governativisti, nemici del Parlamento.
Si comprende pertanto come le esigenze della governabilità non coincidano necessariamente con quelle della democrazia, ma possano anzi provocarne una regressione, specie quando acuiscono «il distacco rispetto alla rappresentanza e sacrificano il pluralismo reale e potenziale.
Insomma il quesito posto dalla revisione costituzionale sottoposta a referendum con la riduzione della rappresentanza popolare pone anche il quesito della incompatibilità fra un modello di governo che fa del decisionismo il suo asse paradigmatico e la forma di stato democratico-sociale fondata sul principio della partecipazione effettiva “di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese» (art. 3, 2° co., C.).
La proposta di riduzione del numero dei parlamentari è pertanto del tutto finalizzata alla ratio complessiva del sovversivismo costituzionale di chi mira a rafforzare il ruolo e il dominio del Governo nella prospettiva efficientistica e tecnocratica che domina la scena europea.
Tutte le modalità adottate per la discussione e l’approvazione fin dalla prima lettura del disegno di legge costituzionale e in quelle successive all’attuale scelta di commistione tra elezioni regionali e referendum hanno rivelato e confermano resto come i presunti “costituenti”di questa maggioranza di governo, considerino la democrazia un impaccio, come una specie di pietra di inciampo che spezza od ostacola la stabilità e la rapidità delle decisioni del circolo di potere-finanziario del capitale.
1 Nel “Piano di Rinascita democratica” della Loggia P2, a proposito dell’ordinamento del Parlamento, dopo aver indicato la necessità di “nuove leggi elettorali – sottolineato nel testo originale -, si dice che il sistema deve essere, “per la Camera, di tipo misto (uninominale e proporzionale secondo il modello tedesco), riducendo il numero dei deputati a 450 e, per il Senato, di rappresentanza di 2° grado, regionale…dare alla Camera preminenza politica (nomina del primo ministro)…stabilire che i decreti-legge sono inemendabili” (pag. 000149, punto a3), capoversi “i” e “i V”, Piano di Rinascita Democratica, Segreto 000087 Busta 3). Pur non volendo e potendosi ovviamente sostenere una continuità pratica e teorica tra tali proposte e quelle avanzate in sede di dibattito politico, ciò non di meno non è possibile non cogliere in tutto questo (modifica della legge elettorale proporzionale, riduzione del numero dei parlamentari, rafforzamento presidenzialistico di capo del governo e dello Stato, modello tedesco, differenziazione dei compiti del Senato dalla Camera, corsie preferenziali per i decreti legge inemendabili) come per tanti altri punti del Piano P2, la insufficiente autonomia e pericolosa subalternità della varietà di soluzioni proposte, da “destra” e da “sinistra”, di cui si discute o che già sono operanti.
2 Gran Bretagna e Stati Uniti sono esempio tipico di questo. Anche in Italia a fronte di una Camera “del popolo” eletta con la proporzionale, si è istituito un Senato italiano in cui i candidati oltre che più anziani fossero eletti in collegi uninominali. Così era prima dell’introduzione del collegio unico nazionale per il recupero dei resti che ha proporzionalizzato l’elezione dei senatori e così è tornato ad essere dopo il referendum di Segni che ha ristabilito la natura maggioritaria del sistema elettorale del Senato. Con la sola differenza che il sistema da Camera alta del Senato è stato poi introdotto anche per la elezione del 75% della Camera dei deputati.