Marta Capaccioni
Anche Our Voice al sit-in di protesta contro la richiesta di estradizione Usa
“Se Julian Assange morirà, dobbiamo essere consapevoli che non siamo più nel grandissimo libro di George Orwell (1984), siamo peggio. Se Julian Assange morirà, con noi morirà la libertà di informazione, di stampa, di pensiero e non saremo più in democrazia”, queste sono state le parole forti, incisive e scandalosamente vere del giovane italo-palestinese ventunenne e attivista del Movimento internazionale Our Voice, Jamil El Sadi. Il movimento insieme agli organizzatori, Italiani per Assange, e a pochissime decine di persone ha partecipato alla manifestazione che si è svolta lo scorso sabato 10 ottobre davanti alla sede di La Repubblica. Un sit-in per protestare contro l’estradizione di Julian Assange, contro la perdurante violazione di diritti umani da parte della Corte londinese di Old Bailey, contro la vergognosa censura della libertà di informazione e contro il silenzio complice dei principali mezzi di comunicazione nazionali ed internazionali. Ma perché proprio di fronte alla sede di Repubblica? Stiamo parlando di una delle testate giornalistiche statisticamente più lette e mediaticamente più influenti all’interno del nostro Paese. “Viviamo in un mondo in cui l’informazione viene dettata dall’agenzia nazionale di stampa”, ha spiegato il giovane attivista, “non siamo durante l’era del fascismo, non siamo in una dittatura ma le informazioni vengono trasmesse come quando c’era Mussolini, con le veline. Aprite i giornali di tutti i quotidiani, la mattina, una qualsiasi notizia viene ripresa nello stesso modo dalle punte dei vari giornali sia di destra sia di sinistra. Non c’è differenza nell’informazione”. Non si può forse parlare di “dittatura mediatica”? I dati trasmessi e i fatti raccontati anche se palesemente falsi o distorti, vengono riconosciuti come assolutamente attendibili perché pubblicati da testate giornalistiche ufficiali. Ma chi decide il timbro dell’ufficialità e l’etichetta della fake news, del negazionista o del complottista? Sempre il solito sistema che ci opprime fisicamente ed intellettualmente. Non è forse questa la caratteristica tipica dei regimi autoritari? Se l’umanità ne fosse consapevole probabilmente le piazze sarebbero piene e agitate da un giusto sentimento di ribellione.
“La nostra libertà intellettuale non è garantita in questo Stato e nel mondo perché quella Repubblica fa parte di uno dei tre più grandi editori d’Italia. Sono tre gli editori che tengono il 70-80% delle agenzie di stampa, dei giornali quotidiani, dei periodici, di quelle di gossip, delle televisioni e delle radio”. Uno di questi è la famiglia Elkann-Agnelli che ha comprato appunto La Repubblica, l’Espresso, La Stampa, 13 testate locali e altri periodici, per non contare le emittenti radiofoniche nazionali, come Radio Deejay e Radio Capital. Come si può pensare di ricevere notizie affidabili, approfondite, critiche e soprattutto non dettate da interessi, logiche e rapporti di potere, se chi seleziona e cura il materiale è sempre la solita testa? “Questa si chiama ‘dittatura mediatica’”, ha ripetuto il giovane El Sadi, “e negarlo è una stupidaggine”.
Ma perché proprio Julian Assange?
“Assange ha smascherato quello che c’è dietro i governatori del mondo”, ha affermato Jamil El Sadi, “non ha smascherato segreti di Stato ma crimini di guerra, dobbiamo essere consapevoli che non è un segreto di Stato chi ammazza i bambini in Iraq e in Iran, chi ammazza la mia famiglia in Palestina. Dobbiamo esserne consapevoli perché il mio popolo viene ucciso, ci sono i soldati che guidano i droni a 21 anni come me e ridono perché pensano di toccare un joypad, ma in realtà guidano un drone che bombarda in Iraq, bombarda in Afghanistan e finanzia Israele, dobbiamo essere consapevoli”.
Questi crimini contro l’umanità sono passati e passano ogni giorno sotto l’indifferenza totale del mainstream italiano che non si esprime e non si schiera, violando eticamente e giuridicamente i sacri valori e principi della nostra Costituzione: perché l’Italia è colpevole allo stesso modo di aver finanziato militarmente le armi che hanno distrutto ed ucciso migliaia di persone.
Assange è stato condannato a 170 anni di prigione “solo per aver detto la verità e lo Stato americano non ritira le sue accuse perché significherebbe che Julian Assange ha detto cose vere”. Perché il nostro Stato, che si dichiara civile, democratico e propenso alla pace, ha permesso l’incarcerazione del fondatore di Wikileaks all’interno del carcere di massima sicurezza di Belmarsh (definito la nuova Guantanamo del Regno Unito), ha permesso che venisse torturato fisicamente e psicologicamente, che fossero violati i suoi sacri diritti, come quello della difesa in giudizio, e ha permesso infine che quei crimini sconvolgenti compiuti dagli Stati Uniti, dai Paesi della Nato e dai servizi segreti, non fossero rivelati a tutta l’opinione pubblica come prima notizia in ogni giornale?
Forse perché dietro quella facciata, che possiamo intendere come la politica e il mainstream nazionale, esistono rapporti di potere ben più alti, ben più oscuri e criminali. Tutto questo potrebbe giustificare il motivo per cui alla manifestazione erano presenti solamente 40 persone. Il giovane attivista infatti, avvicinandosi alla sede del quotidiano, ha evidenziato proprio l’assenza dei quotidiani al sit-in, non giustificabile con una mancanza di comunicazione (“Non è vero che nessuno qua sapeva che c’era il sit-in, perché è stato fatto un evento su facebook che era noto”). E poi ha continuato puntando il dito contro il “fascismo intellettuale”, giornalisticamente parlando, che attraversa la stampa ogni volta che censura le notizie (“La Repubblica ha tradito, non siete degni del nome che portate”). Una denuncia drammaticamente giusta che non si esaurisce a questa testata giornalistica, ma si estende a tutte le agenzie di stampa nazionali che non compiono il loro dovere di “dire la verità”, ma sono complici e corrotte con questo stesso sistema.
Il giovane attivista ha infine concluso spiegando come Julian Assange è stato scelto come “capro espiatorio, per dare un’esecuzione esemplare a nome di tutti coloro che si ispirano a quell’uomo lì, ad Assange. Quindi se crolla Julian Assange, crolliamo tutti noi”. Ma noi non ci stiamo a crollare.