Giampiero Cazzato
Nuovo processo grazie a un nuovo filone di indagini. Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione tra i familiari delle vittime: «Altro che spontaneisti! Misero la bomba alla stazione per 5 milioni di dollari». Dopo l’udienza preliminare si torna in aula a gennaio
«Questo processo non sarà una passeggiata, ma uno snodo estremamente delicato. Ecco perché e importante che l’opinione pubblica sia messa nelle condizioni di essere informata della posta in gioco, la verità sulla strategia della tensione e, nello specifico, sulla strage di Bologna. E l’Anpi con i suoi circoli, la sua organizzazione capillare sui territori, con la sua autorevolezza, può contribuire a tenere desta l’attenzione nel Paese su questo nuovo filone che si va ad aprire, perché i depistatori sono ancora in azione. Dal 1980, anzi dal 1979, in poi non si sono mai fermati. E anche in questo processo faranno di tutto per nascondere la verità. Ecco perché bisogna stare attenti e, come si diceva una volta, vigilare». Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione tra i familiari delle vittime della strage di Bologna del 2 agosto 1980, insiste più volte in questo colloquio con Patria Indipendente sull’importanza di una informazione puntuale e corretta sulla nuova inchiesta in corso a Bologna sull’attentato che la mattina del 2 agosto di 40 anni fa costò la vita a 85 persone.
Il più grave atto terroristico compiuto in Italia. Su cui in questi quattro decenni non sono mancati, sottolinea Bolognesi, «mestatori e depistatori di professione, dossier fasulli confezionati nei retrobottega dei servizi segreti, false piste messe sulla strada degli inquirenti come tante polpette avvelenate».
Il presidente dell’Associazione delle vittime cita, ma sono solo alcuni esempi, la valigetta contenente esplosivo di tipo T4, lo stesso utilizzato a Bologna, sul treno 514 Taranto-Milano: si volle far credere che a collocare l’ordigno fossero stati gruppi terroristici europei, poi si è venuto a scoprire che era un depistaggio del Sismi su precisa indicazione del generale Musumeci e del colonnello Belmonte. O, ancora, la fasulla pista palestinese, «una balla colossale», roba di nessun valore poi archiviata, tirata fuori ad arte proprio quando il cerchio delle indagini si stringeva sull’estrema destra.
«Oggi – spiega Bolognesi – quel velo di menzogne sta finalmente cadendo. Oggi siamo ad un passo dall’individuazione puntuale dei mandanti di quella strage. Nei documenti della Procura viene ricostruito chiaramente il ruolo di Licio Gelli nell’organizzare e finanziare la strage di Bologna, assieme a Federico Umberto D’Amato, direttore dell’Ufficio Affari riservati del ministero dell’Interno, a Umberto Ortolani e Mario Tedeschi, giornalista e parlamentare missino, maestro nelle campagne di disinformazione negli anni 70 e 80. A tirar fuori i soldi, 5 milioni di dollari, per “commissionare” la strage, il Venerabile massone, anima nera della storia italiana.
Insomma, l’estrema destra italiana, che fornì la manovalanza per l’attentato, era di fatto al soldo di Gelli?
Per anni si è voluto far credere che l’attentato nascesse come iniziativa quasi personale dei Nar, Mambro e Fioravanti, i cosiddetti spontaneisti armati che di spontaneista, ovviamente, non avevano nulla, anche perché un attentato come quello alla stazione di Bologna non lo organizzi se non hai una rete di connivenze e di appoggi – anche economico-finanziari – ad altissimo livello. E infatti oggi sono stati ricostruiti con precisione i passaggi di denaro dalla P2 all’estremismo fascista. Una galassia di sigle unita sostanzialmente dai soldi.
Il 27 novembre scorso si è tenuta l’udienza preliminare del nuovo procedimento.
La Procura generale in vista del processo ha ricostruito i vari retroscena della strage basandosi sul cosiddetto “documento Bologna”, scoperto nel 13 settembre del 1982 durante l’arresto in Svizzera del Venerabile ma finito in un cassetto. Si tratta di un documento, scritto a mano da Licio Gelli, da cui emerge che utilizzò parte dei soldi provenienti dal crac del Banco Ambrosiano, 5 milioni di dollari, proprio per finanziare la strage. Il 27 novembre c’è stata la prima udienza preliminare, altre ve ne saranno l’11, il 25 e il 28 gennaio. Arriviamo lì con migliaia e migliaia di documenti, una cosa immensa. L’udienza del 27 novembre per certi versi poteva limitarsi agli aspetti burocratici e, invece, ha rappresentato l’occasione per mettere bene a fuoco il reato, relativamente nuovo, di depistaggio, che è un reato contro la giustizia, per aver intralciato la ricerca della verità. Ebbene, il fatto che anche il giudice abbia indicato nei familiari delle vittime i soggetti che non hanno avuto giustizia proprio a causa dei tanti depistaggi è un elemento da non sottovalutare anche dal punto di vista giuridico. Un elemento destinato a fare giurisprudenza.
Sui depistaggi, sconvolge e inquieta che non si riferiscono a chissà quale lontano passato, ma risalgono addirittura al 2019. Fa pensare ad apparati dello Stato che tuttora operano nell’opacità più assoluta, che vi sono, operative, connivenze e complicità.
Assolutamente sì. Nel momento in cui tu fai il ragionamento dei mandanti e cominci a raccontare che la strage è stata ideata e messa a punto nel febbraio del 1979, un anno e mezzo prima del 2 agosto, capisci quale livello di organizzazione c’era dietro l’attentato di Bologna. Avevano pianificato tutto da prima, anche la bufala della pista internazionale, in modo che vi fosse il massimo di confusione possibile, confusione delle idee, dell’opinione pubblica e soprattutto dei magistrati. La verità per anni tenuta nascosta è invece un’altra: quella strage fu voluta dalla P2 e dai servizi segreti italiani e fu pagata con denaro sonante. Tanti soldi, cinque milioni di dollari, che finirono, attraverso un giro di intermediari, dalle tasche di Gelli ai fascisti. La cronologia di quei versamenti colpisce: un primo milione di dollari gli esecutori della strage alla stazione lo prendono a luglio 1980, i restanti 4 milioni sono versati all’inizio di settembre a “lavoro” fatto. Altro che spontaneisti! Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, Gilberto Cavallini – che all’interno dei Nar teneva i contatti con Ordine Nuovo e con i servizi –, Luigi Ciavardini, di Terza Posizione, e l’ex di Avanguardia Nazionale Paolo Bellini, il cui ruolo è fermato nei fotogrammi di un filmino girato da un cineamatore proprio alla stazione di Bologna il giorno della strage, sono né più né meno che dei prezzolati esecutori di piani decisi da Gelli e dai servizi segreti. Il 30 luglio Mambro e Fioravanti sono a Roma, dove, all’hotel Excelsior, incontrano il capo della P2. Nel momento in cui, dopo la strage alla stazione, fuggono da Bologna, i due Nar vanno a Milano e trovano ospitalità in un appartamento di via Washington 27, sede di una società paravento dei servizi segreti. Insomma, i servizi e Gelli sono una presenza costante della strategia della tensione. Dirò di più. Fare luce su Bologna può aiutare a fare passi avanti anche sui segreti che riguardano altre vicende italiane».
A cosa ti riferisci?
Per esempio al caso Moro. Il covo di via Gradoli 96 a Roma, usato dai capi brigatisti Mario Moretti e Barbara Balzerani nei giorni del sequestro Moro, nel 1981 diventerà il covo dove troveranno rifugio i Nar Mambro e Giorgio Viale. Sempre a via Gradoli, al civico 65, troviamo un altro covo dei Nar, utilizzato da Gilberto Cavallini. Via Gradoli è la strada dei servizi segreti, in quell’angolo di Roma sono oltre venti gli appartamenti nella disponibilità del Sisde. Viene da pensare ad una sola mano che gestisce due terrorismi. Coloro che hanno voluto la morte di Moro – e con il suo omicidio hanno messo anche la parola fine al compromesso storico – sono gli stessi che due anni dopo armavano e foraggiavano i neofascisti. È un dato da sottolineare che al processo dovrà presentarsi oltre all’ex del Sisde Quintino Spella e all’ex carabiniere Pergiorgio Segatel, indagati per depistaggio, anche Domenico Catracchia, amministratore di condominio di alcuni palazzi in via Gradoli, imputato di false informazioni al fine di sviare le indagini.
Nell’inchiesta sulla strage alla stazione compare anche il nome di Roberto Fiore, all’epoca personaggio di spicco di Terza Posizione, poi leader di Forza Nuova, formazione che ha messo a ferro e fuoco tante piazze italiane contro la “dittatura sanitaria” appena confluita in nuovo soggetto politico. Uomo dalle mille risorse Fiore, condannato per banda armata e associazione sovversiva, si è salvato dal carcere scappando a Londra esattamente nel 1980. Ed è lo stesso Fiore che solo un anno fa, in piazza del Popolo, offriva il suo sostegno a Salvini.
Ritengo che quando inizierà il processo a Bologna Roberto Fiore dovrà chiarire parecchie cose. La sua è una situazione molto complicata e molti elementi portano a ritenere che abbia avuto un ruolo importante nel cercare di proteggere chi aveva compiuto l’attentato.
In questa intervista non hai mai usato il termine “servizi deviati”.
Usare la parola “deviati” vorrebbe dire, di fatto, attenuare le enormi responsabilità politiche di chi ha nominato in quegli anni i vertici dei servizi, tutti risultati poi iscritti alla loggia massonica P2.
Se oggi siamo a questo processo e ad un passo della verità lo si deve anche e soprattutto all’Associazione che presiedi. Senza il vostro impegno, la vostra tenacia, la strage di Bologna sarebbe uno dei tanti segreti irrisolti d’Italia. Con i vostri consulenti avete raccolto e trovato una miriade di documenti che altrimenti sarebbero andati persi, tra cui anche il “documento Bologna”.
Non ci siamo mai rassegnati all’idea che si dovesse stendere un velo sulla verità della strage alla stazione. E abbiamo iniziato dal 1981 a cercare di utilizzare la memoria dei primi computer per inserire i documenti che man mano reperivamo. Il salto di qualità è stato possibile grazie alla digitalizzazione che ha permesso di analizzare e intrecciare e collegare informazioni fino allora disperse in mille rivoli o in altri processi. La tecnologia ci ha dato un formidabile aiuto nella conoscenza. Ma ancora più importante dei bit di un computer è la volontà politica a far emergere la verità. Il quadro investigativo e storico è ben delineato. Così come il ruolo della P2, vera e propria centrale organizzativa della strategia della tensione. Adesso bisogna trovare tutti quelli che il 2 agosto erano a Bologna e gli altri depistatori ancora nell’ombra. E se ci sono politici implicati è bene che l’opinione pubblica lo sappia.
16 Dicembre 2020