Ad essere confinato, e per sempre, fu lo Stato liberale. Tra il 24 e il 31 dicembre Mussolini smantella lo Statuto del Regno d’Italia, divenendo capo del governo con maggiori poteri e svuotando di fatto le funzioni del parlamento. I tentacoli del regime si allungano al controllo capillare della stampa
Paolo Papotti
Il clima delle feste natalizie proietta le aspettative di ognuno di noi verso il nuovo anno. Propositi e speranze diventano modi per fare gli auguri, in particolare alla vigilia di Natale e nel giorno di San Silvestro. Attraverso un gesto, un regalo o un pensiero vogliamo condividere con gli altri le prospettive bene auguranti. Chissà se si possono definire regali “all’italico popolo”, i provvedimenti che il governo fascista, presieduto di S. E. Cav. Benito Mussolini, emanò durante le ricorrenze del 1925.
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Il primo dei doni arriva con la legge n° 2263 del 24 dicembre 1925. “Attribuzioni e prerogative del Capo del Governo”. In sintesi: il presidente del Consiglio diviene capo del governo, primo ministro e segretario di Stato, assumendo una posizione di netta preminenza rispetto agli altri componenti dell’Esecutivo. I singoli ministri possono essere sfiduciati sia dal re che dal primo ministro. Il capo del governo è nominato e revocato dal re ed è responsabile dell’indirizzo generale politico del governo solo verso il sovrano, pertanto il capo del governo non è responsabile verso il parlamento; non c’è rapporto di fiducia tra parlamento e governo.
In soli dieci articoli, perché il governo fascista è efficiente e non ha bisogno di spiegare e motivare, ma solo di abrogare ciò che limita il suo potere, si interviene modificando l’assetto costituzionale previsto e sancito dallo Statuto Albertino.
Delle modifiche costituzionali ottenute con leggi ordinarie abbiamo già parlato.
Proviamo ora, attraverso l’analisi di alcuni articoli della norma varata a ridosso del Natale ’25, a offrire elementi di riflessione a studenti (e ai loro genitori…) sul significato di quanto accadde.
Articolo 1. Il potere esecutivo è esercitato dal Re per mezzo del suo Governo. Il Governo del Re è costituito dal Primo Ministro Segretario di Stato e dai Ministri Segretari di Stato. Il Primo Ministro è Capo del Governo.
In democrazia la forma è anche sostanza e così in uno Stato di diritto. La domanda è: che differenza c’è fra presidente e capo? E soprattutto, che differenza c’è fra queste denominazioni, in ambito di democrazia e del suo funzionamento? Il presidente presiede e assume decisioni a seguito di un confronto. Il capo decide. Lo dimostra il fatto che un presidente è eletto, un capo è nominato. Dunque, con la nuova legge, nel Consiglio dei ministri, il luogo deputato al confronto da cui scaturisce una decisione condivisa, entra la funzione decisiva e decisionale di una sola persona.
Articolo 2. Il Capo del Governo Primo Ministro Segretario di Stato è nominato e revocato dal Re ed è responsabile verso il Re dell’indirizzo generale politico del Governo. Questo primo comma non cambia la funzione del re. In virtù di questo, il 25 luglio 1943, il re revocherà l’incarico a Mussolini e affiderà il governo a Badoglio. Ben diverse la portata e le conseguenze degli altri due commi.
I Ministri Segretari di Stato sono nominati e revocati dal Re, su proposta del Capo del Governo Primo Ministro. Essi sono responsabili verso il Re e verso il Capo del Governo di tutti gli atti e provvedimenti dei loro Ministeri. I Sottosegretari di Stato sono nominati e revocati dal Re, su proposta del Capo del Governo di concerto col Ministro competente.
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In questo modo viene ridimensionato il ruolo del re come titolare del potere esecutivo previsto dallo Statuto Albertino. Infatti, prima di questa legge, l’assetto istituzionale parlamentare liberale e monarchico definiva il potere esecutivo ben altrimenti: il Re esercita la sua funzione di potere esecutivo nominando e revocando il presidente del Consiglio e i ministri. Cioè, la loro responsabilità ed i loro atti erano soggetti al re. Dopo l’entrata in vigore della legge “natalizia”, la nomina e la revoca dei ministri, e la responsabilità dei loro atti sono in comprimaria attribuzione col capo del governo, che ha supremazia sui ministri e sul loro indirizzo. I ministri cessano di essere colleghi del capo del governo e diventano suoi subordinati gerarchici. Cioè, i ministri devono sottostare ai “suggerimenti” del primo ministro e capo del governo. È dunque legittimo pensare che la nomina dei ministri, da questo momento in poi, è pura e semplice formalità. Soprattutto, i ministri diventano “yesman” perdendo in ruolo e dignità.
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Articolo 3. Il Capo del Governo Primo Ministro dirige e coordina l’opera dei Ministri, decide sulle divergenze che possono sorgere tra di essi, convoca il Consiglio dei Ministri e lo presiede. Può essere interessante capire che cosa ha significato l’entrata in vigore di questa legge, in particolare guardando al numero delle convocazioni del Consiglio dei ministri. Prima dell’entrata in vigore della 2263: 1922, 12 sedute (Mussolini si insedia il 16 novembre); 1923, 66; 1924, 42; nel 1925, le sedute furono 46. Dopo l’entrata in vigore della legge: nel 1926 il Consiglio si riunì 36 volte; nel 1927, 24; nel 1928, le sedute scesero a 24; l’anno successivo, il 1929, furono 29; nel 1930, 17; il 1931, ne conterà ancora 17; il 1932, 13; il 1933, 13; il 1934, 11.
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In questi anni vengono emanate le altre leggi fascistissime, che costruiscono materialmente la dittatura. Si può notare un netto calo dell’utilizzo del Consiglio dei ministri. Nel 1935, sono 15 le sedute; 13 nel 1936; 11 nel 1937; 12 nel 1938; nel 1939, si restringono ad 8. Sono gli anni della “politica estera fascista” che invade l’Etiopia e costruisce l’alleanza strategica e politica col nazismo. Nell’anno dell’entrata dell’Italia nel secondo conflitto mondiale, il 1940, le sedute del Consiglio dei ministri sono 14; nel 1941, 12; e scenderanno a 7 nel 1943 (fino al 25 luglio).
Tutti i dati riportati sono tratti da “La macchina imperfetta” di Guido Melis.
Da ricordare, inoltre, che con la legge 9 dicembre 1928, n. 2693, il Gran Consiglio del fascismo, istituito poco dopo la marcia su Roma come organo supremo del Partito nazionale fascista, si qualifica “organo supremo, che coordina e integra tutte le attività del regime sorto dalla rivoluzione dell’ottobre 1922”. Di fatto, assumerà il ruolo di Consiglio dei ministri. Torniamo alla legge del 24 dicembre1925 con il lunghissimo e dettagliato Articolo 6.
Nessun oggetto può essere messo all’ordine del giorno di una delle due Camere, senza l’adesione del Capo del Governo. Il Capo del Governo ha facoltà di richiedere che una proposta di legge, rigettata da un a delle due Camere, sia rimessa in votazione quando siano passati almeno tre mesi dalla prima votazione. In questo caso si procede, senza discussione, alla votazione della proposta di legge a scrutinio segreto. Qualora, insieme alla richiesta di rinnovazione della votazione, siano stati dal Governo presentati emendamenti, l’esame e la discussione della proposta sono limitati agli emendamenti, e quindi si procede alla votazione della proposta di legge a scrutinio segreto. Il Capo del Governo ha altresì facoltà di richiedere che una proposta di legge, rigettata da una delle due Camere, sia egualmente trasmessa all’altra e da questa esaminata e messa ai voti. Quando una proposta di legge già approvata da una delle due Camere sia approvata dall’altra con emendamenti, il nuovo esame e la nuova discussione, davanti alla Camera, alla quale la proposta è rinviata, sono limitati agli emendamenti, dopo di che si procede senz’altro alla votazione a scrutinio segreto della proposta di legge.
Il primo comma attribuisce al capo del governo il controllo preventivo dell’agenda delle Camere. Così, il capo del governo decide gli ordini del giorno indipendentemente dalle proposte dei ministri che, come abbiamo visto, sono suoi subordinati e quindi, se hanno elementi di dissenso, risulterà loro impossibile sostenerne le motivazioni.
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Viene costituzionalizzato il governo come organo e dunque viene eliminato il rapporto di fiducia fra parlamento e governo. Il capo del governo risponde al re, non al parlamento. Il 24 dicembre 1925, il parlamento, in virtù della legge Acerbo (la legge elettorale del Regno d’Italia, adottata alle politiche del 1924), è composto alla Camera dal 66% di fedeli fascisti, al Senato di nominati direttamente dal re Vittorio Emanuele III. Si può pensare che, di fatto, era “inutile” portare argomenti alla discussione parlamentare vista la composizione.
Tuttavia è necessario ricordare che le democrazie non rappresentano solo la ragione di chi vince, che ha diritto e dovere di governare, ma anche come sono rappresentate e considerate le ragioni delle minoranze. Invece il Re firma. Tutto.
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Ancora. Il 24 dicembre 1925, in Gazzetta Ufficiale trentasette numeri dopo, viene varata la legge n. 2300: “Dispensa dal servizio dei funzionari dello Stato”. L’efficienza fascista sta nella sintesi. Inequivocabile.
Articolo 1. Fino al 31 dicembre 1926 il Governo del Re ha facoltà di dispensare dal servizio, anche all’infuori dei casi preveduti dalle leggi vigenti, i funzionari, impiegati ed agenti di ogni ordine e grado, civili e militari, dipendenti da qualsiasi Amministrazione dello Stato, che, per ragioni di manifestazioni compiute in ufficio o fuori di ufficio, non diano piena garanzia di un fedele adempimento dei loro doveri o si pongano in condizioni di incompatibilità con le generali direttive politiche del Governo. La dispensa è pronunciata con decreto Reale, su proposta del Ministro competente.
In altre parole, i funzionari dello Stato “infedeli” al governo di Mussolini potevano essere licenziati, scusate, “dispensati”. Capiamoci. È oggettivo pensare che furono pochissimi, forse nessuno, i funzionari che non abbiano dato “piena garanzia di un fedele adempimento”. Da una parte in quel momento, forse, non c’erano gli strumenti per capirne il vero significato. Forse a qualcuno faceva piacere perché intravedeva possibilità di carriera. Forse chi era contrario fece un ragionamento più realista del re: perché perdere un lavoro nel pubblico che rappresentava una garanzia economica? Questa legge ci apre la coscienza sul fatto che il fascismo perpetrò violenza psicologica per rendere il consenso, che anche ci fu, un obbligo. Di nuovo il Re firma. Tutto.
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Poco prima dei botti dell’ultimo dell’anno, arriva il botto, anzi una botta alla stampa. La legge n. 2307 del 31 dicembre 1925 dispone che i giornali potevano essere diretti, scritti e stampati solo se avevano un direttore responsabile riconosciuto dal procuratore generale presso la Corte di appello della giurisdizione dove era stampato il periodico. Il regolamento attuativo dell’11 marzo 1926 preciserà che il procuratore era tenuto a sentire il prefetto, quindi il direttore di qualunque giornale doveva essere persona non sgradita al governo, pena l’impossibilità di pubblicare. Il prefetto, pertanto, deve approvare la scelta del direttore. Semplicemente, si controlla la stampa. Il Re firma. Tutto. Sempre.
In conclusione. Il ministro dell’Interno, dal quale discendono e dipendono le responsabilità e i ruoli delle leggi descritte, era Luigi Federzoni.
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In sede di Consiglio dei ministri, Federzoni era subordinato al Primo ministro e capo del governo che avrebbe potuto sfiduciarlo in quanto potere accorpato a quello del re (quindi senza passare al vaglio del re), col quale avrebbe dovuto condividere gli ordini del giorno. I dipendenti pubblici sono “liberamente obbligati” a dare piena garanzia di un fedele adempimento. Le testate giornalistiche devono avere un direttore che piace al governo.
Cosa manca? Forse un inno che sancisca il nuovo corso del fascismo? Figuriamoci, il fascismo non fa mancare nulla all’“Italico popolo”.
Nel 1925, con testo di Giuseppe Blanc, cantata da Franco Lary arriva nella hit parade italiana “Allarmi (siam fascisti)”. Il brano è composto di quattro ritornelli e quattro strofe cantate a ritmo di marcia con arrangiamento da fanfara. Un ritmo sicuramente incalzante che nasconde parole di orgoglio e di appartenenza dietro ad un vero e proprio inno alla violenza. Che dire, in stile con stile.
Con leggi fascistissime e canzoni violentissime, il regime augura agli italiani buon Natale e felice Anno nuovo!
Nel frattempo, in Italia
Stato e istituzioni
3 gennaio: Mussolini, in relazione al delitto Matteotti, assume “la responsabilità politica, morale, storica” di quanto avvenuto sotto il suo governo. Alcuni ministri liberali e fascisti, in disaccordo, si dimettono.
12 febbraio: Roberto Farinacci è nominato segretario del Pnf.
1° maggio: istituita l’Opera nazionale dopolavoro (Ond).
25 luglio: Giovanni Amendola è aggredito da fascisti a Serravalle (Pt).
4 agosto: Gaetano. Salvemini lascia l’Italia per l’esilio in Francia.
3 ottobre: violenze squadriste a Firenze protrattesi per vari giorni.
3 novembre: Il Popolo, organo del Ppi, cessa le pubblicazioni a seguito dei continui sequestri cui è sottoposto.
8 novembre: l’Avanti!” e l’Unità sono sospesi dal prefetto di Milano.
10 novembre: il prefetto di Torino sospende La Rivoluzione liberale di Piero Gobetti.
10 dicembre: istituita l’Opera nazionale maternità e infanzia, Onmi.
Economia e società
12 marzo: accordo tra sindacati fascisti e industriali metallurgici per comporre l’agitazione in corso da febbraio.
1 giugno: la banca americana Morgan concede al governo italiano un credito di 50 milioni di dollari per la difesa della lira.
4 luglio: istituito il Comitato permanente per il grano, ha inizio la “battaglia del grano”.
20 settembre: inaugurata a Napoli la prima ferrovia metropolitana d’Italia.
2 ottobre: accordo fra Confindustria e Confederazione nazionale delle corporazioni fasciste, considerate rappresentanze esclusive dei datori di lavoro e dei lavoratori; abolite le commissioni interne (“patto di palazzo Vidoni”).
12 novembre: Confindustria accetta la definizione “fascista”: il suo presidente entra nel Gran Consiglio del fascismo.
18 novembre: nuovo prestito di 100 milioni di dollari concesso dalla banca americana Morgan al governo italiano.
I beni dell’intelletto
Gennaio: edito a Firenze il periodico clandestino Non mollare” vicino all’organizzazione Italia libera. Animano il foglio Salvemini, Ernesto Rossi, Nello Traquandi, Carlo e Nello Rosselli.
18 febbraio: fondato a Roma l’Istituto Treccani per la pubblicazione dell’Enciclopedia italiana diretto da Giovanni Gentile.
21-25 aprile: manifesto degli intellettuali fascisti, ispirato da Gentile; risposta degli intellettuali antifascisti nel manifesto scritto da Benedetto Croce.
5 novembre: l’Unione cinematografica educativa (Luce) è trasformata in istituto nazionale.
Dicembre: Eugenio Montale pubblica “Ossi di seppia”.
Dicembre: pubblicazione a puntate su Fiera Letteraria di “Uno, nessuno, centomila” di Pirandello”.
Cronaca, costume, sport
29 marzo: la gara ciclistica Milano-Sanremo vinta da Costante Girardengo.
19 luglio: Tour de France vinto da Ottavio Bottecchia.
26 luglio: morte del pilota automobilistico e motociclistico Alberto Ascari, primatista mondiale di velocità, durante il Gran premio di Francia disputato a Monthléry.
23 agosto: campionato di calcio vinto dal Bologna.
6 settembre: Gran premio automobilistico d’Italia vinto a Monza da G. Brilli Peri su Alfa Romeo.
Ottobre: Giro d’Italia vinto da A. Binda.
Paolo Papotti, componente della Segreteria nazionale Anpi, responsabile Formazione
19 Dicembre 2020