Francesco Schettino1
Introduzione
Correva l’anno 2020, ed era un mese, quello di marzo, che passerà senza dubbio alla storia dell’umanità che proprio in tale occasione scoprì di essere stata colpita a morte da un virus – la celeberrima Covid19 – che sino a qualche giorno prima, anche da molti esimi scienziati del settore, veniva confinato ad esperienza asiatica non troppo dissimile a non inconsuete influenze stagionali. Purtroppo i fatti immediatamente negarono questo tipo di approccio e da allora, non solo l’Italia, ma gran parte del mondo scoprì di essere immersa in un problema di dimensione planetaria che avrebbe segnato molto più di una generazione. Ci fu, quando fu sufficientemente chiara la portata della diffusione, chi invocò la metafora degli effetti di un conflitto armato per qualificarne le probabili conseguenze.
Sebbene la questione appaia sostanzialmente di natura diversa, se si assume il punto di vista meramente quantitativo – a fine di novembre 2020 si contano in tutto il mondo ben 1,4 mln di decessi collegati alla malattia ed i numeri sono in crescita – ciò che in prima istanza sembrerebbe essere una considerazione guidata da un eccesso di emotività, finisce per non andare troppo lontano da una adeguata rappresentazione della realtà che continua a presentare vittime nella gran parte delle aree dell’orbe terracqueo.
Proprio mentre i colori e i profumi della primavera si andavano componendo, guadagnando il proprio spazio all’interno di un freddo inverno in via di conclusione, in particolare in Italia si scopriva che la Covid19 era già ampiamente penetrata nelle maglie della società2 e che il mondo che si andava delineando avrebbe avuto delle caratteristiche molto dissimili da quelle consuete e auspicabili. In altri termini l’abituale alternarsi delle stagioni sarebbe stato pesantemente alterato da un fenomeno per certi versi nuovo e le politiche necessarie ad arginarlo avrebbero ancor più mutato le consuetudini di intere popolazioni.
Dapprima, come è noto, il fatto che la maggior parte dei contagi si stesse polarizzando in Lombardia e Veneto fece tirare un sospiro di sollievo (in senso relativo) a quanti immediatamente pensarono alla disastrosa condizione delle strutture sanitarie del meridione. Per anni, infatti, eminenti esponenti della politica nazionale e locale, avevano diffuso l’idea di eccellenza, soprattutto in ambito lombardo, narrando di presunti straordinari risultati ottenuti da una coesistenza di sistema sanitario pubblico-privato. Alla prova dei fatti però, questa costruzione mediatica si rivelò essere prevalentemente un castello di carte persino incapace di permettere le cure a tutte le persone come previsto anche in Costituzione all’art.32, per cui la salute è un «(…) fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.(…)». In poche settimane, infatti, si scopriva che negli ultimi decenni, grazie anche a un massiccio intervento del capitale privato, era avvenuta una cancellazione di posti letto ospedalieri pubblici (tra cui quelle conosciute come “terapie intensive”) e al contempo una crescita di attività profittevoli. In altri termini, a parte la riconosciuta ed encomiabile professionalità di tutto il personale medico, di eccezionale erano restati solamente i profitti che le strutture private riuscivano a ottenere grazie ad un progressivo e inesorabile smantellamento di quelle statali. Fu così che, come ben descritto da Marcelli (2020), dinanzi a insormontabili difficoltà, lo Stato italiano si trovò dinanzi ad una difficoltà nella gestione della pandemia a dir poco completa. La confusione regnava sovrana, la scarsità di strutture, di personale adeguato e anche dei famigerati dispositivi di protezione individuale (Dpi) erano elementi che avevano condotto una parte importante di Italia in un collo di bottiglia da cui, per lungo tempo, sembrava impossibile uscire. Fu in un contesto del genere che, dinanzi a suggerimenti provenienti da ambienti ben lungi dai partiti, l’idea di avvalersi dell’aiuto di medici provenienti da un paese lontano, piccolo, soggetto ad un criminale bloqueo da più di mezzo secolo e in via di sviluppo (almeno secondo i discutibili criteri internazionali), fu dapprima valutata con non poche perplessità, per poi, alla luce della tragedia, essere accettata. Furono alcune delle regioni più interessare a farne espressa richiesta, Lombardia e Piemonte, e così il 22 maggio la Brigata “Henry Reeve”, composta da 36 medici, 15 infermieri e uno specialista della logistica atterrò all’aeroporto di Milano-Malpensa. Successivamente, una seconda missione, composta da 21 medici, 16 infermieri e un coordinatore arrivava a Torino nella prima metà di aprile. In molti, per plurime motivazioni, hanno trovato insolita questa partnership tra uno stato appartenente al club dei paesi a capitalismo avanzato e uno socialista, collocato dall’altra parte del mondo e come già detto non altrettanto opulento in termini di Pil. Obiettivo prioritario di questo articolo è proprio quello di svelare perché ciò che è avvenuto non sia frutto di bizzarre volontà di presidenti di regione particolarmente illuminati bensì di elementi che strutturalmente hanno modificato il sistema di capitale. In altri termini, cercheremo di spiegare come un’operazione di questo tipo sia uno dei risultato delle mille contraddizioni che il capitale in fase di crisi genera periodicamente.
L’aver aderito negli ultimi 4 decenni almeno ad un paradigma, del tutto interno al sistema di capitale, caratterizzato da liberalizzazioni indiscriminate della prevalenza dei servizi pubblici – ciò che molti individuano con l’etichetta di neoliberismo – ha avuto un peso qualificante nella gestione passata (e anche presente) dell’intera pandemia sia in Italia che altrove. Per tentare di spiegare in maniera comprensibile ai più cosa ciò significhi, pur rimandando a testi sicuramente più completi e scientificamente irreprensibili, ci sembra opportuno raccontare questa storia adottando un linguaggio più accessibile: quello proprio delle fiabe.
La favola di mr Free Market e dott.Lockdown
C’era una volta una storia che raccontava di un sistema economico – mister Free Market – che, lasciato libero di fluttuare, avrebbe spontaneamente generato plurime condizioni di ottimo, trainato dalla formidabile razionalità degli operatori che ne fanno parte.
Era una favola piena di formule, grafici, assiomi e teoremi, bella a tal punto da appassionare anche gli adulti: tra questi, alcuni, dapprima si limitarono a leggerla bulimicamente alla loro prole ogni sera nel tentativo di farli assopire, finendo poi per sussumerla e crederci davvero sino a proporla nei luoghi dove il pensiero si plasma e discutendone persino nelle più blasonate accademie del mondo. Tuttavia, dopo alcuni decenni di crisi, di disuguaglianze e povertà diffusa, erano rimasti davvero in pochi a crederci, specie tra i più giovani. Un mondo così descritto, prossimo alla perfezione, alla felicità diffusa e alla razionalità completa ben poco si conciliava con la materialità della vita, fatta di precarietà lavorativa, di difficoltà a pagare le bollette, a trovare un ospedale pubblico attrezzato adeguatamente per curare i propri cari, oppure un istituto scolastico in grado di fornire agli studenti una giornata di lezioni frontali e di socializzazione con i propri simili.
Nonostante ciò, come incantati da un formidabile illusionista, menti di indubbia qualità continuavano a pontificare con ammirevole pervicacia sulla straordinaria efficienza di mister Free Market e sui fantastici benefici che la sua azione avrebbe infuso a tutta la società se solo gli interventi esterni, quello dei soggetti pubblici più in generale, fossero stati contenuti sino quasi a scomparire. E guai a opporsi a un tale modo di vedere la realtà! Non sia mai a proporre una critica o financo a illustrare un paradigma alternativo! Si rischiava di essere trattati alla stregua dei peggiori stregoni che la storia ricorda e per questo allontanati dai circoli di pensiero più rilevanti e, ove non possibile, silenziati in un angolo da cui sarebbe stato impossibile ragionare con chiunque.
Fu così che, in pochi decenni, quello che era nato come racconto fantastico per tranquillizzare i bambini più agitati, fu preso da alcuni così tanto sul serio da divenire fondamenta su cui fu creato uno degli impianti normativi più importanti che l’umanità intera ricorda, ossia quello che regola l’Unione europea, in tutte le sue susseguenti modificazioni. Ma non c’è da illudersi che questo sia restato un caso isolato! Infatti, da quando si era dissolto come la neve in un caldo giorno d’estate quello che per decenni aveva agito da spauracchio – e, nel bene e nel male, aveva rappresentato nell’immaginario collettivo una alternativa all’esistente – ossia il sistema sovietico – basato principalmente sulla proprietà comune dei mezzi di produzione e una pianificazione della produzione di beni e servizi –, i profeti di Free Market, con accanto una schiera sempre crescente di discenti, erano arrivati a diffondere il verbo praticamente in ogni angolo del mondo.
Pensavano di aver vinto ogni resistenza, ma, come vedremo questa volta, avevano fatto male i conti. Cosa paradossale, anche alla luce del fatto che venivano pagati, e non poco, proprio per fare i conti, che – detto in confidenza – ciclicamente sbagliavano. Si aggiravano ormai tronfi nei luoghi del potere, collocando se stessi e i propri discepoli in tutti i gangli del sistema, gestendo il tutto in maniera arrogante e sfrontata. L’applicazione delle proprie teorie aveva gettato sul lastrico migliaia di individui? «Ce ne faremo una ragione», dicevano loro, con aria sprezzante: «deve essersi palesata qualche distorsione imprevedibile, forse dovuta all’intervento dello stato assistenzialista che non si è fatto adeguatamente da parte». Ebbero bisogno di sistemi dittatoriali per rendere più fluido il sistema economico in mezz’America? «Bisogna essere più realisti del re, e ammettere che a volte il popolo è irresponsabile»3, sostenevano dinanzi alle decine di migliaia di giovani torturati a morte solo perché colpevoli di pretendere la libertà – non quella a parole, ma nei fatti – e la democrazia, quella del popolo. E così andarono avanti per decenni, diventando sempre più ciechi. Ma ciò che li condizionava era una cecità molto strana: era di quelle che si materializza quando non si riesce a vedere non perché ci sia una patologia oculare, bensì perché non si riesce più a guardare. Una sorta di incapacità cronica che si instaura a livello neurologico nel tradurre in immagini comprensibili ciò che passa dinanzi agli occhi. E facendo così, dimenticavano che quel che professavano e su cui avevano costruito carriere fantastiche, ottenendo premi, lustri e denari, era in fondo in fondo null’altro che una favola per bambini.
Erano divenuti così ambiziosi, presi dalla smania di comandare tutta l’umanità, dal dimenticare che spesso nelle storie per bambini, chi è avido perde tutto, il bene trionfa e la natura è una madre intoccabile e onnipotente che ha sempre la meglio sull’ingordigia umana. E come sappiamo, talvolta, l’omissione di elementi che apparentemente possono apparire di dettaglio viene pagata a caro prezzo. Fu così che, per permettere a mr Free Market di agire più velocemente e garantire maggiori arricchimenti, molti governanti pensarono di depauperare il bene più prezioso che prendiamo in dote dalle generazioni che ci precedono: la natura, la pacha mama. La superficie del globo abitata da flora e fauna di diverso tipo fu pian piano ridotta per permettere all’industria di produrre a prezzi inferiori e garantire lauti profitti, causando, di fatto, l’impossibilità del pianeta di fornire un ricambio organico necessario quanto mai alla vita di ogni abitante. Inquinamenti varii, che altro non significano se non un avvelenamento dell’intero orbe terracqueo, sempre frutto di questo anarchico sistema di capitale, facevano il resto, creando distruzione e depauperamento della biodiversità che era andata perfezionandosi progressivamente e con lentezza da milioni di anni. In questa spaventosa situazione, tendevano a indebolirsi tutti, tranne gli invisibili virus che ebbero così vita molto più facile nell’adattarsi a organismi che progressivamente divenivano sempre più simili e dunque più semplici da aggredire4.
Fu così che uno di essi, proveniente presumibilmente da una delle specie con il sistema immunitario più forte – quella dei pipistrelli – si potenziò a tal punto dal fare un salto di qualità e passare dagli animali all’uomo. Correva l’anno 2020, o forse la fine del 2019. Nella Repubblica popolare cinese, a Wuhan, la Covid19 prese forma e trovò casa nell’organismo umano, dando inizio a una delle pandemie più importanti che l’epoca moderna possa ricordare. Questo virus iniziò a seminare panico, dolore e morte lì dove passava. C’era chi ne negava persino l’esistenza, ma si sa, la madre degli stolti è spesso gravida; molti furono costretti a cambiare idea dinanzi all’evidenza di migliaia di persone – perlopiù anziani – che quotidianamente perdevano la vita dentro gli ospedali di tutto il mondo. Altri, pochi per la verità, ma al vertice di importanti stati americani, invece continuarono a far finta che il virus non esistesse e che mister Free Market godesse di un’ottima salute, solo con qualche acciacco di stagione. Ma così, come vedremo, evidentemente non era. E se ne resero conto in tanti, a tal punto che in quasi tutto il globo, i governanti della cosa pubblica decisero un po’ alla volta di disturbare il luminare dottor Lockdown, l’unico, secondo alcuni capace di risolvere la situazione sanitaria che stava ormai prendendo una piega altrimenti irreversibile. Del resto era proprio stato mister Free Market ad aver pian piano eliminato quella medicina di base, presente sul territorio, che per anni era stato fiore all’occhiello dell’Italia. I suoi discepoli garantivano che lasciando tutto nelle mani dei privati, sarebbe stato tutto “eccellente”. Avremmo risparmiato ben 37 mrd € in pochi anni (GIMBE, 2019) che avremmo potuto usare per molteplici finalità. Ma poi si scoprì che questi soldi furono usati prevalentemente per pagare gli interessi dei creditori dello stato e che ciò che era stato promesso essere eccellente, invece, si era tramutato in un grande fallimento.
E dinanzi ad una situazione così compromessa non ci fu alternativa al ricorrere alle cure del dott. Lockdown. È noto anche ai più piccini che il dottor Lockdown non sia dolce né tantomeno affabile, i suoi rimedi sono tutto fuorché popolari: ti impone di stare a casa per periodi lunghi, non ti fa vedere parenti e amici. Ti chiude in clausura chissà per quanto tempo, però la sua efficacia è nota in tutti i continenti ed è innegabile. E oltretutto è probabilmente il peggior nemico di mister Free Market; tant’è che questi lo teme come poche altre cose al mondo. Si narra, negli ambienti accademici, che, parafrasando una nota novella del passato, lo definisca sarcasticamente “mostro di Lockdown”. E così, il nostro luminare prese la situazione in mano e iniziò a ordinare quarantene in ogni dove, senza voler neanche stare a sentire le bercianti recriminazione dei lacchè di Free market.
Fu così che mister Free Market, dopo aver spacciato al mondo la sua perfezione e infallibilità, essendo stato quasi deificato, si trovò dinanzi a qualcosa che lo fece vacillare, forse come mai gli era capitato. Ciò avveniva proprio perché, ormai, si era insediato in tutti gli angoli del mondo, con alcune eccezioni – talvolta non di poco conto, come è lo spurio caso cinese – divenendo di fatto, il suo, un pensiero unico e condiviso con sfumature locali poco distinguibili. Allora, dopo decenni spesi a raccontare quanto fosse dannoso per la società lasciare la gestione dei settori strategici dei diversi sistemi economici nelle mani dello Stato, coloro che lo sostenevano, si trovarono d’incanto a non riuscire a spiegare perché ancora una volta – in un inizio di millennio a dir poco burrascoso – era necessario ricorrere ai soldi dei contribuenti, raccolti pazientemente nelle casse statali, per rimettere in piedi imprese, altrimenti, tecnicamente fallite. Insomma, mister Free market si era appoggiato per anni su studi che mostravano come solo una ferrea disciplina di bilancio avrebbe permesso un arricchimento generalizzato5. E invece, d’incanto, si trovava a chiedere di elargire soldi a più non posso (da questo punto di vista sia le politiche monetarie espansive che i prestiti anche a fondo perduto hanno lo stesso scopo) per non entrare in un buco nero che, Dio solo sa, cosa avrebbe potuto riservare. E allora i governi di tutto il mondo, facendo leva sull’infinita generosità (spesso inconsapevole) dei lavoratori – ossia di coloro che per l’80-90% riempiono le casse dello Stato con la propria fatica quotidiana – si affannarono per regalare denari freschi agli operatori di mister Free Market. Una contraddizione insolubile? Beh, probabilmente sì. Ma le cause, che cercheremo di spiegare nelle prossime sezioni di questo scritto, sono imputabili prevalentemente al fatto che lo stato di salute di mr. Free Market, nonostante una maschera da supereroe invincibile, era già molto pregiudicato e interventi di maquillage avvenuti periodicamente almeno dagli anni 80 avevano solo nascosto tutte le crepe e le fragilità che nel tempo si erano espanse sino a emergere in tutta la loro drammaticità con l’arrivo del dottor Lockdown e delle sue maniere forti.
La tendenza degli ultimi anni
È senza dubbio nella profittabilità delle prestazioni sanitarie che si annida la volontà tramutatasi in tendenza di soppiantare il patrimonio pubblico con l’inserimento di investimenti privati nel nome dell’efficienza e della modernità. Nella fase di crisi perdurante che aggrava la sua tendenza almeno dagli anni Settanta, con periodici shock del tutto endogeni, l’appropriazione di liquidità sostanziosa e “semplice” come è quella connessa alle prestazioni sanitarie diviene un obbligo per il capitale mondiale. Le Figure 1-4 ci mostrano come in ambito europeo sia stato condiviso lo smantellamento del patrimonio già accumulato nel secondo dopoguerra e, sebbene i dati disponibili ci mostrino solo una parte della rapida discesa – probabilmente quella meno drammatica, giacché le decadi 80 e 90 furono quelle maggiormente interessate dal fenomeno –, ad ogni modo ciò ci permette di visualizzare ciò che sinora abbiamo tentato di organizzare concettualmente.
Figura 1 – Numero di letti in ospedali di proprietà pubblica (per migliaia di abitanti)
Figura 2 – Numero di letti in ospedali di proprietà privata (per migliaia di abitanti)
Source: elaborazioni dell’autore su dati Eurostat
Analizzati dal punto di vista temporale, dalle figure 1 e 2, i dati qui presentati permettono l’emersione di almeno due elementi che confermano il nostro ragionamento: innanzitutto, la riduzione dei posti letto negli ospedali pubblici – per quanto giustificato solo in minima parte da avanzamenti tecnologici – è un tratto che accomuna le scelte della quasi totalità dei paesi dell’Europa occidentale che, in gran parte, avevano puntato sulla sanità universale come valore anche da contrapporre strategicamente e ideologicamente a quanto avveniva nei paesi sovietici almeno fino agli anni Ottanta. Questa tendenza monotonica, del resto, è stata compensata, solo in parte, da un corrispondente aumento dei posti letto negli ospedali di proprietà privata. Ciò è avvenuto, infatti, in maniera chiara nella Germania unificata, in Portogallo e solo in parte nei Paesi bassi; altrove non si rilevano tendenze chiare. Il motivo di questa apparente contraddizione potrebbe confermare altresì che lo smantellamento del settore pubblico possa aver favorito l’orientamento, da parte dei soggetti privati, verso prestazioni più vantaggiose in termini di profitto rispetto all’ospedalizzazione o alla lungodegenza. In ambito italiano, oltretutto, come ricordato da Mapelli (2012)6, il sistema già quasi perfettamente misto (51% dei servizi, beni o prestazioni erano pubblici, il 49% privati, già nel 2010) è stato sempre finanziato con risorse prevalentemente pubbliche (78% nel 2010). Pertanto la riduzione dei posti letto in strutture pubbliche è stata bilanciata da una proporzionale crescita di prestazioni apparentemente di non eguale rango e dunque primissima necessità, ma di alta profittabilità pur restando il costo di tale operazione (scellerata, considerati le risultanze in tempi di pandemia) sulle spalle dei contribuenti. Ciò conferma ancora una volta, anche se non ne sentivamo il bisogno, che il principio di “socializzare le perdite e privatizzare i profitti” è cardine dell’azione politica dei governi ad ogni livello.
Figura 3 – Mappa delle disponibilità di posti letto in ospedali pubblici e privati (2017)
(a – proprietà pubblica) |
(b – proprietà privata) |
Figura 4 – Mappa delle disponibilità di posti letto complessivi per regione (NUTS2 – anno 2017)
Source: elaborazioni dell’autore su dati Eurostat
Dal punto di vista spaziale, le Figure 3 (a, b) e 4 ci raccontano come in ambito europeo, ci sia una grande disomogeneità di disponibilità di posti letto ospedalieri. Confermando, in grande parte, quanto già visto nelle figure 1 e 2, gli stati più meridionali sono quelli che mostrano un rapporto posti letto in ospedali pubblici (ma anche privati) per abitante più basso rispetto ad esempio a quanto avviene nei paesi orientali7 e del centronord. Scendendo più nel dettaglio, (figura 4) le regioni più svantaggiate degli stati del sud del continente (Sicilia, Calabria e Campania, in Italia) sono quelle generalmente maggiormente esposte, questione che era dunque del tutto prevedibile e che però drammaticamente è emersa in tutta la sua gravità soprattutto durante la seconda ondata pandemica.
Considerazioni conclusive
Mentre concludiamo questo articolo, il drammatico conteggio delle morti ha raggiunto complessivamente gli 1,5 mln di individui a livello mondiale, dato certamente sottostimato in molte zone del globo, specie quelle in cui vivono le persone più indigenti e in difficoltà. Questi numeri ci impediscono di imputare un’unica causa a un fenomeno così ampio ed epocale. Sarebbe una semplificazione che avrebbe poco a che fare con il proposito scientifico che è motivo ispiratore di questo articolo. Tuttavia, è possibile almeno evidenziare quali possono esser state le manchevolezze, anche in una prospettiva comparata che, soprattutto nella fase di gestione dello sviluppo epidemico, hanno maggiormente agito sulla diffusione del virus. In questo articolo, abbiamo mostrato come sia stato avventato, nei decenni finali del secolo passato in particolare, aver considerato quello pubblico come un patrimonio in generale sacrificabile sull’altare dell’appropriazione privata e del profitto. Il dato arcinoto relativo al de-finanziamento della sanità pubblica italiana (37 mrd € in pochi decenni, GIMBE, 2019) va dunque letto, insieme alle altre evidenze empiriche presentate in questo articolo, come elemento interno a una logica di liberalizzazione che ha riguardato tutti i settori e che diviene drammaticamente evidente nel mezzo di una pandemia. Dunque, se è lo stesso sistema di capitale ad aver creato le basi, attraverso l’aggressione sistemica a tutti gli organismi viventi presenti nell’ambiente, per “il salto di specie” di virus abitanti in altri organismi, è stato lo stesso, in fase decadente, ad aver avuto la necessità di smantellare quella rete di protezione che negli anni si era andata formata. Alla riduzione di posti letto, precarizzazione del personale medico, decadenza delle strutture, chiusure di ospedali e progressivo smantellamento della sanità di prossimità, è corrisposta una crescita poderosa di cliniche e strutture private capaci di ereditare tutte le occasioni di guadagno, mostrando però solo in minima parte effetti compensativi in termini di valori d’uso. Queste contraddizioni di tipo meramente capitalistico, sono alla base dell’apparente paradosso del dodicesimo paese più opulento al mondo (in termini di Pil) che chiede aiuto a Cuba, stato socialista, che subisce un bloqueo infame da sessanta anni, e che nella stessa classifica è lontana decine di posizioni (77esimo secondo il Cia Factbook, 2019).
È stata la prima volta che una brigata di medici cubani abbia aiutato un paese del cosiddetto “primo mondo”, ma siamo sicuri che non sarà l’ultima, considerando i danni strutturali che nel tempo si sono andati configurando nella prevalenza dei sistemi sanitari del mondo cosiddetto “avanzato”. Dal nostro punto di vista di certo saremo sempre grati per l’immensa generosità dimostrata dal personale medico e dalle istituzioni cubane che ancora una volta hanno dato una grande lezione a tutto il mondo, mostrando come si pratica, al di là di tante parole, la solidarietà internazionalista che ponga al centro della propria azione non già il profitto e questioni ideologiche – riassunte dal perdurante bloqueo – bensì la salute degli esseri umani ovunque collocati nel mondo. Ci auguriamo, infine, che uno sforzo di tale tipo venga altresì tenuto in adeguata considerazione dalle istituzioni internazionali anche in futuro.
Riferimenti Bibliografici
Canfora, Luciano (2007), Esportare la libertà. Il mito che ha fallito, Milano, Arnoldo Mondadori Editore.
GIMBE (2019), Report Osservatorio GIMBE n. 7/2019 Il definanziamento 2010-2019 del Servizio Sanitario Nazionale, https://www.gimbe.org/osservatorio/Report_Osservatorio_GIMBE_2019.07_Definanziamento_SSN.pdf
Mapelli Vittorio (2012), Pubblico e privato nella sanità italiana, Economia Sanitaria, https://core.ac.uk/download/pdf/187915922.pdf
Quamenn, David (2012), Spillover – L’evoluzione delle pandemie, Adelphi, Milano, Italia.
Reinhart, Carmen M., e Kenneth S. Rogoff. 2010. “Growth in a Time of Debt.” American Economic Review, 100 (2): 573-78.DOI: 10.1257/aer.100.2.573
Schettino, Francesco e Clementi, Fabio (2020), Crisi, disuguaglianze e povertà: le iniquità strutturali del capitalismo, da Lehman Brothers alla Covid19, Edizioni La Città del Sole, Napoli, Italia.
Wallace, Robert (2016), Big Farms Make Big Flu: Dispatches on Infectious Disease, Agribusiness, and the Nature of Science, The Monthly Review, https://monthlyreview.org/product/big_farms_make_big_flu/
1 Dipartimento di giurisprudenza, Università della Campania L.Vanvitelli – francesco.schettino@unicampania.it
2 Secondo l’Istituto dei tumori di Milano, il virus era presente in Italia almeno dall’estate 2019. https://www.corriere.it/cronache/20_novembre_15/ricerca-choc-coronavirus-circolava-italia-gia-dall-estate-2019-fdb3a9d2-2731-11eb-80dd-837b5190599c.shtml
3 «(…) Non vedo perché dovremmo restare con le mani in mano a guardare mentre un Paese diventa comunista a causa dell’irresponsabilità del suo popolo. La questione è troppo importante perché gli elettori cileni possano essere lasciati a decidere da soli (…)» frase pronunciata da Henry Kissinger dopo il colpo di stato che portò alla uccisione del presidente eletto Salvador Allende, citato in Canfora (2007).
4 Si veda anche Wallace (2016) o anche Quamenn (2012)
5 Rehinart e Rogoff (2010).
6 Mapelli Vittorio (2012), Pubblico e privato nella sanità italiana, Economia Sanitaria, https://core.ac.uk/download/pdf/187915922.pdf.
7 Risulta assai interessante notare come i paesi anticamente aderenti al patto di Varsavia ancora oggi possono vantare dunque una struttura sanitaria adeguata, eredità della pianificazione economica di ispirazione sovietica.