di Renzo Paternoster
Negli anni ’70 operò a Parigi una scuola di lingue che è stata al centro di inchieste giudiziarie. Un istituto ritenuto ancora oggi ambiguo, come enigmatico è uno dei suoi fondatori, Corrado Simioni.
Il primo ad accennare all’esistenza di una centrale eversiva a Parigi è Giulio Andreotti. Lo fa in un’intervista per “Il Mondo” il 20 giugno del 1974: «Sono tutt’ora convinto che una centrale fondamentale, che dirige l’attività dei sequestri politici per finanziare i piani d’eversione e che coordina lo sviluppo terroristico su scala anche europea, si trova a Parigi».
Nel 1980 a una domanda sull’esistenza di un ipotetico “cervello” del terrorismo italiano, un “Grande Vecchio” delle Brigate Rosse, Bettino Craxi dichiarò testualmente: «Quando si parla del Grande Vecchio bisognerebbe riandare indietro con la memoria, pensare a quei personaggi che avevano cominciato a far politica con noi, che avevano dimostrato qualità, doti politiche, e che poi improvvisamente sono scomparsi. Gente di cui, una decina di anni fa, si parlava e che facevano parlare di loro. Non leader, dico gente che aveva dimostrato qualità politiche. Certo, molti di loro avranno smesso […]. Però, dico, ci sarà pure chi ha continuato nella clandestinità. Magari sarà oggi a Parigi a lavorare per il partito armato».
Da più parti si ipotizza un centro occulto che da Parigi manovra i terrorismi nazionali, non solo europei.
In Italia molti vedono nelle parole di Craxi l’identikit di un certo Corrado Simioni, un ambiguo personaggio definito dalla Commissione Stragi come “figura enigmatica”, che dalla fine degli anni Cinquanta, e sino al 1965, milita nella corrente autonomista del PSI proprio in stretto contatto con Bettino Craxi. Simioni, assieme ad altri due italiani, Duccio Berio e Vanni Mulinaris sono i referenti di una scuola di lingue ubicata guarda caso a Parigi, in Quai de la Tournelle al civico 27.
Ma torniamo indietro nel tempo per inquadrare questi tre personaggi e capire perché la loro scuola è stata al centro di molte “attenzioni” da parte della magistratura e della stampa.
Nel settembre del 1969 nasce il Collettivo Politico Metropolitano (CPM), un’organizzazione di estrema sinistra di militanti attivi funzionante per un anno a Milano, fondata – come si legge in un rapporto dell’allora Prefetto di Milano, Libero Mazza, al Ministro degli Interni – «per contribuire alla crescita politica delle masse e alla trasformazione dello scontro in lotta sociale generalizzata». Ne fanno parte, oltre a Corrado Simioni, Duccio Berio e Vanni Mulinaris, anche Renato Curcio, Mara Cagol, Prospero Gallinari, Mario Moretti. Quest’ultimi saranno il nucleo storico delle Brigate Rosse, il Partito comunista combattente. All’interno del CPM Simioni ha una struttura clandestina, occulta anche agli stessi appartenenti del Collettivo. La struttura è chiamata “zie rosse”, perché l’ala più dura e determinata del gruppo è costituita da donne. Ne fanno parte tra gli altri Mario Moretti, Innocente Salvoni, Francoise Tuscher, Sandro D’Alessandro, Prospero Gallinari, Mara Cagol (ma solo inizialmente), oltre a Duccio Berio e Vanni Mulinaris. Compito di questa struttura è alzare il livello di scontro, specialmente durante i cortei.
Dalle “zie rosse” si compatta una nuova struttura chiusa e clandestina, un gruppo di “compagni” intenzionati ad alzare lo scontro politico e colpire in modo selettivo personaggi e simboli dell’imperialismo statunitense. Il nuovo gruppo non ha un nome, ma è chiamato “Superclan”, da superclandestino. Ne fanno parte Corrado Simioni, Duccio Berio, Vanni Mulinaris, Mario Moretti, Prospero Gallinari. Del Superclan si è saputo ufficialmente solo nel 1978-1979, a seguito delle indagini condotte dal giudice Pietro Calogero su una scuola parigina di lingue chiamata Hyperion.
Sino al 1973 Simioni ha a disposizione cascine e villette (a Barzio e Bellano, sopra Lecco; nei pressi di Erba, a Tortona, a Mestre) dove riunirsi con i militanti del Superclan; un appartamento a Milano, in via Boscovich 55, dove incontrare persone senza che gli altri del gruppo ne fossero venuti a conoscenza; ha finanche un sito dove far addestrare i suoi militanti e svolgere dibattiti politici, la cascina Baghina, nel Comune di Grognardo presso Acqui Terme, acquistata probabilmente con i proventi di una rapina compiuta dai militanti a un portavalori della Savoia Assicurazioni.
Nel 1974 il Superclan si sfalda. Moretti e Gallinari migrano nelle Brigate Rosse. Simioni, assieme a Berio e Mulinaris, si trasferisce a Parigi. La partenza del trio per la Francia quasi coincide con un evento che segnerà la storia delle Brigate Rosse: l’8 settembre 1974, Renato Curcio e Alberto Franceschini, capi storici delle BR, sono arrestati a Pinerolo grazie alla delazione di Silvano Girotto alias “frate Mitra”. Mario Moretti si salva dall’arresto grazie a una spiata ricevuta il giorno prima. Con l’arresto di Curcio e Franceschini pian piano Mario Moretti acquisisce la leadership delle BR, segnando l’escalation della violenza brigatista.
Alcune ambiguità e strane coincidenze compiute da Simioni prima di trasferirsi a Parigi, portano molti “compagni” a diffidare di lui.
Simioni, dopo essere stato espulso da Partito Socialista nel 1965 per una non meglio precisata accusa di “condotta immorale”, ed essersi trasferito a Monaco di Baviera e frequentato un corso di teologia, ritorna nel 1967 in Italia, a Milano. Qui lavora per la Mondadori, ma anche per l’USIS (United States Information Service), un ente informativo degli USA, in pratica una delle tante succursali della CIA. Coincidenza delle coincidenze: una delle sedi romane dell’USIS si trova al numero 32 di via Caetani, quasi di fronte al punto in cui sarà parcheggiata la Renault rossa con il corpo morto di Moro.
Un’altra stranezza è un attentato organizzato probabilmente da Simioni ad Atene, nel settembre 1970. In questa occasione Simioni si rivolge inizialmente a Mara Cagol, alla quale esige di non parlare del progetto con nessuno, neanche con Curcio, il suo compagno. Al rifiuto della Cagol, Simioni riesce a trovare altri due volontari: Maria Elena Angeloni e Giorgio Christou Tsikouris (di origini cipriote). L’attentato fallisce poiché l’ordigno esplode anzitempo nella Volkswagen mentre si dirige verso l’ambasciata statunitense di Atene. I due attentatori muoiono. L’esplosivo e il timer dell’attentato di Atene sono identici a quelli che nel 1972 uccideranno Giangiacomo Feltrinelli, mentre si accingerà a collocare un ordigno a un traliccio dell’Enel nelle campagne di Segrate.
Sempre nel 1970, Simioni porta alcuni compagni a una riunione in Liguria, ospiti da una certa Savina Longhi. La particolarità non è la riunione tenuta in Liguria, ma la persona che ospita il gruppo: Savina Longhi è l’ex segretaria di Manlio Brosio, ambasciatore italiano e dal 1964 al 1971 segretario generale della NATO. Non solo. Simioni presenta al gruppo la Longhi come sua segretaria. Ma segretaria di cosa?
Sempre nel 1970 Simioni vuole organizzare, oltre l’assassinio di due ufficiali della NATO a Napoli, anche un attentato mortale a Trento al principe Junio Valerio Borghese. Simioni riferisce ai compagni del Superclan che ha organizzato tutto, compreso a chi dare la colpa dell’assassinio, ossia al nascente gruppo di estrema sinistra Lotta Continua. Con chi ha organizzato i due attentati Simioni? Perché proprio Borghese? Simioni sapeva già che il “principe nero” stava organizzando un golpe in Italia per la notte dell’Immacolata di quell’anno?
Inoltre, l’amicizia con un ambiguo personaggio, tale Roberto Dotti, allontana quasi subito Franceschini e Cagol dal Superclan. Roberto Dotti è intimo amico e sodale di Edgardo Sogno, l’uomo che organizza un progetto di un colpo di stato di stampo liberale e presidenzialista in Italia che sarebbe dovuto avvenire nei primi anni Settanta. Nelle memorie dell’ex brigatista rosso Alberto Franceschini c’è una confidenza ricevuta da Mara Cagol. All’epoca della militanza nelle “zie rosse”, Cagol era l’incaricata della raccolta delle schede che i militanti del CPM dovevano compilare per ordine di Simioni. Cagol riferisce a Franceschini che un giorno Simioni la portò presso la terrazza Martini di Milano, presentandogli proprio Dotti. Simioni informò Cagol che proprio a lui avrebbe dovuto consegnare le schede biografiche dei compagni del collettivo. Non solo, gli disse anche che era a lui che avrebbe dovuto rivolgersi nel caso in cui avesse avuto bisogno di soldi o di altri aiuti. Perché schedare i compagni del collettivo? Perché consegnare le schede biografiche dei militanti proprio a Dotti, che tra l’altro non apparteneva neppure al CPM?
Particolare è anche la biografia di Duccio Berio, il braccio destro di Simioni. Figlio di un medico milanese, è legato sentimentalmente a Silvia Malagugini, figlia di Alberto, importante dirigente nazionale del Pci che dirigeva la delicatissima sezione “problemi dello Stato” del partito. Dal 1972 è probabilmente un agente o un informatore del Servizio Informazioni Difesa (il servizio segreto italiano dal 1966). Suo padre è probabilmente un collaboratore dei servizi segreti israeliani. Quest’ultima ipotesa è stata smentita dal figlio Duccio dinanzi alla Commissione parlamentare che indaga sul sequestro Moro, dove ha tuttavia riferito che suo padre era stato piuttosto un massone 33° grado.
Un’ultima stranezza, prima che il trio lasci l’Italia, avviene dopo il rapimento di Ettore Amerio, il direttore del personale Fiat auto (il sequestro è avvenuto il 10 dicembre 1973 e dura fino al 18 dicembre). L’ex BR Franceschini ricorda che dopo il sequestro, attraverso Pierino Morlacchi, il Partito Comunista ci consigliò di consegnarci ai magistrati, prima di una grande retata. I brigatisti rifiutano, mentre quelli del Superclan vanno dal magistrato e poi si trasferiscono in Francia.
Il 21 ottobre 1976 il trio Simioni-Berio-Mulinaris fonda in rue Lucienne 10 una scuola di lingue che si chiama Agorà. Ufficialmente, la fondatrice e presidente è Giulia Archer, convivente di Corrado Simioni. In realtà i veri promotori sono, oltre Simioni, Mulinaris e Berio, anche Innocente Salvoni e sua moglie Francoise Marie Tuscher, quest’ultima nipote del famoso Abbé Pierre. Meno di due mesi dopo, il 15 dicembre, Giulia Archer si dimette da presidente e al suo posto subentra la Tuscher. Il 24 agosto 1977 l’associazione cambia nome in Hyperion. Questo è dovuto all’esistenza di un’altra società con stesso nome e funzione omologa.
I locali parigini sono presi in affitto dal Club International d’Interprétariat et Traduction, istituto parigino il cui gerente è l’italiano Attilio Galli, trasferitosi in Francia nel 1976, dopo essere stato anch’egli attivo in Italia nel CPM.
Scopo ufficiale della scuola è quello di favorire la diffusione della cultura soprattutto attraverso lo studio delle lingue, ma anche attraverso l’organizzazione di convegni, rappresentazioni teatrali e corsi di recitazione. Tuttavia la scuola, attraverso i suoi maggiori referenti – il trio Simioni-Berio-Mulinaris – entra prepotentemente in molte vicende oscure italiane e internazionali. Infatti, Hyperion si intreccia in alcuni filoni di indagini su un traffico d’armi tra le Brigate Rosse e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina e, soprattutto, molte convergenze avvicinano la scuola francese al processo di destabilizzazione dell’Italia, compresso il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro.
L’Hyperion è uno dei grandi dilemmi con cui la “Commissione parlamentare d’inchiesta sulla strage di via Fani, sul sequestro e l’assassino di Aldo Moro e sul terrorismo in Italia” si è misurata senza giungere a risultati esaurienti.
Ai magistrati che hanno condotto, infruttuosamente, indagini su Hyperion, ha colpito la facilità con cui il trio Simioni-Berio-Mulinaris, apparentemente privo di risorse finanziarie, riesce a reperire fondi per la loro scuola. Oltre a una strana fidejussione da parte dell’ingegner Cesare Rancilio, italiano residente a Parigi e fratello di Augusto Rancílio, sequestrato dalla ‘ndrangheta calabrese a Cesano Boscone il 2 ottobre 1978 e successivamente liberato (è stato sospettato che il credito fosse stato concesso come “premio” per la trattativa per il rilascio del sequestrato), colpisce la grande capacità di reperire facilmente fondi. Di sicuro Hyperion ha un potente “protettore”, il famoso Abbé Pierre, ossia Henri Antoine Grouès, presbitero cattolico francese, partigiano, politico e fondatore dei Compagnons d’Emmaüs (organizzazione assistenziale dei poveri e dei rifugiati), zio di Francoise Marie Tuscher, a sua volta moglie di Innocente Salvoni. Proprio l’Abbé Pierre si prodigherà per scagionare il suo nipote acquisito dall’accusa di aver partecipato all’eccidio di via Fani. Infatti, il giorno stesso del rapimento di Moro, il Viminale diramò una ventina di fotografie di presunti brigatisti che potevano aver preso parte a raid di via Fani. Tra questi c’era la foto di Innocente Salvoni, riconosciuto da due testimoni che lo avevano visto quella mattina con il brigatista Franco Bonisoli. Per una strana coincidenza, la foto segnaletica di Salvoni fu tolta proprio dopo l’intervento a Roma dell’Abbé Pierre.
Quando Corrado Simioni, Duccio Berio e Vanni Mulinaris, dopo le rivelazioni di due pentiti (Michele Galati e Antonio Savasta), furono inquisiti per un traffico di armi, l’Abbé Pierre si precipitò in Italia per perorare la causa dei suoi protetti, a suo dire perseguitati da “una centrale di Destra”. Fatto sta che il trio fu prosciolto dall’accusa di terrorismo e traffico d’armi.
Simioni è così influente che l’Abbé Pierre lo porta finanche in un’udienza con Giovanni Paolo II. Nel 2001 l’ex leader del Superclan è nominato cavaliere della Repubblica francese per la sua attività pluritrentennale di assistenza ai senzatetto.
Oltre alla benedizione dello zio della Tuscher, Hyperion poteva vantare la “protezione” del padre domenicano Félix Andrew Morlion, fondatore del servizio segreto vaticano Pro Deo e persona molto vicina alla CIA.
A queste “strane” protezioni”, nella storia di Hyperion si vanno ad accumulare anche ambiguità e particolarità collegate alle vicende italiane del periodo della cosiddetta “strategia della tensione”.
Hyperion ha tre sedi: a Parigi, Londra e Bruxelles. Ognuna di queste poteva essere sia un buon osservatorio politico sia un occulto collegamento con qualche servizio segreto. Quello che più attira l’attenzione degli inquirenti italiani, è invece una villa a Rouen, nel Nord della Francia. Si scopre che la struttura è protetta da un triplice anello di sensori, che di fatto rende difficile qualsiasi avvicinamento in incognito e qualunque intercettazione ambientale. Ora, a parte il fatto che un simile dispositivo di sicurezza poteva essere nella disponibilità di poche potenze straniere, perché dare una iperprotezione a una villa che ufficialmente serviva solo come luogo di riposo?
Quello che più spaventa sono le troppe coincidenze che legano l’Hyperion al sequestro e all’uccisione di Aldo Moro.
Innanzitutto è verificato che la frequentazione dei leader delle BR, Mario Moretti prima e Giovanni Senzani poi, con l’Hypérion. Poi c’è l’apertura di tre sedi in Italia, tra il giugno 1977 e il giugno 1978, proprio nel lasso di tempo che comprende la fase conclusiva della preparazione del rapimento di Moro e tutti i cinquantacinque giorni in cui lo statista è tenuto in ostaggio. Gli uffici saranno chiusi appena dopo la conclusione del sequestro del leader della DC. La sede di Milano è in via F. Albani 33, ha come referenti Dimma Vezzani e suo marito Giuseppe Sacchi, quest’ultimo presente al convegno di Chiavari del 1969 (incontro, si ricorda, dal quale prese avvio il percorso sovversivo che avrebbe portato alla nascita delle Brigate Rosse). Oltre la sede di Milano, Hyperion apre due succursali a Roma: una in viale Angelico e l’altra in via Nicotera.
La sede di via Nicotera, che ha come referente Carlo Fortunato, in contatto con la CIA, si trova nello stesso edificio dove sono domiciliate alcune società di copertura del Sismi. Nell’ufficio di viale Angelico collabora Luigi Perini, militante del PCI, che afferma la presenza di Berio e Simioni durante i giorni del rapimento Moro nella sede romana (presenza ovviamente smentita dai due). Quando Perini lascia l’Hyperion romana, prende in affitto un locale in via Pio Foà per condurre un’attività in proprio. La stranezza è che in questo locale era stata allestita la tipografia delle Brigate rosse che stampò i comunicati del sequestro Moro.
Durante il caso Moro, Hyperion è collegata a un altro istituto di lingue francese che ha sede in piazza Campitelli, ossia a centocinquanta metri da via Caetani, strada dove è ritrovato il cadavere di Moro.
Nel 1997 Alberto Franceschini scrive un romanzo che, come in un aforisma di André Gide, «è un frammento di storia che avrebbe potuto essere». Nel romanzo, dietro a nomi di fantasia, c’è un intreccio indicibile di relazioni pericolose riguardanti il sequestro del signor M. Ad esempio, compare un personaggio che arriva dalla Francia per interrogare il rapito, poiché insoddisfatto di farlo tramite altri. Questo personaggio, guarda caso, ha lo stesso profilo di Simioni.
Quando il 4 aprile del 1981 viene arrestato il leader brigatista Moretti, il suo posto è preso da Giovanni Senzani, un’altra figura ambigua nel panorama eversivo italiano di quegli anni. Senzani è strettamente in contatto con Luciano Bellucci, agente del Sismi, e con Francesco Pazienza, anche lui agente del Sismi (Pazienza è il mediatore con le BR nel sequestro dell’assessore campano Ciro Cirillo).
La storia di Hyperion è dunque disseminata da ambigui personaggi e strane coincidenze che riportano alla strategia della tensione realizzata in Italia.
Alla luce di quanto detto, cerchiamo di azzardare un’ipotesi sulla funzione di Hyperion.
L’Italia ha il più forte Partito Comunista dell’Occidente. Uno “spregiudicato” gruppo di politici guidati da Aldo Moro, attraverso un compromesso, vuole portare il PCI al governo. Questo per gli USA e per l’URSS è inconcepibile: gli statunitensi non possono permettere ai comunisti di occupare posti al governo, neppure con sottosegretari; i sovietici non possono tollerare che un “suo” partito si socialdemocratizzi, minando la base del comunismo internazionale. Anche Israele è preoccupata, poiché l’ingresso dei comunisti in un governo italiano avrebbe significato un avvicinamento dell’Italia alla causa palestinese.
Per riportare l’Italia sulla rotta di Yalta, ma anche per mantenere gli altri Stati europei sulla stessa strada, si utilizzano eserciti segreti (Gladio), infiltrati, minacce ai politici (lo stesso Moro fu più volte “avvertito” che il suo compromesso storico non piaceva agli USA).
In questo senso un manuale, il Field manual 30-31 (dove 30 indica che l’area d’interesse sono i servizi segreti militari, mentre 31 le operazioni speciali) può illuminare la nostra ipotesi (si ricorda che copia di questo manuale fu ritrovata nella villa di Arezzo del Gran Maestro della P2 Licio Gelli nel 1981). Infatti, tra le altre cose, il manuale prevede “delle infiltrazioni nei gruppi dell’estrema sinistra sino a prenderne la leadership”. Dunque: “eliminato” l’irriducibile Giangiacomo Feltrinelli, che aveva contatti col terrorismo internazionale, Hyperion acquisisce questi rapporti; “rimossi” Curcio e Franceschi, al loro posto subentrano Mario Moretti e, dopo il suo arresto, Giovanni Senzani. Il doppio cambio di leadership contribuisce a un cambio di regia sia a livello internazionale sia nazionale, diventando un’operazione utile per strumentalizzare le organizzazioni eversive. Insomma Hyperion potrebbe essere stata un’entità sovranazionale col compito di controllare la storia affinché non si uscisse fuori dai binari decisi a Yalta.
Per saperne di più
Atti della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla strage di via Fani, sul sequestro e l’assassinio di Aldo Moro e sul terrorismo in Italia, sito istituzionale «Camera del Deputati», http://www.camera.it/leg17/1 – anche in «Rete degli archivi – Per non dimenticare», http://www.fontitaliarepubblicana.it/DocTrace/#home?q=%20projectid:13&page=1&per_page=10
Casamassima P., Il libro nero delle Brigate Rosse. Gli episodi e le azioni della più nota organizzazione armata dagli «anni di piombo» fino ai giorni nostri, Newton Compton, Roma 2007.
De Lutiis G., Il golpe di via Fani, Sperling & Kupfer, Milano 2007.
De Prospo S., Priore R., Chi manovrava le Brigate rosse? Storia e misteri dell’Hyperion di Parigi, scuola di lingue e centrale del terrorismo internazionale, Ponte alle Grazie, Milano 2011.
Fasanella G., Sestieri C., Pellegrino G., Segreto di Stato. La verità da Gladio al caso Moro, Einaudi, Torino 2000.
Flamigni S., La tela del ragno. Il delitto Moro, Kaos Edizioni, Roma 2003.
Flamini S., Il libro che i servizi segreti italiani non ti farebbero mai leggere, Newton, Roma 2012.
Franceschini A., Samueli A., La borsa del presidente. Ritorno agli anni di piombo, Ediesse, Roma 1997.
Gallinari P., Un contadino nella metropoli. Ricordi di un militante delle Brigate Rosse, Bompiani, Milano 2006.
Ghira F., Dominio incontrollato. L’affaire Moro e l’Italia dei complotti negli anni ‘70, Fuoco Edizioni, Rende (Cs) 2010.
Imposimato F., Provvisionato S., Doveva morire. Chi ha ucciso Aldo Moro. Il giudice dell’inchiesta racconta, Chiarelettere, Milano 2008.
Nozza M., Il pistarolo. Da Piazza Fontana, trent’anni di storia raccontati da un grande cronista, il Saggiatore, Milano 2006, ora 2011.
S.A., Storia delle Brigate Rosse, cap. 2, in «Il Ricercatore», http://ilricercatore.altervista.org/alterpages/files/Brigaterosse.cap21.pdf
US Army Field Manual 31-30 Tactics and Technique of Air-borne Troops, 1942, in «Jim Garrison – LiveJournal», http://jim-garrison.livejournal.com/37233.html
2 dicembre 2017