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Lo staff di iskrae
di Angelo Ruggeri
STORIA E PREGIUDIZIO. Un libro di contumelie anticomuniste. Che non a caso salta intere parti tra le più significative e fondamentali della Storia del PCI: non solo per delegittimare il PCI e ma anche la Costituzione del 1948,
Mentre più sotto allego articoli riferiti al rapporto tra Giorgio Galli e il “partito occulto della borghesia”, cioè la massoneria, nonché il suo coinvolgimento con piani gollisti ed eversivi volti a rovesciare in senso autoritario e dispotico la nostra Costituzioneper omologarla a quelle su cui si reggono i sistemi istituzionali ed economici del capitalismo sia occidentale che orientale, io mi riferisco esclusivamente a quanto traggo dalla “Storia del PCI” di Giorgio Galli, che all’opposto Daniele Burgio, Massimo Leoni, Roberto Sidoli e Parizia Vaiti che lo considerano “autore della prima storia accurata sul partito comunista”, io considero essere un pamphlet di scarsa valenza storica. Uno scritto che con predeterminata e dichiarata presa di posizione di una sua propria tesi, si sviluppa, con preconcetto intento polemico, tra mutilazione di parti fondamentali della storia del PCI e mancanza di riferimenti oggettivi che non siano inficiati dal palese soggettivismo interpretativo del Galli.
Soggettivismo interpretativo che risulta essere del tutto omologo e interno alla strategia reazionaria delle forze anticomuniste del capitalismo europeo e atlantico in atto nella situazione mondiale del tutto nuova, determinata dalla vittoria sul fascismo ad opera anche della Resistenza guidata dai comunisti contro i quali si svolgeva tale strategia – una situazione quindi non assimilabile al primo dopo guerra, come tende a fare il Galli. Situazione del tutto nuova indispensabile per comprendere non solo la necessita storica del “partito nuovo” di Togliatti ma anche la grandezza e la specificità sia di tale partito che della sua strategia, nel contesto mondiale segnata dalla forza dell’anticomunista strategia internazionale, in atto proprio negli anni in cui Galli scrive il suo pamphlet:cioè, negli anni tra il 45 e il 52, e poi nei successivi anni in cui, per opporsi alla forza del PCI e fermare la progressione della sua strategia di democratizzazione e socializzazione dei poteri e della società, hanno dovuto ricorrere ad attentati, stragi e tentativi golpisti, negli anni 60 e 70 (le edizioni del libro di Galli sono il 1952 e il 1976 e anche in questa ultima Galli esordisce ribadendo giuste le tesi sostenute nel 1952 … mentre è del 1975 il Piano P2 perché, come disse Gelli: “i comunisti stanno vincendo con la democrazia”, cioè con la strategia del PCI che Galli considera rinunciataria dalla prima all’ultima pagina del suo pamphlet.
Nel leggere tale libro non ci si può sconnettere – come fa sostanzialmente Galli – dal quadro e contesto in cui contro i comunisti soprattutto italiani, si assiste alla “escalation” di una strategia accuratamente preparata con strumenti elaborazione del capitalismo privato, volti ad aprire una nuova fase di poteri di comando dall’alto, dopo quella messa in atto con i regimi fascisti e con l’autoritarismo liberale. Non si può tralasciare e sottovalutare (come il Galli e chi esalta la sua “Storia del PCI”) che la strategia anticomunista è volta a ridurre, cioè cancellare tout court una democrazia come quella italiana, di cui si fanno forza i comunisti italiani.
Solo cosi si può comprendere la natura specifica, senza precedenti e unica del PCI e della sua strategia, e ad intendere che la strategia anticomunista che arriva al suo sbocco negli 70-80, altro non è che quello di una politica americana sorretta in continuità da una strategia ideologicamente ispirata all’endiade “libertà di mercato/diritti individuali”, che funge da giustificazione sin dall’800 – da quando Marx ha lanciato la controffensiva teorico-politica del Capitale, abbracciata e sviluppata oltre che da Lenin da Antonio Gramsci e grazie a lui da Togliatti – di ogni variabile di forma di organizzazione ed uso del potere da parte dei dirigenti economici e politici della borghesia, la cui cultura dominante ha fatto sempre leva – in nome del primato del mercato sia nei sistemi di tipo liberaldemocratico sia nei sistemi di tipo fascista – sulla centralità della questione dello stato. Di cui i comunisti italiani – diversamente dai socialdemocratici e socialisti – hanno saputo assimilare la lezione di Marx, Engels, Lenin e più di recente di Gramsci, che con varietà di elaborazioni hanno contribuito a precisare – contro i limiti dell’economicismo proprio di socialdemocratici e socialisti – come la lotta di classe si esplica convergentemente sul terreno “sociale” nei luoghi di lavoro e nel territorio, e sul terreno “politico” nelle istituzioni, a partire da quelle radicate nelle organizzazioni di base e nei movimenti, per risalire coerentemente fino al cuore sia dello stato accentrato sia dello stato c.d. “federale” entrambi abbracciati dalla socialdemocrazia . Ovvero in modo opposto e diverso dai tradizionali partiti socialisti e dai socialdemocratica da sempre abbarbicati all’idea centralista e verticista dello stato, finanche al prussiano presidenzialismo della Repubblica di Weimar, e portati a distinguere e separare la lotta politica e la lotta sociale, con cui danno vita al politicismo da un lato e all’economicismo dall’altro, tipici della socialdemocrazia.
Della grande novità del PCI e della sua irriducibilità a qualsivoglia politica socialdemocratica, della unicità del partito comunista italiano di Gramsci e Togliatti, non c’è traccia nella c.d. “Storia del PCI” di Galli. Il quale considera “rinunciataria” la politica comunista perché non considera che la strategia anticomunista è all’apice, perché ignora il fatto che coalizzate tra loro, agiscono tutte le forze anticomuniste del capitalismo internazionale e nazionale e che, contro l’Unione Sovietica ma in particolare contro il PCI, tali forze agiscono con violenza repressiva, pronte a ricorrere al golpe e alla forza militare. Volutamente ignora o tace, che tali forze sono interessate e impegnate ad equiparare l’ostracismo al comunismo con la lotta al nazi-fascismo, condotta sul piano ideologico e militare dalle forze della democrazia e della Resistenza militare, con in prima fila la classe operaia come classe sotto la guida dei comunisti. E per questo, tali forze mirano a sconvolgere il sistema sociale e politico che, tra gli anni 1945 e 75, con la Resistenza e il patto tra i grandi partiti di massa, era stato avviato a un grande processo di democratizzazione e socializzazione, subito contrastato, appunto, dalle forze del capitalismo internazionale, ma evidentemente contrastato anche da Giorgio Galli, dal momento che di questo processo, di questo grande e complesso disegno di consolidamento e di democratizzazione e socializzazione di cui i comunisti sono l’anima, il braccio e la mente , nella sua c.d. “Storia del PCI” non c’è praticamente nulla o quasi. Anzi va detto che in modo stucchevole, per tutto il libro, non si fa altro che ripetere continuamente che ogni atto dei comunisti italiano è solo “ciò che più importa a Mosca“: tutto, sia il classismo che ogni azione del PCI, sia la tattica che la strategia e teoria alla prassi comunista, tutto viene appiattito su tale leitmotiv, senza mai un cambio di registro. Al punto che etichetta come pura e semplice “spregiudicatezza” di Togliatti, tutte le volte e ogni fase in cui si esprime la sua sapienza tattica e strategica guidata della teoria marxista dei comunisti italiani, vale a dire del marxismo e del leninismo gramsciano certamente del tutto opposto a quella in auge presso Stalin. Dal suo libro sembra che a Giorgio Galli dispiaccia che la sapienza tattica e strategica di Togliatti, abbia impedito di applicare al PCI e all’Italia quella “prospettiva Greca” a cui miravano o speravano le coalizzate forze reazionarie atlantiche.
Ed è in presenza del tale disegno reazionario e della elaborata prospettiva via gollista alla delegittimazione della Costituzione del 1948, condotto anche dopo il 1952 e negli anni ‘70 e ‘80, che il testo del Galli, con sicumera da società anonima, è tutto proteso a sostenere il liberale-reazionario revisionismo storiografico e quindi anche il revisionismo teorico – che è interno a quello storiografico. Per cui si spiega perché Galli salti intere parti di storia del PCI, tra cui tutta l’elaborazione della teoria marxista del partito, del diritto e dello stato dei Quaderni dal carcere di Gramsci (vale a dire quella che è una teoria del tutto opposta a quella del partito e dello Stato di Stalin che, con la differenza che in URSS non c’era il capitalismo, è paragonabile solo all’attuale partito e stato cinese) , nonché la sua conseguente applicazione con la teoria della prassi comunista del partito nuovo di Togliatti. Invece Galli ignora del tutto che come in Russia Lenin e i bolscevichi, anche in Italia con Gramsci e Togliatti, si seppe applicare Marx in condizioni non previste da Marx: nelle condizioni di un paese capitalistico sviluppato e vincolato al “blocco storico atlantico” dell’imperialismo e capitalismo finanziario guidato dagli USA.
Stavo appunto terminando di leggere le ultime pagine della Storia del PCI, di Giorgio Galli, (Edizione Formichiere), quando ho sentito della sua morte. E su tale “Storia del PCI”, devo dire che alla pagina 322 del pamphlet avevo annotato : “è un libro di contumelie anticomuniste in cui il livore anticomunista e anti PCI si manifesta con preconcetto annunciato fin dalla prefazione per poi attraversare tutte le pagine in modo stucchevole”. Enunciata la tesi che appiattisce la storia in un unicum dove non ci si sono sostanziali differenze tra i socialdemocratici e il primo dopoguerra e i comunisti e il secondo dopoguerra, Galli si applica nel cercare e nel ritagliare dalla storia nel suo complesso tutto quello che può avvallare la sua tesi predeterminata. Un metodo, notoriamente, che era anche di Stalin: si che ad esempio enuncia la tesi che nel socialismo si inasprisce la lotta di classe fino a coinvolgere anche i protagonisti della rivoluzione, motivando come tesi vera con l’opposizione crescente contro la sua politica e potere da parte di molti di molti bolscevichi.
In funzione della sua predeterminata tesi, a tal fine, il Galli si esercita anche nello sforbiciare all’interno delle righe e dei capoversi dei vari documenti e discorsi, votato alla esclusiva ricerca di “ritagli” volti a sostenere la sua tesi preconcetta, divenuta tanto stucchevole dall’avermi spinto, ad un certo punto, ad annotare la frase di cui sopra, cosi come tante altre frasi e osservazioni critiche ho dovuto annotare in tantissime altre pagine.
Basti ricordare, tra le tante, che la dove Galli considera “criminale” il fatto che i dirigenti del PCI continuassero (cosa fondamentale che distinse il PCI da tutti gli altri) a inviare quadri per ricostruire ogni volta l’organizzazione comunista all’interno dell’Italia, insinuando che tali quadri comunisti erano usati a loro insaputa, ho annotato di suggerire a Galli di almeno guardarsi il film di Maselli, “Il sospetto”, dove al fascista che lo interroga, insinuando come fa Galli di essersi fato usare, Gian Maria Volontè, risponde: “ma io l’ho sempre saputo”.
Anche la dove si manifesta la grande capacità del PCI di mobilitazione e di lotta delle masse, per Galli tutto é sempre o prevalentemente, “furberia”, “tattica”, “propaganda”. E qualsiasi limite od errore è attribuito all’”opportunismo” del PCI, come se non esistessero anche degli avversari: ed in effetti nella Storia del Galli sembra che i comunisti agiscano in un vuoto pneumatico e tutto quanto avviene e solo dovuto ad essi. Quel che rileva è che egli ignora del tutto lo scopo e il fine strategico della tattica comunista, identificabile con l’obbiettivo di incardinare un sistema costituzionale, istituzionale sociale e politico in grado di permettere e perseguire con la lotta di classe – che con il diritto di sciopero è stata persino costituzionalizzata come in nessuna altra Costituzione dl mondo – la trasformazione socialista per via democratica , tramite e a partire dalla democrazia sociale della nostra Carta, alla cui novità Galli non fa nemmeno un qualsivoglia accenno.
Ma a riportare le tante parti che dimostrano la natura preconcetta delle sue tesi, significherebbe riportare quasi tutto il suo pamphlet. Quindi mi limito ad aggiungere che non ho mai letto un cosi pessimo, parziale, preconcetto libro di storia, perché non è di storia ma e puramente e semplicemente l’enunciazione di una tesi preconcetta a cui Galli si impegna per trovare solo pezze che servono ad convalidare le sue tesi e cancellando tutte le altre. Per tale operazione opera persino saltando intere parti fondamentali della storia dei comunisti, come, appunto, non solo l’elaborazione gramsciana dei Quaderni di Gramsci e la sua applicazione con la strategia comunista della via italiana di trasformazione e transizione al socialismo, ma anche il contributo dato dal PCI e da Togliatti nella Assemblea Costituente, con l’edificazione di una forma nuova di democrazia affatto assimilabile a quella esistente nel pre-fascismo e che già solo per questo è imparagonabile un partito di massa come il PCI e il secondo dopoguerra al primo dopoguerra, ai socialisti e socialdemocratici di allora. Un stato democratico, un sistema di partiti di massa e una democrazia non a caso definita e avversata come “caso italiano” di democrazia avanzata, una democrazia sociale e progressiva che Galli nemmeno cita, come di fatto nemmeno cita la conquista di principi e valori della Costituzione a cui Galli non da alcuna importanza per cui non cassa totalmente e la portata di una si fatta Costituzione e quindi la stessa strategia del PCI finalizzata in primis ad ottenere e poi a salvaguardare e applicare la Costituzione, facendo del PCI l’asse portante e il solo partito veramente impegnato fino all’estremo nella battaglia contro i progetti sovversivi.
Tutte cose di cui Galli non solo non si occupa ma nemmeno cita … : in sostanza non lascia al lettore la possibilità di valutare da sé e di comprendere la storia del PCI nello sviluppo del processo storico e in un contesto mutevole che Galli ignora quasi totalmente, in quanto astrae le vicende dei comunisti dal loro contesto storico (per cui, il libro, è insignificante e inutile anche come ripasso storico). E questo dico, nonostante che a me piaccia e sia da sempre interessato a leggere libri di storia e sui comunisti fatti da chi non è comunista e da avversari, a patto che siano veramente libri di storia complessiva. Qui manca sia la storia complessiva sia quella del PCI inverata nella prospettiva storica.
Con ciò, astratta dal contesto storico, tutto quanto Galli descrive risulta essere unilaterale, perche come dice Hegel, l’unilateralità coglie solo una parte della verità – in questo caso solo una parte della parte di quella del PCI – ed quindi risulta astratta. Astratta in quanto unilateralmente volta a cogliere solo talune parti e solo nella forma e nelle misura che risulti utile a ritagliare una conferma alla sua soggettivistica tesi prestabilita. Forse anche da queste sue inclinazioni data o deriva il suo interesse e la pratica dell’esoterismo fino a coinvolgersi nel “partito occulto della borghesia”.
Non solo non è uno storico quale dovrebbe, quale pur non avendo cattedra doveva insegnare (storia delle ideologie politiche e poi storia e filosofia), ma è un politologo con tutti limiti del politologo: cioè di una politologia in cui la tematizzazione prevalente che – specialmente oggi, sull’onda di una apodittica e quasi superstiziosa declinazione della modernità in “post-modemità” – riflette eminentemente l’emersione di aspetti “congiunturali” e quindi parziali delle forme della realtà, con l’incapacità cogliere gli atti e le posizioni comuniste in una prospettiva storica di lungo periodo, di superare i limiti del descrittivismo (cioè di descrizione parziali anziché analisi complessive) e del sociologismo di cui la politologia quale quella del Galli, si avvale per attrarre in orbite che impediscono sia di cogliere sia il contesto storico sia il senso diacronico oltre che sincronico dei processi storici in cui si collocano i fatti e le vicende che si vuole descrivere.
Da questo credo deriva quella sorta di appiattimento della storia di cui sopra e che risulta per l’intero dal suo volume, in cui come detto, “legge” il secondo dopoguerra come pari pari al primo dopoguerra, e quindi anche le vicende del movimento operaio e dei partiti e sindacati del secondo dopoguerra vendono aditati e catalogati come fossero gli stessi del primo dopoguerra quando anche tra i riformisti e i gradualisti che lui più gradisce, dominava il notabilato. Addirittura nella sua Storia del PCI asserisce, considera che la politica CISL e UIL di collaborazione col padronato ( con cui lo aiutano a reprimere i comunisti in fabbrica – e ne so per esperienza diretta ) è una politica più positiva e migliore di quella della CGIL, di Di Vittorio e del gruppo dirigente comunista che sarebbero loro da se stessi persino i veri responsabili della repressione padronale contro i comunisti.
Insomma per Galli, tutto ciò che accade di male per i lavoratori è colpa del PCI, perché nella Storia di Galli non ci sono avversari ne condizioni nazionali e internazionali che considera solo delle “bufale” che i comunisti usano per giustificare le loro scelte “opportunistiche”.
Alla luce della sua tesi preconcetta, secondo cui i comunisti usano la lotta sul piano politico per opportunisticamente evitare ogni insorgenza e rivolta sociale (sembra dispiacere a Galli che il PCI non dia adito alla possibilità di porlo fuori legge mentre fuori legge sono i suoi avversari che “bloccano” la Costituzione abloccato solo con le lotte di massa del 68-69), non si può spiegare e tanto meno capire le grandi lotte e scontro di classe degli anni 60 e soprattutto il più grande tornante di lotte di classe della storia d’Italia, degli anni 68-75, cioè di un movimento di lotte di massa che ispirato e unito dalla teoria della prassi del PCI è stato preso a modello da tutte le altre forze operaia d’Europa, perché risultato essere il più avanzato che in ogni altro paesi e senza precedenti storici ed eguali nelle altre parti d’Europa sia del primo che del secondo dopoguerra;: Cosi come mai, ne prima ne dopo la prima e la seconda guerra, ne all’Ovest ne all’Est, si era e si è mai visto un partito di tale tipo, (per definire la diversità e l’unicità del PCI l’hanno paragonato alla giraffa …), un cosi grande partito, più forte e diverso sia dagli altri partiti comunisti sia dai partiti socialisti o socialdemocratici. Sicché è sintomo di intelligenza e mancanza di sapienza e conoscenza del processo storico e della storia dei partiti, paragonare una giraffa come il PCI a socialisti o alla prussiana socialdemocrazia che nella sua storia – oltre a non essere nemmeno più di sinistra dal 1914 quando si votò e si schiero per la guerra imperialista – non solo non ha avuto una Costituzione come quella italiana – anzi quella di Weimar era persino presidenzialista – ma non ha mai avuto ne la natura classista e la potenza teorica marxista della teoria della prassi del PCI, ne la grandezza e forza sia di numeri che di qualità dell’insediamento sociale e di classe dei comunisti italiani. Come si può parlare di storia del PCI ignorando o tralasciando tutto ciò, cari amici di Cina rossa ma capitalista? Quando mai nella Costituzione di Weimar si trova il diritto di esproprio come nel nostro art. 43 C. e quando mai, anche in quella Cinese si può trovare un punto in cui, come nel nostro art. 41, si dice che l’iniziativa privata deve essere subordinata ai fini di interesse sociale, o che il diritto di sciopero è un diritto costituzionale?
Viceversa, si può riassumere che nella codetta storia del PCI di Galli, tutto quando di buono viene per il movimento operaio, non è mai per merito dei comunisti o al massimo è cosa da poco. Come ad es. considera fosse cosa da poco la “legge truffa”, e quindi anche la vittoria contro di essa; e dell’incremento dei voti del PCI, passato dal 4 a 6 milioni di voti … dice: non è tanto significativo (!?).
Ogni vittoria sul piano politico, secondo Galli, serve al PCI (si intende i suoi gruppi dirigenti) per fare propaganda e a coprire la rinuncia a scontrarsi col capitalismo frontalmente in campo aperto: come se storicamente e in base ai rapporti di forza, non fosse una tattica rivoluzionaria anche quella di evitare scontri frontali – dai vietnamiti ai cubani e da sempre –, anche quando ci si muove sul piano squisitamente sociale e politico non armato. Nella terminologia marxista di Gramsci si chiama “differenza tra guerra di posizione e guerra di movimento …” : una delle tante cose totalmente tralasciate dal Galli …
Il quale, dell’evitare scontri frontali, ne parla come se non fosse una scelta strategica, affatto rinunciataria in un paese a capitalismo sviluppato, volta a perseguire una rivoluzione democratica sociale, tanto più in presenza, appunto, di un modellocostituzionale quale quello italiano che lo consente e che è assolutamente unico nel panorama internazionale perché ha dato una versione istituzionale alla strategia sociale dell’antifascismo anti capitalistico e una democrazia sociale, cioè del tutto fuori dagli schemi della c.d. liberal-democrazia su cui si reggono i sistemi istituzionali e economici occidentali. Alla luce di quando sotto, cioè della partecipazione alla massoneria e ai piani volti a conciliare il capitalismo con lo stato autoritario o dispotico anche in Italia, come altrove sia in Occidente che in Oriente, non sorprende che tutto ciò manchi totalmente nella storia del PCI di Giorgio Galli, già presidente dell’Umanitaria di Milano, noto covo di massoni, di agenti sionisti , di filo israeliani e craxiani milanesi cioè i primi fautori della anticostituzionale “grande riforma istituzionale”.
Al di la di una eventuale disamina più articolata del testo, basti dire che in questi giorni, dopo la sua morte, radio radicale a dedicato ampio spazio per ricordare che Giorgio Galli asseriva cose sul PCI e la storia già molto ricordate da Pannella. Mi limito a citare una intervista che fecero con Pannella a Giorgio Galli, in cui questo asserisce pari pari che “il PCI che aveva sempre cercato di evitare che ci fosse una forza politica alla sua sinistra, e si trova invece ad avere il partito radicale e Pannella alla sinistra del PCI”.
Con ciò, oltre ad essere solo un politologo e non uno storico, conferma il livore anticomunista che traspare nel suo libro, ammettendo che il suo approccio politologico è di tipo AMERICANO: cioè Galli ammette che per lui Pannella e i radicali, che sono il mercato fatti persona e partito, vale a dire i RADICALI intesi come RADICALMENTE CAPITALISTI, sarebbero più a sinistra del PCI: evidentemente per Galli, nel migliore dei casi, essere più a sinistra significa essere per i diritti individuali e civili , proprio come i liberali liberisti americani e i pannelliani, anziché essere per i poteri e i diritti sociali (in modo non separato da quelli personali … ) come è proprio dei comunisti e della Costituzione. Donde che ancora una volta si comprende perché Galli non prende minimamente in considerazione la strategia di riforme sociali e di struttura sancita nella Costituzione nella convergenza tra Togliatti e Dossetti per attuare la democrazia sociale. Evidentemente tale mancanza è dovuto al fatto che Galli risulta totalmente avverso alla Costituzione italiana, e che vorrebbe fosse come tutte le altre Costituzioni capitalistiche e liberali occidentali: dove liberale, inteso in senso americano, è l’anima del c.d. stato di diritto. Che in nome del liberalismo nega la democrazia e quindi anche il populismo che prima di essere sovraccaricato dalle teorie di destra e da quelle del digitalismo, originariamente, significa democrazia radicale di sinistra: populismo sostanzialmente è autobiografia della democrazia, come il sovranismo è parte integrante dell’internazionalismo .
In sostanza, tralasciando del tutto la vicenda della Costituente e il modello istituzionale dell’antifascismo anticapitalistico della nostra Costituzione, si comprende come nella sua storia, Galli – forse perché privo di capacità comparative del diritto costituzionale – distorce e dà una lettura della nostra Costituzione del tutto simili ad una lettura di tipo liberale-liberista: come fanno e la leggonola Confindustria da sempre, e poi i gruppuscoli di pseudo estrema sinistra, che oggi sono tutti filo capitalismo: filo capitalismo occidentale ed europeo o filo capitalismo cinese e UE.
Con questo, a Galli ma anche ai suoi “ammiratori”, sfugge quale possa essere e realizzarsi una rivoluzione nei paesi di capitalismo sviluppato occidentale; sfugge il concetto e l’idea di rivoluzione sociale e politica democratica (e comunque non armata). Donde che a lui e ad essi risulta del tutto incomprensibile la strategia di trasformazione e di transizione al socialismo del PCI, e la teoria della prassi dei comunisti italiani; ma risulta anche – da quanto qui sotto – che si è prestato e impegnato per dar corso a progetti volti a realizzare anche in Italia una simbiosi tra dispotismo e capitalismo, tra stato dispotico ed economia capitalistica : una versione della quale la troviamo nell’attuale Cina ispirata al post-marxismo-maoismo di Teng-Xiao-ping.
P.S.: a conferma di quanto ho intuito essere la radicale opposizione di Galli anche rispetto alla Costituzione, ho trovato puntuale conferma nella citazione tratta dal libro “Ipotesi di complotto” di Paola Baiocchi e A. Montella, Carmignani editori, che iskrae riporta nel pezzo titolato “Per meglio capire chi sono i massoni e Giorgio Galli”:
«Se Gianni Agnelli, con la sua intervista a Time, dimostrava di conoscere perfettamente lo sbocco finale della manovra scissionista patrocinata da Saragat, la Fiat, tramite la Fondazione Agnelli, rivelava la precisa intenzione di non volersi accontentare di un semplice ritorno al centrismo ma di puntare a una soluzione “extra sistema”. Il compito di preparare il “nuovo progetto” che avrebbe dovuto scavalcare e abrogare la Costituzione repubblicana a favore di uno Stato gerarchizzato e presidenzialista era stato affidato a un gruppo di politologi tra cui spiccava Giorgio Galli. Questi (G.Galli) approdava così al gollismo, dopo essere stato, via via, liberale, compagno di strada dei gruppuscoli di estrema sinistra pre-sessantotto (trotzkisti, neobordighiani), “scrittore ombra” di Giulio Seniga (famoso per aver sottratto dalle casse del Pci un milione di dollari), saragattiano, socialista unitario, e dopo aver lavorato per istituzioni pseudo-culturali notoriamente finanziate dalla Cia. Tale grado di spregiudicatezza, aveva spinto lo stesso Donat Cattin, non certo uno sprovveduto in fatto di manovre e di trasformismo, a denunciarlo dalla tribuna del XIII Congresso della Dc (marzo 1976) come un frequentatore abituale dell’ambasciata americana di Parigi: “Galli, quello che studiava per la Fondazione Agnelli le premesse del gollismo italiano. E io lo ricordo Galli, con Faravelli, alle riunioni che l’USIS [United States Information Service, nda] organizzava all’ambasciata americana di Parigi”. Ed era appunto con l’apporto di questi ‘scienziati’ della politica che la Fondazione Agnelli stava elaborando una via d’uscita dalla crisi del centro-sinistra che andasse ben oltre gli orizzonti della strategia saragattiana».***
Ulteriori conferme del ruolo degli Agnelli e della Fiat nella lotta contro il PCI e nell’interferire nelle vicende di questo nostro martoriato paese, appaiono con estrema chiarezza nel libro Fratelli d’Italia di Ferruccio Pinotti (pagg. 340-341): *** «Ma più di un analista ha parlato dei finanziamenti degli Agnelli al Gran Maestro Salvini e a esponenti della P2 di Gelli. Su denuncia dell’ingegner Siniscalchi, il procuratore della Repubblica di Firenze, Giulio Catelani, aprì un’inchiesta sulla destinazione di 3.000 assegni emessi dall’azienda torinese fra il 1971 e il 1976 per un valore di 15 miliardi. Maria Cantamessa, cassiera generale della Fiat, e Luciano Macchia, funzionario dell’Ifi (la finanziaria attraverso la quale gli Agnelli controllano la Fiat) – entrambi collegati a Edgardo Sogno – ammisero che i finanziamenti andarono alla massoneria, al fine di impedire l’unità sindacale». ***
Da Iskra.eu
MASSONERIA A MILANO AL BOOKCITY
La Gran Loggia d’Italia al Castello Sforzesco di Milano. Giuliano Pisapia apre le porte del Comune alla massoneria concedendo una sala del Castello in cui verrà addirittura allestito un tempio massonico”. Sul sito di Bookcity si legge, in effetti, che la Gran Loggia invita “a entrare in un “tempio”, guidati da studiosi e dignitari della massoneria”. Gli studiosi in questione sono Claudio Bonvecchio, docente di filosofia delle scienze sociali all’Università dell’Insubria; Giorgio Galli, uno dei più conosciuti studiosi italiani di storia dei movimenti politici e storia delle dottrine politiche, e Luigi Pruneti, saggista e studioso di esoterismo che fa parte da quarant’anni della Gran Loggia d’Italia.
DA QUANDO NON C’È PIÙ IL PARTITO COMUNISTA ITALIANO
IL VERO PARTITO DELLA BORGHESIA, LA MASSONERIA, ESCE ALLO SCOPERTO
Quando mai, “caro” assessore milanese Del Corno, Giorgio Galli è stato contro la massoneria, visto che ha scritto un libro con l’avvocato e massone Massimo Della Campa [https://www.iskrae.eu/dens-dolens-20-quando-la-tv-e-salutare-alla-mente/?utm_source&utm_medium&utm_term&utm_content&utm_campaign]dove i due attaccavano coloro che in modo inequivocabile e con ponderosa documentazione definivano la massoneria, alla luce delle indagini sulla P2, un’organizzazione funzionale agli interessi del grande capitale e quindi legata agli interessi atlantici.
Un’organizzazione con pratiche politiche e sociali tese all’inquinamento della legalità costituzionale e al sovvertimento dello Stato, grazie alla pratica dell’infiltrazione nei partiti e nelle istituzioni, conseguenza di attività legate alla segretezza e quindi non trasparenti.
I massoni sono i costruttori del doppio Stato e di strutture elitarie come il Bilderberg, la Trilateral, l’Aspen, organizzazioni tese a fare politica fuori dalle regole degli Stati nazionali.
La massoneria è l’internazionale dei capitalisti in cui la ferrea disciplina – pena la morte per chi si dovesse sottrarre, vedi il caso di Roberto Calvi presidente del Banco Ambrosiano – realizza nel mondo quella dittatura della borghesia che il compagno Karl Marx aveva così brillantemente illustrato nei suoi scritti.
Ora siamo nell’epoca dove il “Piano di rinascita” della loggia P2 si è realizzato nella sua totalità.
Un piano eversivo che prevedeva nella sostanza l’estromissione, grazie al sistema elettorale maggioritario, dei proletari e delle classi subalterne dalla pratica democratica che si esplicitava tramite il voto proporzionale integrale e i partiti di massa, dando all’élite del grande capitale la direzione politica e sociale del nostro Paese. Prevedeva di integrare in modo totalizzante con il blocco militare egemone, quello angloamericano, le nostre Forze armate, per imporci le guerre imperialiste contro Paesi sovrani come la Jugoslavia, la Libia, l’Iraq, la Siria e “fottergli” il petrolio e le loro materie prime.
E chi svolge, se non la massoneria, il compito di occulto gendarme della realizzazione, nei vari Stati, di tutti i piani politici, economici e mediatici del masso-capitalismo?
Ed oggi alla luce della crisi di sovrapproduzione quali sono gli intenti della masso-borghesia?
La guerra compagni!
Molto probabilmente e ancora una volta in Europa. E chi meglio dei massoni sono in grado di agitare le viscere delle masse piccolo borghesi e sottoproletarie per spingerle verso soluzioni autoritarie, come già fecero in Italia negli anni Veneti e in Germania negli anni Trenta.
Il vertice del fascismo e del nazismo non era composto nella totalità da massoni?
Nel 1922 il quadrunvirato che aveva avuto il compito di organizzare e comandare la marcia su Roma: Balbo, De Vecchi, De Bono e Bianchi, era praticamente costituito tutto da massoni.
Il nocciolo occulto del movimento nazionalsocialista, le logge del Vril, e la Società di Thule, erano espressioni di due massonerie.
Diverse tra loro: la prima faceva riferimento alle teorie della teosofa Helena Petrovna Hahn Blavatsky e poi all’antroposofo Rudolf Steiner, che era grande amico del nazismo e confidente del gerarca Rudolf Hess. Questo gruppo fu manipolato da sempre, dall’agente al servizio degli interessi britannici, Aleister Crowley.
L’altro gruppo, quello della Società di Thule, in Baviera, era meno infiltrato dagli scozzesi: si rifaceva agli illuminati del ‘German Orden’, i massoni razzisti della Santa Vehme.
E la Lega Nord che alza la voce è sicura di essere immune dalla massoneria?
Il collaboratore di giustizia Leonardo Messina nel 1993 racconta ai pm di Palermo che con i suoi colleghi di Cosa nostra gli era capitato di parlare di Bossi, che nell’autunno del 1991 era stato a Catania. “Io lo consideravo un nemico della Sicilia”, diceva Messina. “Perché un’altra volta che viene qua non lo ammazziamo?”. Gli altri lo fermano: “Ma che sei pazzo? Bossi è giusto”. E poi gli spiegano di aver saputo da Totò Riina che non tanto Bossi, quanto il senatore Miglio, era collegato a “una parte della Democrazia cristiana e della massoneria che faceva capo all’onorevole Andreotti e a Licio Gelli”. E che era in corso un lavoro, a cui erano impegnati “Gelli, Andreotti e non meglio precisate forze imprenditoriali del Nord interessate alla separazione dell’Italia in più Stati”, con “anche l’appoggio di potenze straniere”.
Capito “caro” leghista Igor Iezzi?!
Oggi tutte le principali formazioni politiche che siedono in Parlamento sono espressione della politica massonica, infatti sono tutte dirette da miliardari. Il conflitto che oggi esiste non mette in discussione il sistema capitalistico, che ha una sua conflittualità interna, causa di tutti i nostri malanni politico-sociali, ma quale schieramento scegliere del fronte padronale: quello filo-atlantico, quello filo-asiatico, quello filo-arabo sunnita, quello filo-israeliano. Questa è la libertà che ci è concessa da questi criminali in doppiopetto.
Se vogliamo costruire una società egualitaria, quindi socialista/comunista, occorre lottare contro le società segrete, se vogliamo vivere in un sistema realmente libero e democratico, come ci fecero capire, compagni come Togliatti quando introdusse tale questione nel dibattito della Costituente e diede vita poi all’articolo 18 della Costituzione.
Oggi, più perdiamo libertà e diritti come proletari e i capitalisti diventano più ricchi e arroganti, più la massoneria manifesta la sua presenza segno che a noi manca il soggetto politico in grado di contrastarla: il Partito Comunista.
Diamoci da fare! Ricostruiamo il Partito di Gramsci, Togliatti, Longo e Berlinguer. Saluti comunisti Andrea Montella Sezione Gramsci-Berlinguer di Pisa
MILANO, LA GRAN LOGGIA D’ITALIA VA A BOOKCITY E LA LEGA INSORGE: “PISAPIA APRE AI MASSONI”
il 15 novembre al Castello Sforzesco un evento per offrire un piccolo assaggio di quanto avviene in un tempio massonico, illustrando alcuni dei principali rituali simbolici. Iezzi (Lega): “Siamo alla follia
di ORIANA LISO
La Gran Loggia d’Italia al Castello Sforzesco di Milano. Un incontro per presentare i segreti della massoneria, per “fornire una visione libera da pregiudizi e da falsi “miti” e per “permettere al pubblico di vivere un’esperienza”, ovvero “un piccolo assaggio di quanto avviene in un tempio massonico, illustrando alcuni dei principali rituali simbolici e invitando tutti a partecipare ai lavori, con i propri punti di vista, domande e contributi all’approfondimento del tema”. Le frasi virgolettate sono tratte dalla presentazione dell’incontro in programma al Castello, sabato 15 novembre all’interno di Bookcity, la rassegna culturale organizzata dal Comune di Milano.
A sollevare più di una perplessità sul fatto che la Gran Loggia degli antichi liberi accettati muratori partecipi alla rassegna, in una sala del Castello, è il consigliere comunale leghista Igor Iezzi. Che attacca: “Siamo alla follia, il sindaco Giuliano Pisapia apre le porte del Comune alla massoneria concedendo una sala del Castello in cui verrà addirittura allestito un tempio massonico”. Sul sito di Bookcity si legge, in effetti, che la Gran Loggia invita “a entrare in un “tempio”, guidati da studiosi e dignitari della massoneria”. Gli studiosi in questione sono Claudio Bonvecchio, docente di filosofia delle scienze sociali all’Università dell’Insubria; Giorgio Galli, uno dei più conosciuti studiosi italiani di storia dei movimenti politici e storia delle dottrine politiche, e Luigi Pruneti, saggista e studioso di esoterismo che fa parte da quarant’anni della Gran Loggia d’Italia.
Filippo Del Corno, l’assessore comunale alla Cultura, precisa: “Questo incontro è un’occasione, dal punto di vista culturale, di affrontare il tema della massoneria in modo critico, non certo per fare una celebrazione delle logge o per fare propaganda, e questo è assicurato anche dalla presenza autorevole di Galli che farà il contraddittorio”. Non nega, l’assessore, che sia la Gran Loggia a organizzare l’incontro. E assicura che non ci sarà “alcun tempio massonico ricostruito, ma sarà una ricostruzione metaforica: non ce ne sarebbe tecnicamente il tempo, ma soprattutto non lo permetteremmo”.
10 novembre 2014