di Fabio Marcelli.
A oltre cinquant’anni dal suo concepimento, in qualche ufficio della CIA o nella famigerata Escuela de las Américas dove i funzionari di polizia e gli ufficiali delle Forze Armate di vari Paesi latinoamericani venivano addestrati da istruttori statunitensi alla tortura e all’eliminazione dei “sovversivi”, l’Operazione Condor continua in qualche modo a minacciare e tentare di condizionare la democrazia.
Ciò avviene in particolare in un Paese come l’Uruguay, dove furono soppressi ai tempi vari militanti politici e sindacali. L’occasione per la rentrée degli eredi dei carnefici è stata offerta dal suicidio di uno di loro, il generale Barneix. Quest’ultimo era stato condannato nel 2015 in quanto responsabile del rapimento e dell’uccisione di un simpatizzante del Frente Amplio, Aldo “Chiquito” Perrini.
A Barneix è stato intitolato un Commando che ha formulato oscure minacce nei confronti del procuratore che si era occupato del caso, Jorge Diaz, e di altre dodici persone attive per tutelare i diritti umani indagando sui crimini commessi nell’ambito dell’Operazione Condor. Fra di esse anche autorità politiche uruguayane quali il ministro della Difesa Jorge Menendez; l’ex viceministra degli Esteri Maria Belela Herrera, la direttrice dell’Istituto per i diritti umani Mirtha Guianze; gli avvocati Juan Errandonea, Juan Fagundez, Oscar Goldaracena, Pablo Chargoñía, Federico Alvarez Petraglia, nonché Hebe Martinez Burlé, promotrice del giudizio che si è concluso con la condanna del dittatore Juan María Bordaberry a 30 anni di carcere. Ma anche il giurista francese Louis Joinet e il presidente del Movimento di giustizia e diritti umani brasiliano, Jair Krischke.
Il “commando Barneix”, probabilmente composto da militari e poliziotti, in pensione e non, ha minacciato di sopprimere “tre persone a caso” appartenenti a tale lista per ogni nuovo eventuale suicidio di repressori.
L’Italia è fortemente interessata al caso, dato che nel nostro Paese ha avuto luogo un lungo processo proprio nei confronti dei protagonisti latinoamericani dell’Operazione Condor, che si è concluso in appello nel luglio 2019 con una serie di condanne. Alcune delle persone vittime delle minacce hanno del resto svolto un ruolo importante proprio in quel processo.
Le condanne colle quali si è concluso in appello il processo italiano relativo all’Operazione Condor hanno riguardato oltre i responsabili politici e militari già condannati in primo grado anche una serie di militari di livello “intermedio”.
Nel dettaglio, erano stati riconosciuti colpevoli a vario titolo già due anni e mezzo fa: Luis García Meza Tejada, presidente della Bolívia fra il 1980 e il 1981; Luis Arce Gómez, uno dei suoi generali; Francisco Morales Bermúdez Cerruti, presidente del Perù dal 1975 al 1980; Germán Ruiz Figueroa, ex capo dei servizi segreti del Perù; Pedro Richter Prada, ex-militare e politico peruviano; Juan Carlos Blanco, ex ministro degli Esteri dell’ Uruguay; i colonnelli cileni Rafael Ahumada Valderrama e Hernán Jeronimo Ramírez.
Ad essere condannati in secondo grado sono, oltre a coloro che abbiamo appena menzionato, i cileni Pedro Octavio Espinoza Bravo, Daniel Aguirre Mora, Carlos Luco Astroza, Orlando Moreno Vásquez e Manuel Abraham Vásquez Chauan, i peruvani Francisco Morales Bermúdez, Germán Ruiz Figuero e Martín Martínez Garay e il boliviano Luis Arce Gómez (Operazione Condor: ergastolo a 24 ex capi di Stato e 007 per 23 italiani uccisi (osservatoriodiritti.it).
Ma l’Italia è direttamente coinvolta nelle minacce formulate dal gruppo criminale che si è voluto intitolare al generale Barneix, anche per la presenza di una ricercatrice, Francesca Lessa, che sta svolgendo una ricerca di estremo interesse sulle implicazioni di carattere internazionale dell’Operazione Condor per conto dell’Università di Oxford.
Le persone minacciate hanno deciso di ricorrere alla Commissione interamericana dei diritti umani ritenendo insufficiente l’impegno fin qui profuso dalle autorità uruguayane per individuare gli autori delle minacce e smantellare il “Commando Barneix”.
E’ di fondamentale importanza che chi ha dato un contributo imprescindibile alla giustizia e alla conoscenza delle dinamiche repressive che hanno stroncato decine di migliaia di vite in America Latina, negli anni Settanta ma anche in seguito, sia protetto e il suo impegno sia universalmente riconosciuto.
Anche perché appaiono ancora non del tutto chiarite responsabilità di alto livello, come quelle dell’ex Segretario di Stato statunitense Henry Kissinger e di altri personaggi facenti capo all’amministrazione di Washington, e perché la questione delle dittature genocide, come dimostrato soprattutto dall’attività e dalle dichiarazioni di Bolsonaro, ma anche da troppi altri episodi, come la soppressione sistematica dei leader sociali in Colombia e in vari altri Paesi, non appare per nulla definitivamente chiarita.