Giorgio Bongiovanni
Così nasce il Governo Draghi. Quale lotta alla mafia?
Habemus Premier. Ieri al Quirinale si è tenuto il giuramento del neo Presidente del Consiglio dei ministri, Mario Draghi, e della sua squadra di ministri composta da 8 tecnici e 15 politici scelti nell’accozzaglia di movimenti, partiti e partitini (Pd, Forza Italia, Movimento Cinque Stelle, Lega, Leu e Italia Viva).
Il nostro giornale, da oltre vent’anni, si occupa di cronaca giudiziaria dando informazioni in materia di mafia e antimafia; schierandoci accanto ai magistrati in prima linea, esposti nella lotta contro il Sistema criminale; affiancando i parenti delle vittime di mafia nella pretesa di verità e giustizia per i propri cari; appoggiando a quelle associazioni che scelgono di impegnarsi in un contrasto alle criminalità organizzate che non è solo di facciata; cercando di dare il nostro piccolo contributo nella ricerca dei mandanti esterni delle stragi che hanno insanguinato il nostro Paese.
Se guardiamo alla politica, al di fuori delle inchieste giudiziarie che hanno riguardato spesso anche gli uomini di potere, lo facciamo nella speranza di trovare figure che abbiano veramente a cuore il Paese e i cittadini.
Nel suo discorso iniziale Mario Draghi ha dichiarato che quello che verrà sarà un governo ambientalista che punta a “mettere in sicurezza il Paese” e che per centrare l’obiettivo necessita che gli “interessi di parte” vengano dopo i “bisogni dell’Italia”.
Tra i bisogni vi sarà anche quello della lotta alle mafie?
Più volte in questi anni abbiamo evidenziato quanto quest’ultimo punto sia un tema fondamentale accanto alla difesa della nostra Costituzione.
I soliti sospetti
Pur non volendo essere prevenuti nei confronti di un Governo che deve ancora insediarsi in maniera effettiva (in attesa della fiducia alla Camera e al Senato) basta guardare alla storia dei suoi “nuovi” protagonisti per alimentare dubbi e sospetti: a cominciare proprio dal neo Presidente del Consiglio. Bisogna aspettare qualche tempo per comprendere che genere di Premier sarà Mario Draghi, ma è chiaro che la sua storia offre una traccia della “visione” che ha per il Paese. La sua figura potrà anche essere ricordata come quella di uno dei “salvatori” dell’Euro, finito sotto attacco dalla speculazione internazionale, ma in Mario Draghi ci sono molte ombre . Dal 1991 al 2001, fu Direttore Generale del Ministero del Tesoro chiamatovi da Guido Carli (ministro del VII governo Andreotti) e poi riconfermato da tutti i governi successivi: Amato, Ciampi, Berlusconi, Dini, Prodi, D’Alema. Ed è in questa veste che promosse una serie di “privatizzazioni selvagge” dell’apparato pubblico italiano (IRI, Telecom, Comit, Credit, Eni, Enel, etc.) per un totale di 182.000 miliardi di lire. Sempre sotto la sua gestione furono sottoscritti contratti su contratti sui derivati, molti dei quali risultarono successivamente tossici. Manovre che impoverirono tremendamente le casse dello Stato. Successivamente, nel gennaio del 2002, giunse al vertice della banca d’affari americana Goldman Sachs. Nel 2004 divenne membro del Comitato esecutivo del gruppo, nel 2005 fu Governatore della Banca d’Italia. L’Italia dimentica che l’ex Governatore di Bankitalia, nel 2008, firmò la lettera con la quale avallò l’acquisizione da parte di MPS di Banca Antonveneta, ad una cifra pari al triplo del reale valore. Sulle operazioni finanziarie realizzate dalla dirigenza di MPS per nascondere le perdite vi fu un’inchiesta da parte della Procura di Milano. Si arrivò anche ad un processo in cui, nel novembre 2019, furono condannati a pene altissime Mussari e Vigni, rispettivamente ex-presidente ed ex-direttore generale di Monte dei Paschi di Siena. Infine, nel 2011, andò a dirigere la Banca Centrale europea. Un ruolo che lo ha visto protagonista durante la profonda crisi della Grecia con manovre a dir poco discutibili. Dunque quali interessi porterà Draghi come Presidente del Consiglio?
Quali interessi?
Saranno davvero gli interessi dell’Italia? Staremo a vedere. Sicuramente lo aspettiamo al varco, sperando in una “folgorazione” sulla via di Damasco, come San Paolo di Tarso. Intanto osserviamo la scelta dei ministri e guardiamo al governo con una certa indignazione nel momento in cui quella Forza Italia, partito che ha tra i fondatori un uomo della mafia (Marcello Dell’Utri, condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa ed in primo grado per la trattativa Stato-mafia) e come leader un pregiudicato, Silvio Berlusconi, che pagava la mafia (così come dicono le sentenze) che si trova indagato a Firenze assieme all’ex senatore (sempre Dell’Utri) per essere stato mandante delle stragi del 1993, offre ben tre ministri all’esecutivo. Quei Brunetta, Carfagna e Gelmini che non hanno avuto remore ad approvare nel Consiglio dei ministri (correva l’anno 2008) il Lodo Alfano. Un disegno di legge che serviva a creare un vero e proprio scudo penale per le quattro più alte cariche dello Stato. Il Lodo Alfano venne poi bocciato dalla Corte Costituzionale, ma è ignobile che certe figure che l’hanno promosso siano oggi al Governo. Per non parlare dei vari Orlando (uno dei peggiori ministri della giustizia degli ultimi anni “premiato” con il dicastero del Lavoro) oppure la riconferma di Luciana Lamorgese agli Interni che di certo non ha brillato durante il governo giallorosso nella lotta alla mafia.
Quella scelta sbagliata alla Giustizia
Per non parlare, poi, della scelta di Marta Cartabia come Ministro della Giustizia.
Per comprendere la gravità della scelta basti pensare che quest’ultima è stata vicepresidente di quella Corte Costituzionale che nell’Ottobre 2019, sulla scia della pronuncia della CEDU, ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 4 bis e ha dunque aperto alla possibilità per gli ‘ergastolani ostativi’ di accedere a permessi premio nel corso della loro detenzione. Se da una parte si può comprendere che quella decisione muoveva dall’esigenza di tutelare diritti costituzionalmente garantiti, dall’altra non possiamo dimenticare come le mafie mortificano i diritti costituzionalmente garantiti dei cittadini. Proprio in tema di giustizia e carceri passa una grande fetta di quella lotta alle mafie di cui parlavamo in precedenza. E sono questi argomenti che più ci interessano. E la sensazione è che nel passaggio dal ministro mediocre ed omertoso Alfonso Bonafede (non ha mai chiarito la mancata nomina di Di Matteo al Dap, che di seguito approfondiremo) alla Cartabia si sia passati dalla padella alla brace. Con il rinnovato governo Draghi ad essere a rischio sono pure la Spazzacorrotti, la legge sul voto di scambio o la riforma sulla prescrizione, le uniche leggi positive contro colletti bianchi e corrotti prodotte e pensate dal precedente esecutivo. E non vorremmo che dopo quel pronunciamento sull’ergastolo ostativo si arrivi anche a smantellare persino il 41 bis. Quel “desiderata” che i mafiosi hanno da sempre sognato e che, seppur svuotato nella sua prima essenza, ha resistito ai veri governi. Non possiamo dimenticare che proprio il tentativo di far abrogare o attenuare il regime dell’ergastolo spinse, tra gli altri obiettivi, Cosa Nostra a ricattare a suon di bombe lo Stato nel biennio 1992-1994.
Quale lotta alla mafia?
Torniamo dunque alla nostra domanda principale. Che lotta alla mafia sarà quella del neonato governo Draghi? In questi anni lettera morta sono divenuti gli allarmi di tantissimi magistrati in prima linea. Pensiamo, oltre ai già citati Di Matteo e Ardita, ai vari Nicola Gratteri, Giuseppe Lombardo, Roberto Scarpinato, Carmelo Zuccaro, Luca Tescaroli ed altri appartenenti alle Procure d’Italia. Appena due anni fa, in una lettera scritta a La Repubblica in occasione delle commemorazioni per la strage di via d’Amelio, proprio il pm Giuseppe Lombardo scriveva: “Per lo Stato italiano la lotta alla mafia non è prioritaria perché richiede una volontà politica che superi gli sbarramenti generati dalla mancanza di adeguate coperture finanziarie, argomento strumentalmente utilizzato per giustificare le drammatiche carenze di organico della magistratura, del personale amministrativo e delle forze di polizia. Mi chiedo, se questo è vero, che senso abbia gioire dei risultati giudiziari raggiunti, visto che siamo comunque costretti a giocare una partita che non possiamo vincere. Che senso ha sbandierare arresti e condanne come fossero vittorie. Sono risultati importanti generati dal lavoro quotidiano, per i quali non vogliamo applausi. È il nostro lavoro ed il nostro lavoro, tra mille difficoltà, lo sappiamo fare. Punto e basta”. Poco più di un anno e mezzo dopo la situazione non appare affatto migliorata. C’è un grave, se non colpevole, silenzio politico, sulle centinaia di miliardi che la ‘Ndrangheta “fattura” grazie al traffico internazionale di stupefacenti per poi reinvestirli nell’economia legale. E’ facile pensare che Draghi, da ex Governatore della Bce ed oggi Premier, sia consapevole del Sistema che si muove dietro i flussi economici con le mafie divenute protagoniste.
Come agirà?
I miliardi che girano nel circuito economico della “Mafia Spa”, secondo gli analisti, toccano per difetto i 150 miliardi di euro l’anno. E inchieste recenti raccontano di riciclaggi di denaro ed investimenti che le mafie mettono in campo grazie a broker fidati ed insospettabili. Ed è un fatto noto che proprio il traffico di stupefacenti, in base ai dettami europei, viene anche inserito nel calcolo del Pil. In un momento in cui il Paese, accanto all’emergenza Coronavirus, si trova ad affrontare una crisi sociale ed economica di proporzioni gigantesche, ecco che il Sistema criminale integrato trova la possibilità di accrescere il proprio potere. Un allarme che è stato ribadito dal Procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato e più di recente dal procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri e dal Procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo. Perché le mafie non sono solo un problema di ordine pubblico, ma anche “un problema culturale” e “per sconfiggerle bisognerebbe anche affrancare la gente dalla paura e dal bisogno“. Anche in questo senso, ad oggi, le armi sono spuntate e l’applicazione del “reddito di cittadinanza”, purtroppo, non è sufficiente.
Il tradimento a Cinque Stelle
Lo diciamo subito. Il Movimento Cinque Stelle è stato distrutto dal tradimento del suo stesso fondatore, il buffone Beppe Grillo, ma al suo interno, malgrado tutto, vi sono state e vi sono ancora persone perbene e politici che hanno combattuto per le proprie idee a favore del popolo, portando avanti importanti battaglie anche oltre la lotta alla mafia. Pensiamo a Nicola Morra, Alessandro Di Battista, Pino Cabras, Mario Giarrusso, Giulia Sarti, Sara Cunial, Piera Aiello, ed altri. Lo scenario diviene più drammatico di fronte all’inganno ed il tradimento subito dal popolo italiano da quella speranza che in apparenza era stata rappresentata dal Movimento Cinque Stelle. Quel vento nuovo in cui si erano riposte tante speranze è pressoché sparito. In passato abbiamo più volte evidenziato le ambiguità dei pentastellati guidati dal signor comico Beppe Grillo. Il garante dei Cinque Stelle ha gettato definitivamente la maschera appoggiando Draghi e trascinando i suoi negli inferi di un governo che li vede seduti accanto a Forza Italia. E pensare che fino a pochi mesi fa proprio il confermato ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, chiudeva all’ingresso al partito di Berlusconi postando su Facebook un vecchio articolo di quando l’ex premier lo chiamò al telefono e lui si negò: “Era così allora, è così oggi“, diceva allora Di Maio. Oggi la giravolta è compiuta e forzisti e pentastellati giurano a sostegno del “banchiere” che governerà l’Italia. Un vero e proprio “patto col diavolo” se si considerano le battaglie che avevano contraddistinto la prima “vita” del Movimento. Cosa è accaduto? Doveva esserci un cambiamento nella politica, ma alla fine è la politica stessa che ha cambiato il Movimento rispetto alle origini. L’elenco delle promesse mancate è lungo.
Primo tradimento
Alla vigilia delle elezioni del 2018, ma si potrebbe dire da sempre, uno dei motti del Movimento era basato sul grido “onestà” ed una visione per una “giustizia al servizio dei cittadini”. L’idea di base era quella di “non spuntare le armi, ma migliorare l’efficienza e la qualità della giustizia”. Quindi dare “più risorse, personale e strumenti per fare in modo che i processi fossero più veloci, le indagini più efficaci, la pena certa e tendente alla rieducazione”. Un programma che veniva anche rafforzato dall’idea di proporre un cambiamento forte con la nomina, in caso di successo, di figure di riferimento importanti. E non erano semplici “voci” quelle che si erano diffuse su una designazione del magistrato Nino Di Matteo come ministro della Giustizia o ministro degli Interni per la futura squadra di Governo. Vi fu anche un incontro (o forse anche più di uno) privato in cui fu offerto proprio il posto al Viminale (mentre in pubblico si parlava di Paola Giannetakis per non mettere lo stesso pm, già al centro di numerosi attacchi per il processo Stato-mafia, in difficoltà). Non dimentichiamo ciò che avvenne il 7 aprile 2018, a Ivrea, nell’evento organizzato dall’associazione Gianroberto Casaleggio. L’allora sostituto procuratore nazionale antimafia intervenne dal palco. Ricordiamo gli applausi a scena aperta mentre lanciava le sue proposte di intervento sulla giustizia, come l’ampliamento dell’uso delle intercettazioni, l’uso degli agenti sotto copertura e l’impegno sulla lotta alla mafia e la ricerca dei mandanti esterni delle stragi del 1992 e del 1993. Alla politica si rivolse per la garanzia dell’indipendenza della magistratura per poi chiedere verità sulle stragi, ricordando l’esistenza di un sistema criminale che ha interesse che la giustizia non funzioni. Tutte questioni che erano “care” anche ai Cinque Stelle. Erano presenti il capo politico Luigi Di Maio, lo stesso Casaleggio e c’era anche Alfonso Bonafede, colui che è poi divenuto ministro della Giustizia autore di clamorosi fallimenti nella lotta alla mafia.
Di Matteo venne salutato con una vera e propria standing ovation. E’ storia che Di Matteo non sarà mai nominato ministro con le porte del Viminale che, diversamente, si apriranno per Matteo Salvini, il peggior ministro degli Interni della storia della Repubblica. Nacque così, con il patto con la Lega, il primo Governo Conte. Basterebbe già questo per far gridare al “tradimento” nel momento in cui in passato i Cinque Stelle erano stati categorici nel dire “No” ad alleanze. Eppure, pur di entrare nella stanza dei bottoni, per due volte il principio è stato violato. E’ accaduto anche con la nascita del governo giallo-rosso, che vede tra le proprie file anche quel Matteo Renzi, con Italia Viva. E pensare che appena un mese prima della nascita del Governo “Conte 2”, nell’agosto 2019, proprio il ministro Bonafede scriveva nel blog pentastellato: “Accade anche che nomi del passato che hanno creato disastri nel nostro Paese vengano addirittura associati alla parola ‘Governo’. C’è una forza politica in Italia che ha sempre mantenuto la sua coerenza e ferma la bussola sull’interesse dei cittadini, non delle banche né dei comitati d’affare. Il Movimento non si siederà mai al tavolo con Renzi e/o Boschi. La questione non è personale: il Paese ha ancora bisogno di un cambiamento che è totalmente incompatibile con certi nomi. È un momento delicato per il Paese. Ora basta con le bufale, siamo seri per piacere. Grazie”. Da Italia Viva a Berlusconi il passo è stato breve.
La mancata nomina di Di Matteo al Dap
Uno dei tradimenti peggiori del Movimento Cinque Stelle si è consumato quando proprio Bonafede voltò clamorosamente le spalle a Di Matteo per un ruolo al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, preferendogli il meno noto, Francesco Basentini. Sulla mancata nomina la scorsa primavera scoppiò una fortissima polemica in contemporanea con la clamorosa storia delle scarcerazioni dei boss mafiosi, in piena emergenza Covid-19. Vicende su cui anche la Commissione parlamentare antimafia, presieduta da Nicola Morra, ha cercato di fare chiarezza. Audito proprio in Commissione antimafia, Nino Di Matteo, attuale consigliere togato del Csm, ripercorse ogni passaggio dei colloqui avuti con il ministro della Giustizia nel giugno 2018 evidenziando ciò che disse Bonafede per convincerlo ad accettare un incarico diverso da quello concordato (il Dag anziché il Dap) sostenendo che “per quest’altro incarico non ci sono dinieghi o mancati gradimenti che tengano’”. Da parte sua Bonafede, pur ascoltato in più sedi, non ha mai dato una risposta concreta su cosa intendesse o quali furono i motivi per cui, da un giorno all’altro, optò per il voltafaccia macchiandosi di un errore politico grave in tema di lotta alla mafia. Non possiamo pensare che sia tutto il frutto di un equivoco (come si continua a far credere). Perché è un’offesa all’intelligenza dei fatti. Abbiamo sentito informative in Parlamento, question time, interviste, dichiarazioni varie, e non siamo soddisfatti delle risposte ricevute. C’era stata poi quella “coincidenza” delle “rimostranze” di alcuni capimafia, riportate in una relazione degli agenti della penitenziaria, ascoltati mentre manifestavano tutta la loro preoccupazione sulla possibile nomina di Di Matteo (“Se viene questo Nino Di Matteo siamo consumati, per noi è finita“). Bonafede, per sua stessa ammissione, era al corrente della rabbia dei boss nelle carceri, e non vi poteva essere un miglior “segnale chiaro e inequivocabile alla criminalità organizzata” (per usare le parole del ministro mentre giustificava la sua visione di inserire Di Matteo agli affari penali) se non quello di puntare proprio su Di Matteo come al capo del Dap. Una questione di logica. I mafiosi non lo volevano in quel ruolo ed io, ministro della Giustizia, faccio una scelta esattamente opposta ai loro desiderata. Ci piacerebbe, dunque, che spiegasse in maniera approfondita i motivi del diniego, senza sfuggire alle domande, come ha fatto sempre in Commissione antimafia lo scorso maggio (a proposito cosa si aspetta per riconvocarlo?). Ma non è solo questo l’unico errore che abbiamo ravvisato in questi anni di governo da parte dell’ormai “fu ministro” Boy Scout. E non bastano quei pochi buoni provvedimenti fin qui portati avanti (Spazzacorrotti, la blocca-prescrizione, la riforma del voto di scambio con la modifica del 416-ter, le manette agli evasori o il primo intervento sulla legge sulle intercettazioni, che avrebbe portato al bavaglio alla stampa previsto nella legge Orlando che sarebbe divenuta attuativa dal 1°gennaio 2020) per salvarne l’operato. Proprio sul fronte della lotta alla mafia, nella migliore delle ipotesi, vi sia stata un’incompetenza ed una mediocrità che vanno oltre la semplice disattenzione. Nella peggiore si potrebbe pensare che anche il Movimento Cinque Stelle sia scivolato nella secolare e nefasta trattativa Stato-mafia. Ma se sul fronte giustizia la partita è ancora in discussione, con le riforme che erano state accantonate negli ultimi tempi anche a causa della crisi pandemica, appare comunque evidente che nei due cicli di governo, prima quello giallo-verde e poi quello giallo-rosso, i Cinque Stelle sono riusciti a tradire la fiducia degli italiani onesti. E’ un dato di fatto che molte battaglie storiche, tanto sul piano economico che in materia di politica estera, si sono perse per strada. Basti pensare alle posizioni assunte sulla Tav, il Tap, la Nato, l’acquisto degli F-35, la risoluzione del conflitto israelo-palestinese o le gravi posizioni assunte sul tema migranti con il Decreto legge Sicurezza bis che abbassava in maniera spudorata il grado di umanità del Paese.
L’inganno, peggiore del tradimento
In questo quadro rientra anche e soprattutto la lotta alla mafia, per un bilancio che va considerato estremamente negativo non solo per la sporca faccenda della mancata nomina di Di Matteo al Dap o le scarcerazioni. Per onestà intellettuale aggiungiamo che c’è comunque una parte delle istituzioni che vuole impegnarsi in un vero cambio di rotta. In questi anni abbiamo apprezzato l’impegno che la Commissione parlamentare antimafia presieduta da Nicola Morra ha cercato di porre in essere con la desecretazione degli atti che vanno dalla sua nascita al 2001 (auspichiamo che vi siano atti più importanti di quelli fin qui ascoltati, ndr) così come la scelta di avviare dei lavori d’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia, le stragi, i depistaggi, avvalendosi di importanti consulenze esterne come quelle di Roberto Tartaglia (oggi al Dap) e Gianfranco Donadio. Purtroppo ci sono state anche alcune anomalie, come l’attesa nel richiamare in Commissione Alfonso Bonafede per rispondere alle domande rimaste aperte. E ci auguriamo che quanto prima si sopperisca a questa pecca, richiamando l’ormai ex ministro della Giustizia, così come ci aspettiamo che al più presto si rimedi anche all’audizione dell’ex sottosegretario Luigi Gaetti, che ha attaccato unilateralmente figure come l’avvocato Fabio Repici, la famiglia Manca, testimoni di giustizia come Piera Aiello (che è anche parlamentare e membro della Commissione antimafia), il senatore Michele Giarrusso o l’onorevole Giulia Sarti, sempre in prima linea proprio nella lotta alla mafia.
Quale posto nel programma?
Sappiamo che nel Conte bis la lotta alla mafia era stata inserita al tredicesimo posto. Che posizione avrà nel governo Draghi? In un Governo serio verrebbe fatta una lotta senza quartiere al traffico internazionale di droga, dove la ‘Ndrangheta detiene il monopolio del traffico di cocaina nel mondo occidentale. In un Governo serio la ricerca dei latitanti sarebbe potenziata, dando solidi strumenti investigativi per una migliore conduzione delle indagini. Un Governo serio interverrebbe con forza, anche minacciando sanzioni, per l’estradizione di Amedeo Matacena jr, condannato in via definitiva nel 2013 a cinque anni e quattro mesi di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa perché ritenuto vicino alla cosca di ‘Ndrangheta dei Rosmini e attualmente latitante a Dubai, negli Emirati Arabi. Un Governo serio grazie alle forze dell’intelligence non si sarebbe fatto sfuggire il boss di ‘Ndrangheta Rocco Morabito, latitante tra l’Uruguay e il Brasile. Nel 2017 era rinchiuso in un carcere, in Uruguay. Nonostante la richiesta di estradizione tra una lungaggine burocratica e l’altra, lo stesso riuscì clamorosamente ad evadere nel giugno 2019. Ed ancora risuonano le parole di Nicola Gratteri a commento dell’accaduto: “Con questo tipo di latitanti si dovrebbe lavorare con gli Stati affinché emettano un decreto di espulsione dal Paese anziché chiedere l’estradizione. Le autorità dichiarano indesiderato il cittadino straniero e in meno di 48 ore è fuori dal territorio nazionale. La procedura per l’estradizione invece richiede tempi lunghissimi, durante i quali si possono verificare episodi come questo“. In un Governo serio Matteo Messina Denaro, ricercato dal 1993 ed ultimo dei boss stragisti ancora in libertà, sarebbe in carcere o, quantomeno, avrebbe le ore contate. Invece, come hanno sostenuto diversi magistrati ed investigatori che gli hanno dato la caccia, il boss trapanese gode di protezioni di altissimo livello, anche istituzionale. Sul punto cosa possono dire gli ex rappresentanti di Governo dei Cinque Stelle, l’ex Presidente del Consiglio Conte, che coordinava i Servizi Segreti, o i ministri dell’Interno e della Giustizia che si sono succeduti? Ma non finisce qui. Perché un Governo serio farebbe di tutto per desecretare ogni atto e documento sulle tante (troppe) stragi e i delitti che ancora attendono una verità completa. Perché un Governo serio saprebbe che fare la lotta alla mafia significa cercare la verità sui mandanti esterni, sulle trattative tra lo Stato e la mafia e non lascerebbe la ricerca della verità solo alla magistratura e ai rappresentanti della Commissione Parlamentare, ma aprirebbe gli archivi dei segreti di Stato, rendendoli disponibili alla stampa e all’opinione pubblica. Avrà Draghi questo coraggio? Ne dubitiamo anche perché, purtroppo, siamo in un Paese al contrario dove la classe politica, nella migliore delle ipotesi delega, nella peggiore è complice e la rovinosa caduta del Movimento Cinque Stelle ne è la prova. La fuoriuscita dal Movimento di persone perbene come Alessandro Di Battista possano tornare protagonisti magari accompagnati da altre figure di riferimento che non possono accettare di governare assieme alla Lega di Salvini, all’Italia Viva di Matteo Renzi, ed al partito fondato da un uomo della mafia (Forza Italia). Gli altri che faranno? Sopporteranno tutto questo o torneranno a fare le barricate? Ci sarebbe da andare via dal Paese, scrollando via la polvere dai calzari e andarsene, esuli, da una Patria che si fatica a sentire propria. Ma preferiamo restare. Perché ci sono ancora magistrati di frontiera che nelle trincee rappresentano il vero Stato, pronti a difendere i diritti dei cittadini e la Costituzione. Quella Carta fondamentale che finché sarà vigente resta l’unica speranza per la nostra democrazia.
Scenario inquietante, le esatte previsioni del compianto Giulietto Chiesa
Tre anni fa, prima che morisse, ebbi un dialogo con il grande giornalista e amico Giulietto Chiesa. Una conversazione durante la quale fece alcune previsioni politiche sul medio e lungo periodo. Mi disse: “Lo scenario sarà inquietante e drammatico. Vedrai che tra qualche tempo porteranno alla Presidenza del Consiglio Mario Draghi e vedrai anche che il fondatore dei Cinque Stelle sarà il responsabile assoluto della caduta del Movimento. Da essere il partito più amato dagli italiani passeranno alla catastrofe, con pochi voti”. Io lo ascoltai, devo ammetterlo, con grande attenzione, ma anche con qualche scetticismo. Del resto quello era il tempo in cui i Cinque Stelle erano proiettati ad essere primo partito. E Giulietto Chiesa è sempre stato capace di larghe visioni. Dunque chiesi il perché di quell’analisi spietata. E lui rispose nuovamente: “Vedo che gli americani, in particolare certe lobby, in qualche modo sono riusciti a contaminare il Movimento, entrando in contatto con i vertici. Hanno fatto loro presente chi è che davvero comanda nel Mondo. Vedo che per quanto riguarda la lotta alla criminalità organizzata, che è braccio armato del potere, non può essere fatta in modo serio. Al massimo può essere contenuta, ma non sconfitta. Ecco perché uomini come Di Matteo ed altri non potranno mai essere nominati come ministri”. Ed infine concluse: “Grillo sarà messo sotto scacco e ricatto per vicende personali”. E’ notizia dello scorso novembre che l’inchiesta sul figlio ventenne di Beppe Grillo, Ciro, sarebbe prossima alla conclusione con la Procura di Tempio Pausania che sarebbe pronta a chiedere il rinvio a giudizio. L’accusa? Violenza sessuale in concorso per un episodio di abuso di una studentessa che sarebbe avvenuto nel luglio 2019. Di queste dichiarazioni profetiche non scrissi nulla al tempo. Oggi, però, quelle parole tornano martellanti. Perché quello scenario non è più ipotetico, ma reale.