di MOWA
In questi giorni assistiamo allo spettacolo di strade cittadine occupate da persone (auto-definitesi “Movimento dei forconi”) che urlano slogan per un’Italia, ormai morente di lavoro, nel tentativo mediatico di attirare l’attenzione dell’opinione pubblica che vorrebbero rinfrancare e risalire dalla sicura deriva a cui si sta andando incontro….
Questo caleidoscopio di occupanti che urla slogan nazionalisti non sa di essere la perfetta rappresentazione di quello che Gramsci chiamava “Il popolo delle scimmie” ovvero quella piccola borghesia che si incrosta nell’istituto parlamentare.
Quella piccola borghesia che “cerca di consolidare la sua nuova posizione e si illude di aver realmente raggiunto questo fine, si illude di aver realmente ucciso la lotta di classe, di aver preso la direzione della classe operaia e contadina, di aver ‘sostituito l’idea socialista, immanente nelle masse, con uno strano e bislacco miscuglio ideologico di imperialismo nazionalista, di <<vero rivoluzionarismo>>, di <<sindacalismo nazionale>>”… e “… Dopo aver corrotto e rovinato l’istituto parlamentare, la piccola borghesia corrompe e rovina anche gli altri istituti, i fondamentali sostegni dello Stato: l’esercito, la polizia, la magistratura. ” Inoltre “La piccola borghesia, anche in questa sua ultima incarnazione politica del «fascismo», si è definitivamente mostrata nella sua vera natura di serva del capitalismo e della proprietà terriera, di agente della controrivoluzione. Ma ha anche dimostrato di essere fondamentalmente incapace a svolgere un qualsiasi compito storico: il popolo delle scimmie riempie la cronaca, non crea storia, lascia traccia nel giornale, non offre materiali per scrivere libri. La piccola borghesia, dopo aver rovinato il Parlamento, sta rovinando lo Stato borghese: essa sostituisce, in sempre piú larga scala, la violenza privata all’«autorità» della legge, esercita (e non può fare altrimenti) questa violenza caoticamente, brutalmente, e fa sollevare contro lo Stato, contro il capitalismo, sempre piú larghi strati della popolazione. ” [1]
Antonio Gramsci, ne l‘Ordine nuovo del 4 ottobre 1919, diceva che la borghesia italiana, era nata e si era sviluppata affermando e realizzando il principio dell’unità nazionale e, come nella storia di molti altri paesi, aveva assunto una forma di organizzazione tecnicamente più perfetta dell’apparato mercantile di produzione e di scambio diventando lo strumento storico di un progresso generale della società umana e che, a causa di insanabili conflitti creati dalla guerra nella sua compagine, aveva teso, poi, a disgregare la nazione, sabotando e distruggendo l’apparato economico che aveva, così pazientemente, costruito.
La borghesia, infatti, è la stessa che crea ingiustizie e che crea guerre civili.
La borghesia è la stessa che crea la “molteplicità caotica di conflitti” e non è “possibile, alla grande massa di cittadini, orizzontarsi, in cui la sicurezza individuale e dei beni sparisce e le succede il terrore, il disordine, l’<<anarchia>>.” [2]
Gramsci indicava, allora, (ma potremmo benissimo dire anche oggi), come responsabile della rovina del paese la borghesia e, contemporaneamente, i partiti storici che la rappresentavano.
Aggiungeva Gramsci che: “In Italia il capitale industriale ha creato lo Stato come tale e ha spadroneggiato senza concorrenti. Il potere di Stato non si è preoccupato di niente altro che dello sviluppo, morboso spesso, del capitale industriale: protezioni, premi, favori d’ogni specie e di ogni misura. Le campagne sono state saccheggiate, la fertilità del suolo è stata isterilita, le popolazioni contadine hanno dovuto emigrare. Il potere di Stato ha difeso selvaggiamente le casseforti: gli eccidi di operai sfruttati nella fabbrica, e di contadini poveri messi nell’impossibilità di vivere dalla legislazione doganale che essiccava il suolo, faceva abbattere le foreste, faceva straripare i fiumi, non si contano nella storia italiana contemporanea. Lo Stato, per lo sviluppo dell’apparato industriale, assorbì la piccola borghesia campagnola, gli intellettuali, nei suoi organismi amministrativi, nei giornali, nelle scuole, nella magistratura: cosí la campagna non ebbe mai un partito politico proprio, non esercitò mai un peso negli affari pubblici. Il potere di Stato si accollò persino la funzione di banca degli industriali…” [3]
Tanto era notevole la lucidità di Gramsci nelle sue analisi che aveva preannunciato la DC (oggi in molte formazioni politiche che vanno dal PD alla Lega, dall’Udeur all’Udc, dal PDL a Fratelli d’Italia, ecc.) e ne aveva, nello stesso articolo, capito i meccanismi culturali-ideologici che spingevano (e spingono, oggi, il Movimento dei forconi), ad affermare: “Che le campagne non avessero mai avuto una rappresentanza propria, espressione specifica dei propri interessi e delle proprie aspirazioni politiche, si vede dalla composizione stessa del partito popolare, aristocratico e demagogico, poggiante insieme sui grandi e medi proprietari e sui contadini poveri e i piccoli proprietari. Il partito popolare aspira al governo, aspira al potere di Stato, aspira a costruire un suo Stato e ne ha i mezzi. La guerra ha determinato l’organizzazione dell’apparato industriale sotto il controllo delle banche: i clericali sono, oggi, in Italia, i maggiori e piú efficaci agenti per il rastrellamento del risparmio. Essi dominano già molte banche; in breve tempo riuscirebbero a dominarle tutte, se padroni del potere di Stato; in breve tempo tutte le clientele e le cricche tradizionali sarebbero spazzate via e sostituite: il partito popolare (700.000 tessere!) ha molti appetiti e molte ambizioni da saziare! La patria è in pericolo, bisogna salvare il popolo e la collettività! Ohibò, è solo in pericolo il borsellino delle clientele giolittiane, è in pericolo il potere degli industriali politicanti e insaziabili, è in pericolo la carriera politica degli agenti piccolo-borghesi dell’affarismo capitalistico.” [4]
Tanto sono corrispondenti alla realtà quotidiana gli scritti di Gramsci da poter stabilire che, ancor oggi, esistono “ Gli spezzatori di comizi” con la funzione di supplenti borghesi.
Infatti, ancora oggi, “Lo spezzatore di comizio vuole che la sua personcina, gonfia di vento parolaio e di vanità, sovrasti le migliaia e migliaia di operai, sia superiore alle volontà riunite di migliaia e migliaia di operai: egli priva cosí la classe operaia delle scarse possibilità di riunione di cui dispone, non permette alla classe operaia di svolgere le sue manifestazioni, di dimostrare la sua forza, di acquistare piú chiara coscienza della sua volontà collettiva. Se osservate, vedete che difficilmente lo spezzatore di comizi è un operaio di fabbrica, è un operaio industriale: quasi sempre egli è uno spostato, un uomo dai cento mestieri, che rivela nella sua irrequietezza fisica e… vocale la irrequietezza della sua vita economica, della sua vita di lavoro, che riflette nel suo cervello e nelle sue idee la incertezza e la confusione delle condizioni materiali della sua vita. Perciò anche lo spezzatore di comizi afferma di essere antiautoritario e di essere antimarxista perché Marx era «autoritario»; la verità è che Marx aveva preveduto questo tipo di pseudorivoluzionario e aveva messo in guardia la classe operaia contro i suoi metodi e la sua fraseologia; perché Marx credeva che la rivoluzione non si fa con la gola, ma col cervello, non si fa col vano dimenarsi fisico, col sommovimento del sangue nelle vene, ma colla disciplina della classe operaia che porta nella costruzione della società comunista le stesse virtù di lavoro metodico e ordinato che ha imparato nella grande produzione industriale.” [5]
Agli attuali schieramenti politici, se fosse ancora vivo, Gramsci avrebbe riconfermato quanto scrisse al punto 4) della relazione, presentata al Consiglio nazionale di Milano dai rappresentanti della sezione socialista e della federazione provinciale torinese come base di critica al PSI:
“Le forze operaie e contadine mancano di coordinamento e di concentrazione rivoluzionaria perché gli organismi direttivi del partito socialista hanno rivelato di non comprendere assolutamente nulla della fase di sviluppo che la storia nazionale e internazionale attraversa nell’attuale periodo, e di non comprendere nulla della missione che incombe agli organismi di lotta del proletariato rivoluzionario. Il partito socialista assiste da spettatore allo svolgersi degli eventi, non ha mai una opinione sua da esprimere, che sia in dipendenza delle tesi rivoluzionarie del marxismo e della Internazionale comunista, non lancia parole d’ordine che possano essere raccolte dalle masse, dare un indirizzo generale, unificare e concentrare l’azione rivoluzionaria. Il partito socialista, come organizzazione politica della parte d’avanguardia della classe operaia, dovrebbe sviluppare un’azione d’insieme atta a porre tutta la classe operaia in grado di vincere la rivoluzione e di vincere in modo duraturo. Il partito socialista, essendo costituito da quella parte della classe proletaria che non si è lasciata avvilire e prostrare dall’oppressione fisica e spirituale del sistema capitalistico, ma è riuscita a salvare la propria autonomia e lo spirito d’iniziativa cosciente e disciplinata, dovrebbe incarnare la vigile coscienza rivoluzionaria di tutta la classe sfruttata. Il suo compito è quello di accentrare in sé l’attenzione di tutta la massa, di ottenere che le sue direttive diventino le direttive di tutta la massa, di conquistare la fiducia permanente di tutta la massa in modo da diventarne la guida e la testa pensante. Perciò è necessario che il partito viva sempre immerso nella realtà effettiva della lotta di classe combattuta dal proletariato industriale e agricolo, che ne sappia comprendere le diverse fasi, i diversi episodi, le molteplici manifestazioni, per trarre l’unità dalla diversità molteplice, per essere in grado di dare una direttiva reale all’insieme dei movimenti e infondere la persuasione nelle folle che un ordine è immanente nello spaventoso attuale disordine, un ordine che, sistemandosi, rigenererà la società degli uomini e renderà lo strumento di lavoro idoneo a soddisfare le esigenze della vita elementare e del progresso civile. Il partito socialista è rimasto, anche dopo il congresso di Bologna, un mero partito parlamentare, che si mantiene immobile entro i limiti angusti della democrazia borghese, che si preoccupa solo delle superficiali affermazioni politiche della casta governativa; esso non ha acquistato una sua figura autonoma di partito caratteristico del proletariato rivoluzionario e solo del proletariato rivoluzionario”.
Note:
[1] L’Ordine Nuovo, 2 gennaio 1921. Non firmato. Il titolo è tratto da una novella del primo Libro della giungla di Kipling.
[2] L’Ordine nuovo, 4 ottobre 1919.
[3] Avanti!, ed. piemontese, 11 febbraio 1920.
[4] Ibidem
[5] Avanti!, ed. piemontese, 5 marzo 1920, in “Sotto la Mole“.