di Claudio Forleo
Se fino ad un mese fa facevi parte di un partito che continua a difendere Marcello Dell’Utri, condannato in Appello a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa, “mediatore fra Berlusconi e Cosa nostra” (si legge nelle motivazioni della Corte), ed oggi scopri la trattativa Stato-mafia, arrivando a minacciare i mafiosi di rendere “più duro il 41bis”, qualche interrogativo sorge spontaneo.
Angelino Alfano, ministro dell’Interno e fin qui stampella della claudicante maggioranza del governo Letta, esprime vicinanza al pm Nino Di Matteo, che assieme agli altri membri del pool trattativa (Roberto Tartaglia, Francesco Del Bene, Vittorio Teresi, Lia Sava) ha messo sotto accusa Prima e Seconda Repubblica. E’ una notizia, ma non dovrebbe esserlo, perchè è l’unico esponente di spicco delle ‘istituzioni’ a spendere qualche parola (anche Napolitano ha finalmente aperto bocca, senza esagerare: “solidarietà ai magistrati che lottano contro la criminalità organizzata”), mentre la collega di governo Annamaria Cancellieri ancora fino a qualche giorno fa dichiarava che il Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) fosse all’oscuro delle minacce di Riina al magistrato, che vanno avanti da settimane.
Ma nel nostro Paese, dove l’antimafia delle parole è spesso maggioranza, prima di credere bisogna toccare con mano come San Tommaso. Due settimane or sono Alfano si è precipitato a Palermo per garantire la messa a disposizione del ‘bomb-jammer’ a Di Matteo, un dispositivo che blocca gli impulsi radiocomandati che potrebbero essere utilizzati per una nuova strage, come quelle di Capaci e Via d’Amelio. ‘Jammer’ che ad oggi non risulta essere in dotazione alla scorta dei magistrati del pool nè di quelli di Caltanissetta che indagano su un altro capitolo-choc, il depistaggio delle indagini su via d’Amelio. Prima si vuole appurare se il dispositivo in questione sia “dannoso per la salute”. Oggi Alfano ha ribadito che lo Stato “metterà a disposizione la tecnologia di cui dispone l’intero Paese per rendere più sicura la loro vita: ogni attacco alla loro sicurezza è un attacco allo Stato contro cui lo Stato reagirà”.
In attesa che la promessa si trasformi in atto concreto torniamo al recente passato di Alfano. Un ministro che, a pensare male, pare voglia rifarsi una verginità, ma rimane pur sempre alleato del senatore decaduto che ancora pochi giorni fa ha ribadito la sua stima verso l’eroe Vittorio Mangano, un mafioso a tempo perso stalliere di Arcore.
Curioso che Alfano parli di irrigidimento del 41bis, dato che fu il secondo governo Berlusconi nel 2002 (con Alfano in Parlamento) a riformare il regime di carcere duro in senso non proprio restrittivo, dato che il passaggio dalla ‘proroga ogni sei mesi’ allo stato ‘permanente’ ha di fatto reso più facile la revoca del 41bis ai detenuti mafiosi, aumentando la discrezionalità del magistrato nella scelta. E’ stato sempre il governo Berlusconi a emanare l’ultimo dei suoi tre scudi fiscali nel 2009, quando Angelino stava addirittura in via Arenula, sede del Ministero della Giustizia.
Quando l’Anm osò protestare contro quello che si profilava come un vero e proprio riciclaggio di Stato (il rientro dei capitali, sotto forma anonima, pagando il 5% dell’importo), l’allora ministro rispose così: “Fanno resistenza al cambiamento dello status quo, ogni volta che proponiamo una riforma ci viene detto che in realtà vogliamo riformare i giudici. Ci sono resistenze corporative ma questo governo e questa maggioranza ce la possono fare”.
Ed è sempre Alfano a ritenere “indecorosa e indegna la pubblicazione di intercettazioni che sfiorano il Quirinale” quando esplode il caso D’Ambrosio-Mancino-Napolitano. E’ lui a parlare di presunti “abusi contro Napolitano” in merito alle stesse intercettazioni (agosto 2012). Per aver fatto cenno a quelle conversazioni in una intervista a Repubblica, 48 ore dopo che la notizia era già di dominio pubblico, Di Matteo è ancora oggi sotto azione disciplinare del Csm.
Alfano ha messo la sua firma sulla famigerata legge-bavaglio relativa proprio alle intercettazioni, oltre a due norme ad personam e incostituzionali come il Lodo e il legittimo impedimento. E’ Alfano nel febbraio 2012 ad esprimere “incredulità e amarezza” per la vicenda di Calogero Mannino, oggi imputato con rito abbreviato nel processo di Palermo e considerato dalla Procura “l’ispiratore” della trattativa, quando venne assolto dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Chissà se l’attuale ministro lesse poi le motivazioni con cui la Corte d’Appello di Palermo (maggio 2012) respinse la richiesta di risarcimento presentata da Mannino per ingiusta detenzione: “Non vi è dubbio che per un uomo politico di primo piano accettare consapevolmente l’appoggio elettorale di un esponente di vertice dell’associazione mafiosa e, a tal fine, dargli tutti i punti di riferimento per rintracciarlo in qualsiasi momento, integra gli estremi di colpa grave e costituisce, senza dubbio, condotta sinergica rispetto all’evento detenzione”.
Ma potremmo andare avanti con le accuse ad Antonio Ingroia, che ha condotto le indagini sulla trattativa fino a poco più di un anno fa (oltre ad essere stato pm del processo Dell’Utri), reo secondo Alfano di aver alimentato un presunto “circo mediatico giudiziario. L’Italia è l’unico paese dove tre magistrati inquirenti, Ingroia, De Magistris e Di Pietro hanno fondato un partito. Un’anomalia insostenibile”. I magistrati eletti con il centrodestra non hanno fatto mai testo per Angelino.
Chiudiamo con il commento dopo la morte di Giulio Andreotti, prescritto ma colpevole di associazione a delinquere fino alla primavera del 1980. “Uomo politico abile, straordinariamente intelligente, talvolta controverso, capace di dialogare con mente libera, spesso riusciva a guardare lontano, precorrendo i tempi, mantenendo intatte la sua lucidità e la sua ironia sino alla fine. Mi unisco al profondo dolore dei suoi cari nella convinzione che il ricordo della sua azione politica resterà un’importante risorsa perchè, da protagonista, in diversi e importanti ruoli, ha dato un contributo prezioso alla costruzione di alcune pagine della storia italiana”.
16.12.2013