In occasione del 29° anniversario della strage una webinar con Stefania Limiti, Alfredo Morvillo e Brizio Montinaro
“Vi sono alcuni fatti che hanno la potenza di spezzare il tempo, il panorama e la storia di un Paese intero”.
Basterebbero queste parole per descrivere l’impatto storico, sociale e politico che l’orrenda morte di Giovanni Falcone, ucciso dalla mafia insieme alla moglie Francesca Morvillo e gli agenti di scorta Rocco Dicillo, Vito Schifani e Antonio Montinaro il 23 maggio ’92, ha rappresentato per l’Italia e la sua gente. A pronunciare questa frase è Stefania Limiti, giornalista free lance e storica scrittrice italiana esperta di mafia e trame nere della nostra Repubblica in una webinar organizzata da ANTIMAFIADuemila con ospiti Alfredo Morvillo, ex magistrato e fratello di Francesca; Aaron Pettinari (capo redattore di ANTIMAFIADuemila); Brizio Montinaro (fratello di Antonio) alla quale hanno portato i saluti Giorgio Bongiovanni (direttore della testata) Prof. Aldo Schiavello (Direttore del dipartimento di giurisprudenza dell’Unipa) e Giorgio Marretta, (Presidente dell’associazione ContrariaMente). “Luci e ombre su Capaci”, questo il titolo dell’evento moderato da Marta Capaccioni e Sophia Sfalanga, rispettivamente dell’Ass. Our Voice e dall’Ass. ContrariaMente-Rum. Nella diretta alla quale hanno partecipato numerosi utenti è stato affrontato il tema della strage di Capaci e le dinamiche occulte che per anni continuano a gravitarle. Ma due domande prevalgono sulle altre in merito all’eccidio: chi ha ucciso Giovanni Falcone? E perché? Gli ospiti, tutti con un feedback di grandissimo spessore professionale in tema antimafia, hanno risposto a questo quesito annoso concordando tutti sulla partecipazione di soggetti esterni a Cosa Nostra nell’attentato. Si parla di mandanti occulti non appartenenti alla mafia, come ha ricordato il direttore Bongiovanni. Personaggi che “sono ancora al potere”, ha precisato. “Abbiamo visto e goduto degli arresti dei boss della cupola, mandanti ed esecutori. Ma tra quest’ultimi c’è anche gente anomala e misteriosa. Non c’era solo Giovanni Brusca e i corleonesi in quel di Capaci – ha sottolineato il direttore – ma anche servizi segreti più o meno deviati”. E poi, appunto, “i famosi mandanti esterni che stanno emergendo nel processo Trattativa Stato-mafia”. Nonostante la breve durata l’intervento di Bongiovanni è stato dirompente.
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“Non sono d’accordo con le passerelle e la retorica con la quale si ricorda Giovanni Falcone”, ha detto. “Non sono d’accordo con gli amici di Falcone che quando era ancora in vita lo ostacolavano, lo burlavano, lo deridevano e poi si sono presentati ai suoi funerali. A partire dai politici governanti per arrivare agli ‘amici’ magistrati e tanta altra gentaglia”, ha aggiunto. “Mi piace ricordare Falcone cercando di sapere, capire e indagare quelle verità che ancora oggi non abbiamo”. “Chi ha ucciso Giovanni Falcone?”, si è chiesto dunque Bongiovanni. Una domanda che permane come un mantra nelle menti di chi da casa ascolta con attenzione i relatori. Rispondere con esattezza è ancora oggi impossibile nonostante i processi e le dichiarazioni dei pentiti. In questo senso “è brutto pensare che dopo tutto quello che è accaduto siamo ancora senza una verità completa”, ha affermato Alfredo Morvillo prendendo parola dopo Bongiovanni. “Credo che ci sia ancora tanto da fare”, ha detto ancora l’ex procuratore capo di Trapani in riferimento specificamente agli avvenimenti investigativi che vennero fatti dopo la strage del 23 maggio. “E’ vero che si è scoperto molto – ha aggiunto – ma secondo me non abbiamo in mano ancora tutta la verità”. Sul punto è intervenuto Pettinari: “C’è tanta amarezza perché a distanza di lunghi anni c’è una parte di verità sull’ala militare della mafia, che sicuramente ha partecipato all’attentato e aveva le sue motivazioni, ma non su quella occulta. Il collaboratore di giustizia Salvatore Cancemi ci disse che “Riina era stato accompagnato per la manina in quelle stragi”. C’era dell’altro dunque e a distanza di 29 anni dalla strage è fondamentale chiedersi il perché di quei fatti”, ha affermato.
Una cosa però è certa: “L’omicidio Falcone rappresenta qualcosa di veramente forte che scuote l’Italia e rompe definitivamente gli equilibri politici che fino a quel momento avevano retto”. A dirlo è Stefania Limiti rispondendo alle domande delle giovani moderatrici. Quella di Capaci è un “avvenimento politico”, ha sottolineato la Limiti, “perché la strage è una manifestazione di violenza barbarica ma anche la manifestazione più politica della violenza. Una strage mette in campo più poteri. La strage è un fatto che è connesso ai poteri che si parlano e si sfidano, ciò significa che una vicenda come quella di Capaci non è una vicenda assestante. Capirla non significa capire chi furono i killer ma capire cosa nostra con chi stava parlando e a chi ha voluto dare questa dimostrazione di potenza. Si tratta di una esplosione che va al di là della vendetta mafiosa. Non stiamo giocando a fare i complottisti o anticomplottisti, qui si discute di cose importantissime perché si discute di elementi che hanno una forza e una rilevanza”. E nel caso di Giovanni Falcone le cose erano state fatte in grande.
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Per ucciderlo “era stato realizzato un teatro di guerra” ha ricordato la giornalista. Un “teatro di guerra” volto non solo a polverizzare il giudice, la moglie e la scorta, ma anche ad assumere “il potere di irrompere nelle stanze del potere della politica a tutti i livelli e modificare gli equilibri che si stavano disegnando”. Secondo Stefania Limiti, che di recente è uscita con un libro sulla P2 insieme alla collega scrittrice Sandra Bonsanti “si è discusso troppo poco in questo senso del fatto che Giulio Andreotti stava per diventare presidente della Repubblica”. “Erano in corso le trattazioni e Andreotti avrebbe probabilmente raggiunto i numeri per la sua elezione”, ha spiegato. “E’ evidente che quella strage segna la fine di un’era perché non sarà più possibile ridefinire gli equilibri con gli uomini del vecchio sistema”. “Questo rappresenta qualcosa di assolutamente nuovo”. L’analisi è corretta. La figura del “divino”, sette volte presidente del Consiglio dei Ministri, “c’entra perché dal novembre 1989 piano piano si sgretolano i vecchi equilibri con il crollo del muro di Berlino, e quindi gli assetti internazionali si modificano sotto influenza dell’Est e dell’Ovest”. Sono tempi dinamici e di colossali cambiamenti quelli di fine anni ’80 e inizio anni ’90. E il 1992 fu un “anno cruciale”, in cui ci fu la manifestazione della determinazione “di certe menti raffinatissime”, come ha ricordato Brizio Montinaro, le quali vollero dare “una svolta” al Paese, “cosa che poi effettivamente avvenne”.“C’è un moto continuo – ha aggiunto Stefania Limiti – che porta a rosicchiare e piano piano distruggere tutti i vecchi assetti. Questo richiede del tempo ed è un processo che trova la sua conclusione quando nel 1994 vince Forza Italia e si impone la Lega Nord e vengono di fatto spazzati via i vecchi partiti e quindi abbiamo nuovi soggetti e equilibri e interessi nello scenario politico”. Ecco quindi che la strage di Capaci rappresenta uno spartiacque. “Rompe quei vecchi equilibri e spazza via per sempre un uomo diventato un nemico mortale di Cosa Nostra ma qualcosa in più”. In questo senso la scrittrice ha raccontato di aver raccolto testimonianze dei colleghi di Falcone che le hanno suggerito l’immagine di un Falcone come “contenitore di informazioni potenzialmente esplosivo non solo per gli interessi di Cosa Nostra”. Questo perché “Falcone aveva compreso come funzionavano gli equilibri e il loro funzionamento fino a quel momento attraverso l’uso di strutture occulte dello Stato, organizzazioni paramilitari. E aveva cominciato ad avere un’idea del flusso di denaro che partiva da Cosa Nostra e passando per imprese finanziava chissà che cosa”, ha detto. “Falcone aveva cominciato a farsi idea di qualcosa che è estremamente complicato ricostruire e che purtroppo era rimasto nella sua testa”. “Lui era nemico di quei personaggi e di quelle strutture che avevano la storia della destabilizzazione in Italia”, ha commentato. “Con la sua morte – ha concluso sul punto la scrittrice – si apre una nuova fase che porterà purtroppo ancora lutti e porterà soprattutto un sistema politico nel quale le organizzazioni mafiose non hanno più bisogno di sparare perché vengono aperte loro le porte delle istituzioni”.
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Mafia non sconfitta
Alla luce di queste precise considerazioni c’è chi ancora oggi dice che Cosa Nostra è stata sconfitta. A queste persone ha voluto rispondere il direttore Bongiovanni. “A coloro che ancora oggi dicono che ‘la mafia non c’è più’ voglio ricordare che solo un paio di anni fa la ‘mafia’ aveva progettato un attentato stragista a Palermo, cercando il tritolo in Calabria, ai danni di un magistrato ancora oggi minacciato di morte: Nino Di Matteo”. “Un attentato – ha detto Bongiovanni – con il coinvolgimento quindi non solo di Cosa nostra, ma anche della ‘Ndrangheta. Un attentato neutralizzato”, ha detto il direttore ma ancora in corso. “La criminalità organizzata è ancora presente. Purtroppo, però, non si tratta più di sola mafia, bensì di mafia-Stato e va combattuta. Per questo dobbiamo stare vicini a tutti quei magistrati, alle forze dell’ordine e agli uomini delle istituzioni che sono Stato per combattere la mafia-Stato”. Parole forti che sono state riprese anche da Alfredo Morvillo. “Il pallino della partita ce l’hanno in mano amministratori e politici. Coloro che ci governano e troppo spesso sono venuti fuori dalle indagini concreti episodi di collegamento con le mafie”. “La nostra società deve essere in grado di ergere un muro invalicabile contro tutto ciò che anche alla lontana ha il sapore di mafia”, ha continuato Morvillo sul punto. “Ci sono personaggi che notoriamente hanno avuto rapporti con quegli ambienti che continuano a riscuotere consensi, fiducia e soprattutto continuano ad essere cercati anche nei momenti difficili perché hanno un ruolo importante”.
Intelligenza collettiva
A distanza di 29 anni dalla bomba di Capaci la parola d’ordine, dunque, è memoria. “Fare memoria è un grandissimo atto di civiltà”, ha detto l’attrice calabrese Annalisa Insardà intervenendo in diretta prima di presentare un suo monologo incentrato sulla parola “attesa”. La memoria è un atto di civiltà, è una carezza che lenisce sul dolore ma è anche strumento dalle potenzialità incredibili in grado, se esercitato con costanza e impegno, di ottenere risultati altrettanto incredibili come l’ottenimento di chiarezza su determinati avvenimenti. Questo concetto lo ha espresso molto bene Stefania Limiti. “Per capire il presente bisogna avere binari sui quali muoversi e i binari li dà la storia. Lungo quei binari si può capire meglio il presente”, ha detto la scrittrice.
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“In questi giorni si sta celebrando il processo sulla strage a Bologna del 2 agosto 1980, noi avevamo già le condanne di Fioravanti, Mambro e Ciavardini e solamente di recente è stata aggiunta quella di Cavallini in primo grado e si stanno processando i mandanti tra l’altro molti dei quali morti”, ha ricordato Stefania Limiti. Secondo la scrittrice si tratta di un processo esemplare dal valore fortemente simbolico perché è stato possibile grazie “all’associazione dei familiari delle vittime che ha svolto un lavoro così intelligente e capillare tanto da arrivare la digitalizzazione dei vecchi atti giudiziari e questo ha consentito di fare ricerche che altrimenti non sarebbero state possibili. E questo ha portato a nuovi elementi di accusa e che ora sono stati accolti in un dibattimento che si sta svolgendo”. Questa è l’importanza della partecipazione della società civili nell’accertamento di fatti tragici come attentati o delitti. Nel caso del processo di Bologna, ha continuato l’esperta, “lo sappiamo grazie al fatto che pezzi della società civile, associazioni, familiari, studiosi, giornalisti hanno svolto un lavoro di intelligenza collettiva”. “Questo è qualcosa che ci tocca in futuro. La consapevolezza delle verità e dei fatti sono la cosa più importante – ha aggiunto – perché anche la fredda verità giudiziaria rimane lì se non viene metabolizzata dal discorso pubblico. Da tutto questo dobbiamo avere la consapevolezza di quello che è accaduto nel nostro Paese”. Stefania Limiti ha quindi continuato “quello che è successo è dovuto a un intreccio perverso tra elementi dei sevizi segreti che agiscono nell’occulto, organizzazioni criminali che anche loro agiscono nell’occulto e pezzi di potere occulto che hanno una loro autolegittimazione ma non sono legittimi”. “Tutto ciò ha reso il quadro difficile da districare. Dunque – ha detto in diretta – rimbocchiamoci le maniche perché questo è un lavoro che va fatto da un’intelligenza collettiva, da un pezzo di società, se riusciamo a mettere i pezzi insieme è perché c’è questa spinta e perché c’è un pezzo di popolazione che vuole capire cosa accade intorno a sé e che non vuole vivere passivamente il suo status di cittadini”.
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Parola ai giovani e all’arte
E in questo senso un grande contributo lo possono dare i giovani e gli artisti, linfa della società futura. “Secondo noi è fondamentale l’impegno dei giovani e degli artisti e attivisti del nostro Paese”, ha detto Sonia Bongiovanni, leader del Movimento Our Voice intervenendo in studio. “Quello che cerchiamo di fare è continuare a combattere e portare avanti quella lotta avviata da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e quegli uomini e donne che hanno dimostrato di essere il nostro Stato. Io sento fortemente che noi giovani siamo i primi a non doverci fermare al 23 maggio e 19 luglio. L’impegno antimafia dobbiamo metterlo in pratica tutti i giorni, protestando per i nostri diritti faremo in modo che la mafia non ci sia più. Falcone e Borsellino credevano nelle giovani generazioni”, è stato il messaggio della giovane attrice. Le giovani generazioni, la società civile, giornalisti, professori fanno parte di quelle “anime bianche” di cui ha parlato l’altro attore presente nella webinar, Salvo Piparo, e che “dovrebbero ritrovarsi per fare unione”. “La strada è lunga e le contraddizioni sono tante”, ha aggiunto Piparo ricordando che maggio è il mese della “tunnina”, “il mese in cui il tonno si innamora e viene sotto costa e quindi vulnerabile. E si scatena la mattanza da parte dei pescatori. Ed è un po’ quello che succede agli eroi quando la Sicilia gli presenta il conto”, ha spiegato. Una mattanza che è sempre dietro l’angolo per gli “eroi” del nostro tempo. In questo senso il pensiero non può che andare verso il consigliere del Csm Nino Di Matteo, che Riina minacciò proprio di fargli “fare la fine del tonno” e che contro di lui permane, come ricordava Bongiovanni a inizio collegamento, un progetto di morte da parte di Cosa Nostra ordinato dal superlatitante Matteo Messina Denaro in persona. Ecco quindi che la memoria assume anche la forma di scorta civica e morale in difesa di personaggi come il magistrato Di Matteo e tanti altri che come Giovanni Falcone hanno sacrificato la propria libertà in nome della democrazia.
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