Toni Negri e Francesco Cossiga i due “cattomassoni” che lottavano contro la Costituzione e la Repubblica nate dalla Resistenza.
I padri della seconda Repubblica… che, alla prova dei fatti, è peggio della prima.
A.M.
DUETTO COL LATITANTE TONI NEGRI
di CONCITA DE GREGORIO
1 dicembre 1991
ROMA – Ora i “picconatori” dichiarati sono almeno due. Uno sta a Roma, siede al vertice dello Stato, è il presidente di questa Repubblica. L’ altro è a Parigi dall’ 83, per la giustizia italiana è un latitante, è il “cattivo maestro”, il leader del “sovversione violenta” degli anni di piombo. E’ sabato sera, ieri. Toni Negri parla a Cossiga in tv, Cossiga gli risponde. Dice il leader di Autonomia operaia: anche noi, caro presidente, “tentavamo di dare picconate al sistema”. Anche noi speravamo nella possibilità di creare una “continuità fra Prima e Seconda Repubblica”. Gli fa intendere, usando le stesse parole del capo dello Stato, che i reciproci propositi non erano poi così lontani: “Abbiamo anche ricordi comuni – insiste – negli anni ‘ 60 noi due discutevamo insieme di come cambiare l’ Italia”. Poi gli tende la mano: “Venga a trovarci a Parigi, presidente. Sono stato suo nemico, ora se volesse essermi amico ne sarei felice”. Cossiga risponde senza imbarazzo. Del resto ha già avuto gli apprezzamenti di Oreste Scalzone (“Cossiga è il vero erede dello spirito del ‘ 68”, ha detto l’ esponente di Autonomia rinviato a giudizio con Negri nel processo Moro ter). E il br Prospero Gallinari, giudizio con Negri nel processo Moro ter). E il br Prospero Gallinari, condannato per l’ assassinio di Aldo Moro, pochi giorni fa ha rifiutato di ripondere alla Commissione stragi con una lettera che riecheggia le critiche del capo dello Stato al lavoro dell’ organismo inquirente: anche “Gallinari entra nel partito del presidente?”, si è chiesto il quotidiano cattolico Avvenire. Cossiga ora si rivolge a Negri chiamandolo “professore”: lei, gli dice, ha il merito di aver avuto il “coraggio delle sue scelte”. Non usa certe “locuzioni liberal-democratiche” di chi, in Italia, cerca ancora di far vivere un passato “spazzato via dalla storia”. “Noi abbiamo comuni origini cattoliche, condividiamo la stagione in cui abbiamo sperato di poter rinnovare la società”. E’ una conversazione inedita e per nulla astiosa, questa tra l’ ex terrorista e il presidente. Entra nelle case degli italiani alle 22.30 su Rai due, dopo un film sull’ omicidio di Walter Tobagi. La trasmissione si chiama “Il coraggio di vivere”. Tema: il terrorismo. Tra gli ospiti ci sono la vedova del generale Giorgeri, venuta ad accusare lo Stato di non aver dato la scorta a suo marito, che pure dopo il primo attentato fallito l’ aveva chiesta. C’ è la vedova di Roberto Peci, il fratello del pentito Patrizio, ucciso mentre lei, Antonietta, era incinta di tre mesi: dieci anni dopo rifiuta di farsi inquadrare dalle telecamere, ha ancora paura. Da Parigi parlano Toni Negri e Andrea Morelli, autonomi, non pentiti (“sarebbe un’ abiezione morale”, dicono), latitanti. Dal Quirinale ecco Francesco Cossiga, all’ epoca dei fatti ministro dell’ Interno e poi presidente del Consiglio. Lo intervista Arrigo Petacco. In studio vanno in onda le immagini del processo delle Br a Roberto Peci, il suo gesto di incredulità e disperazione alla notizia della condanna a morte. Parla la vedova, subito dopo chiede la parola Cossiga. Il presidente torna sulla sua analisi del terrorismo, quella che già tanto ha fatto discutere nei giorni della sua richiesta di grazia per Curcio. Fu sovversivismo, ripete. Quei giovani avevano un disegno politico, non erano criminali comuni. Si lasciarono ingannare dai “cattivi maestri”, dall’ utopia marxista-leninista. “La sovversione ha avuto la stessa matrice dei regimi dell’ Est, e non mi meraviglierebbe che nelle Br ci fossero stati anche infiltrati dei servizi segreti di quei paesi”. I nostri, “i ragazzi come Barbone”, credettero in un’ illusione e, “di fronte a quegli esponenti del Pci che predicavano quest’ illusione e poi si alleavano con la Dc, si sentirono traditi”. Questa, conclude il presidente, è “l’ origine storica della sovversione attraverso il metodo terroristico nel nostro paese”. Sono i temi della lettera a Martelli per la grazia a Curcio. Da Parigi risponde Toni Negri: “L’ iniziativa per la grazia a Curcio mi è parsa una proposta ragionevole”. Tra i due non è proprio un faccia a faccia, ma per chi guarda la tv è come se lo fosse: l’ intervista al leader dell’ autonomia precede di due giorni quella a Cossiga, ma gli spezzoni sono montati in sequenza. Negri lancia il messaggio, Cossiga lo ascolta, e gli risponde. Dice Negri, pensando a quella lettera a Martelli: “Non mi sento un cattivo maestro, noi abbiamo sempre condannato le forme estreme della lotta armata, le uccisioni, le stragi. Noi tentavamo di dare picconate al sistema di potere esistente. Le cose sono andate come noi prevedevamo: la nostra generazione è stata distrutta insieme alla possibilità di passare senza traumi dalla Prima alla Seconda repubblica”. Poi, rivolto al presidente: “Saremmo lieti se venisse in Francia, a incontrare i 350 esiliati politici. Qui le leggi dell’ emergenza italiane sono considerate scandalose. Potremmo recuperare i ricordi comuni degli anni ‘ 60, quando si parlava insieme del rinnovamento del paese. Lei, presidente, è risalito alle sue origini, e ha sconfessato gli atteggiamenti degli anni ‘ 60 e ‘ 70. Siamo stati nemici, potremmo essere amici”. Cossiga non si irrita, prima precisa e poi concede qualcosa: “Io non rinnego niente, rivendico la mia parte nella lotta ai sovversivi. Rifarei quel che ho fatto, starei forse più attento a certe leggi, che per me dovevano essere transitorie, avevano carattere intimidatorio, è hanno invece ingenerato una mentalità diffusa, ancora presente anche in certi magistrati di sinistra…”. Si può voltare pagina, dunque, persino andare a Parigi? “Il perdono è un fatto individuale”, risponde: “Sul piano storico, però, dobbiamo liberarci dai fantasmi del passato: dobbiamo considerare un fenomeno politico quello che politico è stato”.