di Walter Montella
Molte persone, ogni volta che vedono in televisione, o leggono sui giornali, grafici di Borsa con algoritmi in salita o in discesa, rimangono come pietrificate perché non ne capiscono il senso ma, soprattutto, il significato, dato che i grafici vengono collegati a termini che mettono ansia e che vanno da Arms Index (indicatore di ampiezza del mercato -noto anche come Trin – che pone a confronto numeri e volumi dei titoli in aumento e in diminuzione) a Call (diritto di acquistare una quantità di titoli o un indice – a un prezzo fissato – entro una determinata scadenza), da Trading System (complesso di prefissate regole che generano segnali operativi) a Mesa (indicatore che anticipa i punti di svolta negli andamenti ciclici), da Prezzo di esercizio detto, anche, Strike price (prezzo unitario al quale viene esercitata una opzione chi esercita ritiro/consegna) a R-squared (indicatore che evidenzia la forza di una tendenza) ecc.
La borghesia, per confondere i propri piani di potere, ha inventato le Borse.
Diciamo, da subito, che la Borsa è per definizione un sistema speculativo (Treccani: “Che si riferisce alla -o che è proprio della- speculazione, intesa come ricerca di un notevole utile o profitto personale, talora senza eccessivi scrupoli”) dove le quotazioni subiscono un andamento derivato da una prerogativa “umorale” dei mercati e non per un effettivo valore della merce realmente prodotta.
Contrariamente al valore “convenzionale”, basato sulla “fiducia” che si era voluta attribuire, prima all’oro e, poi, alla carta-denaro, per le azioni in borsa il meccanismo è, decisamente, diverso. Ad esempio, se raddoppiasse la carta-denaro in circolazione si avrebbe, per effetto di leggi economiche quantitative, il raddoppio dei prezzi… per le azioni tutto ciò non avviene.
Esiste la capitalizzazione di borsa italiana (che è il valore di tutte le quotazioni) che corrisponde a circa 180 titoli il cui valore unitario è da moltiplicare sia con quello flottante (cioè libero di essere scambiato) che di proprietà (di appannaggio dello stretto gruppo di controllo di una “x” società).
Se si hanno 100 azioni da 10 euro ciascuna si ha un valore totale, per quella società, di 1000 euro.
Questo valore moltiplicato per tutte le aziende quotate in borsa da’ il totale.
Però, questo valore, cambia di giorno in giorno sia in positivo che in negativo.
Le azioni di borsa, nel medio periodo, subiscono un calo se i prezzi scendono e viceversa.
Se vediamo che l’indice di borsa è sceso (-) del 2% questo vuol dire che tutte le azioni sono scese dello stesso valore… il che si traduce con l’azione (che prima valeva 10) calata a 9,98.
Se moltiplichiamo, ora, tutte le azioni italiane (per stare nell’esempio) diremo che abbiamo “bruciato” miliardi di euro (dollari ecc.) perché la media delle stesse azioni è diminuita: ovverosia valgono di meno.
Perché?
Perché l’effetto “ricchezza” della collettività (consapevoli, però, che non tutti posseggono ricchezza in egual misura) potrebbe avere delle ricadute reali.
In che misura e come?
Supponendo di avere un risparmio di € 50.000 e di aver comprato un corrispettivo numero di azioni e, quel giorno, la borsa ha avuto un calo del 40% vuol dire che non avrò più quella cifra risparmiata ma, bensì, € 30.000 vedendo 20.000 € svaniti nel nulla (in realtà finiti nella tasca dei grandi manovratori della borsa – solitamente banche e/o capitalisti)… E sarò costretto a vendere (in realtà, svendere), per timore di perderne altre, il pacchetto azionario rimasto… facendo, così, un secondo regalo “ai soliti noti”.
A questo punto ci si trova ad essere più poveri di prima.
Qui gli economisti, più sprovveduti (per non dire disonesti e, decisamente, non marxisti), danno la colpa, di questi andamenti borsistici, agli investitori che hanno perso il 40% perché non hanno saputo diversificare i propri investimenti quando, in realtà, il trucco stava proprio lì a portata di naso.
Diceva, il professore tedesco Schulze-Gaevernitz, apologeta dell’imperialismo tedesco, che: “Ogni Banca è una Borsa“… ” Mentre un tempo, nel decennio 1870-1880, la Borsa, con le sue intemperanze giovanili [riferimento alla crisi borsistica del 1873, all’epoca degli scandali delle grandi speculazioni finanziarie, ecc.], iniziò l’industrializzazione della Germania, oggi invece banche e industria possono “camminare da sé”. Il dominio delle nostre grandi banche sulla Borsa… non è che l’espressione della completa organizzazione dello Stato industriale tedesco. Mentre così si riduce il campo delle leggi economiche, operanti automaticamente, e si amplia in modo straordinario quello della regolamentazione cosciente per opera delle banche, cresce a dismisura la responsabilità di poche teste dirigenti verso l’economia nazionale“.
Ed è per questo che Lenin dovette ne “La Rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky” del 1918 – precisare che: “La partecipazione al parlamento borghese (che nella democrazia borghese non decide mai le questioni più importanti, risolte invece dalla Borsa, dalle banche) è sbarrata alle masse lavoratrici da mille ostacoli, e gli operai sanno e sentono, vedono e intuiscono perfettamente che il parlamento borghese è un istituto a loro estraneo, un’arma di oppressione dei proletari da parte della borghesia, un’istituzione della classe nemica, della minoranza sfruttatrice.”
Il sorprendente è che le organizzazioni sindacali, CGIL compresa, spingano i lavoratori ad investire in Borsa i propri soldi accantonati TFR/TFA (salario differito) sapendo bene quale sia il funzionamento della stessa e, soprattutto, consapevoli che “rubano ai poveri per dare ricchi”.