di MOWA
«Uno può anche porsi l’impegno della bontà, ma se non ha l’obiettivo del bene comune sarà buono solo con se stesso o al massimo con i propri familiari e vicini. Bisogna far crescere e maturare il senso civile della collettività e dell’utilità comune. Non basta la bontà. Solo se ho maturato un corretto senso civico, capisco quanto sia utile, per me e per tutti, pagare le tasse. Solo se ho capito quanto denaro pubblico si sperpera con la corruzione, capirò che a rimetterci è tutta la collettività» (Don Andrea Gallo – Come un cane in chiesa: Il Vangelo respira solo nelle strade)
Si è spaccata, per l’ennesima volta, l’unità delle tre confederazioni sindacali, come già successe, il 12 dicembre 2014, quando la Cgil e la Uil scioperarono contro il Jobs act del governo di Matteo Renzi, mentre la Cisl, guidata allora da Annamaria Furlan, rompeva con Susanna Camusso e Carmelo Barbagallo. Una Cisl che, tradizionalmente, si è sempre distinta per un codismo di potere anche quando, apparentemente, nelle piazze gli si scagliava contro dimostrando, in realtà, una funzione storica di rottura dell’unità del mondo del lavoro che sembra proprio in linea con il programma della massoneria della P2. Infatti, il piano della P2 prevedeva negli obiettivi del punto 1 e 3:
«…i sindacati, sia confederali CISL e UIL, sia autonomi, nella ricerca di un punto di leva per ricondurli alla loro naturale funzione anche al prezzo di una scissione e successiva costituzione di una libera associazione dei lavoratori;
[…]
Per quanto concerne i sindacati la scelta prioritaria è fra la sollecitazione alla rottura, seguendo cioè le linee già esistenti dei gruppi minoritari della CISL e maggioritari dell’UIL, per poi agevolare la fusione con gli autonomi, acquisire con strumenti finanziari di pari entità i più disponibili fra gli attuali confederati allo scopo di rovesciare i rapporti di forza all’interno dell’attuale trimurti.»
Un piano P2 studiato nei minimi dettagli per evitare che gli oppressi di questo Paese (i lavoratori) possano realizzare un programma politico capace, finalmente, di sanare i vari disagi dovuti ai soprusi subiti da una classe sociale fortemente classista che oggi si adagia, bellamente, su diverse conquiste ottenute a danno degli ultimi e concretizzate grazie a ministri, parlamentari e… che vorrebbero addirittura portare a compimento un piano anticostituzionale, persino, con la proposta di candidatura a Presidente della Repubblica di un loro esponente.
Invece, il mondo dei lavoratori ha bisogno di un progetto unificante verso un avvenire più concreto, meno sofistico e non di un leaderismo divisivo.
Diventa, a questo punto, indispensabile comprendere che i lavoratori hanno già subito un duro contraccolpo alla loro compattezza (da parte di quella classe sociale élitaria) con l’eliminazione del soggetto politico (come lo era il P.C.I. da Gramsci a Berlinguer) che li rappresentava e lottava con loro e, quindi, sono stati privati di un’elaborazione capace di distinguere le pratiche politiche odierne disgreganti, per non dire inconcludenti, che, purtroppo, i lavoratori stanno subendo da trentanni a questa parte con l’avvento di quelle schiere, politico affaristiche e di quel vertice di potere emerso nella seconda e antidemocratica-maggioritaria Repubblica.
La sfrontatezza con cui oggi questa classe élitaria si presenta sui media o nelle istituzioni nel proporre politiche antipopolari non sarebbe stata possibile negli anni in cui esisteva il P.C.I. e, soprattutto, gli oppressi non sarebbero mai stati così frantumati al loro interno e su posizioni lontane dai bisogni di un reale sviluppo sociale e culturale di cui l’Italia avrebbe necessità, per questo sarebbe auspicabile la ricostituzione di quella forza-partito dalla parte degli ultimi.