Giorgio Bongiovanni
A 38 anni dalla sua uccisione, commemoriamo un uomo libero, un romantico guerriero, un “profeta” armato di penna e arte
“I mafiosi sono in ben altri luoghi e in ben altre assemblee. I mafiosi stanno in Parlamento, i mafiosi a volte sono ministri, i mafiosi sono banchieri, i mafiosi sono quelli che in questo momento sono ai vertici della nazione”.
Mai come in questo momento, le parole profetiche di Pippo Fava, rilasciate in un’intervista condotta da un altro grande giornalista come Enzo Biagi (che riproponiamo nel nostro giornale in due parti), si sono vestite di così tanta concretezza. Riteniamo che non vi sia modo migliore di commemorare il 38° anniversario dell’omicidio del giornalista catanese, assassinato da Cosa nostra nella provincia ai piedi dell’Etna il 5 gennaio 1984, se non riproponendo tali affermazioni.
Pippo Fava faceva riferimento ad un “equivoco di fondo”, ovvero che “non si può definire mafioso il piccolo delinquente che arriva e ti impone la taglia sulla tua piccola attività commerciale”. “Questa – diceva – è roba da piccola criminalità che credo faccia parte ormai, abiti in tutte le città italiane, in tutte le città europee. Il problema della mafia è molto più tragico e più importante, è un problema di vertice della gestione della nazione ed è un problema che rischia di portare alla rovina, al decadimento culturale definitivo l’Italia”.
A distanza di quasi quarant’anni dalla sua uccisione, non possiamo che fare nostre le sue parole e testimoniare come e quanto siano state puntuali nell’indicare in Cosa Nostra un potere che va molto al di là di quello che la solita propaganda vuole far credere all’opinione pubblica.
Cosa Nostra era ed è tuttora un comodo braccio armato e un braccio economico di una parte dello Stato che con la mafia, con le mafie ha scelto di convivere.
Ma tutto ciò assume una valenza maggiore alla luce degli ultimi avvenimenti: le nuove indagini a Firenze sui madanti esterni delle stragi di Via d’Amelio e di Capaci; l’esito di primo grado del processo ‘Ndrangheta stragista; piuttosto che quello sulla Trattativa Stato-mafia (del quale attendiamo ancora le motivazioni della sentenza – parzialmente assolutoria – della Corte d’Assise d’appello di Palermo); per non parlare dei processi in corso come quello del duplice omicidio Agostino. Ma la parole di Pippo Fava risultano profetiche anche se allargate all’attuale Parlamento: basti pensare alle indagini su corruzione, concussione e peculato (tipici delitti della pubblica amministrazione e dei colletti bianchi) ostacolate dalla nuova riforma della Giustizia firmata dalla Ministra Marta Cartabia; piuttosto che alla possibilità (anche solo apparente) che si prospetti come futuro capo dello Stato Silvio Berlusconi: un pregiudicato per frode fiscale, nonché ex premier che da imprenditore pagava mazzette a Cosa nostra ed attualmente indagato a Firenze come mandante occulto delle stragi di mafia del 1993.
Ecco, dinnanzi a questo scenario – che rischia di soffocare sempre più il respiro democratico della nostra Repubblica – il quadro descritto al tempo dal direttore de I Siciliani si palesa in tutta la sua fatalità in quanto oggi, come ieri e più di ieri, viviamo ciò che Fava denunciava: la mafia è in Parlamento, nelle banche e nei vertici della nazione.