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statua di Lenin a Donetsk
L’ambasciatore Sergio Romano, saggista, scrittore, giornalista, che è stato rappresentante permanente della Nato e ambasciatore d’Italia in Russia negli anni cruciali che vanno dal 1985 al 1989, noto studioso della realtà prima sovietica e poi russa di quel pezzo di mondo e di storia, intervistato dal direttore del manifesto Tommaso Di Francesco. L’occasione, un suo libro dal titolo più che significativo, «Il suicidio dell’Urss», e sull’attualità, una considerazione chiave: «L’Ucraina deve essere un Paese neutrale»
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La Russia parte dell’Europa
«La Russia è parte dell’Europa e della sua storia, non ho mai avuto dubbi in proposito. Mi sono scontrato con molte persone che non lo credevano, ma ogni volta ho constatato che se non lo credevano avevano una ragione che in fondo era una convenienza a dirlo: perché secondo loro, diplomatici e storici, la Russia rappresenta un ostacolo, una difficoltà che limita il loro Paese…Non ho mai creduto a questo scetticismo verso la Russia».
Da questa premessa una attenta analisi della tappe e delle ragioni meno evidenti del suicidio dell’allora Unione sovietica. Noi cui limitiamo alla confusa ma minacciosa attualità delle crisi Ucraina. Per voi la possibilità di leggere l’intera intervista (https://ilmanifesto.it/lurss-non-ce-piu-basta-ricerca-continua-del-nemico/).
Dal Patto di Varsavia alla Nato
Il Patto di Varsavia si scioglie nel ’91 e si riunifica la Germania. E accade che tutti i paesi dell’est che facevano parte del patto di Varsavia dal 2004 concretamente sono tutti quanti entrati nella Nato, la premessa di Tommaso Di Francesco.
«Sì. Io ho una rubrica sul Corriere della Sera – quella più recente, di domenica scorsa, ha un titolo significativo: ‘I Paesi satellite dell’Europa dell’Est che preferiscono la Nato alla Ue’. È un tentativo di spiegare come questi Paesi che avevano fatto parte del mondo sovietico e che erano stati in qualche modo alleati dell’Urss, siano tutti finiti prima o dopo nella Nato. In realtà erano i satelliti dell’Unione sovietica. Ed erano dei satelliti nell’Europa orientale in cui il rapporto con la Russia è sempre stato un rapporto dialettico. Perché non potevano non riconoscerne l’importanza e al tempo stesso non potevano nemmeno amarla troppo. Questa confusione a un certo punto era presente anche durante la guerra fredda. Erano in quel campo, non potevano certamente prescindere dall’esistenza dell’Urss, cioè di un Paese padrone, in certo senso. A un certo punto ne sono diventati alleati. Sono paesi che hanno una sovranità debole, un patriottismo forte e una sovranità debole. Sembrano due contraddizioni ma non è vero. I polacchi, un po’ meno i cechi, ma certamente gli ungheresi, hanno personaggi molto nazionalisti ma al tempo stesso hanno sempre avuto bisogno di una casa madre in cui trovare una collocazione, la più dignitosa possibile, ma in cui il riconoscimento dell’esistenza della casa madre era inevitabile. Ebbene questi sono passati dall’Unione sovietica agli Stati uniti…»
Dopo l’Unione sovietica, Usa e Nato
«Sì, proprio così, armi e bagagli. Sono lì non perché la Nato debba difenderli… Per carità, la Nato non difende nessuno. No, sono lì perché è una grande casa politica che conferisce dignità, conferisce autorevolezza soprattutto nei confronti degli stati associati e dei propri governati. E loro ne avevano bisogno. L’hanno trovata nell’Unione sovietica per parecchi anni e poi finita l’Unione sovietica l’hanno trovata a Washington».
L’Ue senza politica estera
«Bisogna riconoscere che una delle fondamentali ragioni per cui l’Unione europea non ha una politica estera è che i nuovi arrivati dell’Est Europa non hanno tentato di farla, perché si considerano più legati alla Nato e al ruolo direttivo degli Stati uniti che all’Unione europea».
L’Ucraina neutrale, se non fosse per gli Stati Uniti
«Io ho cercato di dirlo fin dall’inizio, che la collocazione che intravedevo come desiderabile per l’Ucraina era quella della neutralità, il Paese doveva diventare neutrale. C’erano anche ottime ragioni perché l’Unione europea si esprimesse in questi termini, però devo confessare che non avevo fatto in conti con gli Stati uniti. Non avevo fatto i conti con il fatto che gli Stati uniti hanno bisogno di un nemico. Hanno bisogno di un grande nemico perché il nemico giustifica la loro politica, la loro politica delle armi, la loro industria delle armi. Quelle grandi industrie militari della California che cosa farebbero se non ci fosse un nemico?».
La neutralità come forte valore politico
«Sono un po’ sorpreso che la Germania non si sia esposta più esplicitamente per la neutralità. Mi pare che sia stato detto, mi pare che certi atteggiamenti ci siamo stati… ma non con quella fermezza che sarebbe sembrata la più logica delle politiche. L’Ucraina deve essere un paese neutrale, non può essere altro che un paese neutrale e potrebbe trovare in questa veste anche la possibilità di un ruolo politico rispettabilissimo e molto utile per l’insieme dell’Europa. Qualche volta ho l’impressione che anche persone che considererei sagge non si siano sufficientemente schierate sul fronte della neutralità. Sono un po’ deluso, perché a me sembrava così logico che il Paese dovesse essere neutrale, che sarebbe stato rispettato sia da un blocco che dall’altro».
«Allora se davvero si continua a volere considerare la Russia un potenziale nemico, perché si ritiene che di questo abbia bisogno il “mio Paese”, ecco che a questo punto si ha bisogno di una crisi permanente». L’Ucraina come crisi permanente.
9 Febbraio 2022