di MOWA
«Il linguaggio politico è concepito in modo che le menzogne suonino sincere e l’omicidio rispettabile, e per dare una parvenza di solidità all’aria.» (George Orwell)
Anche il “fango” monta come la panna e qualcuno sostiene che è pure buono e salutare, anche, da ingerire.
Un sistema, quello di “fangopoli”, creato ad arte sia contro chi svolge, onestamente, il proprio dovere come giornalisti e magistrati, che contro cittadini qualsiasi che si adoperano per il bene pubblico… e lo fa con precisione chirurgica, rimanendo impermeabile anche alle smentite. La melma rimestata, purtroppo, arriva a destinazione, a carico del malcapitato designato e blocca l’inchiesta, l’indagine… che, invece, se lasciata, proseguire, potrebbe far emergere una verità che sbugiarderebbe l’infangatore.
Quella degli infangatori è una dinamica autoconservativa ed utilizza un “apparato occulto” di supporto che si alimenta con mirate tecniche che vanno dallo scambio di favori al vil denaro, dalla ricattabilità personale, professionale alla debolezza psicologica o all’ignoranza.
La cosa disgustosa e riprovevole del sistema di “fangopoli” è che causa danni irreparabili pagati, a volte, con la vita (come successo a giornalisti, magistrati, politici…). Colui che ne fa parte inoltre, fa lo gnorri, l’estraneo a quanto avvenuto, quello che, come cadendo dalle nuvole, non sa mai nulla, guardate, come esempio, cosa successe con Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Pio La Torre, Giuseppe Fava… e la lista potrebbe continuare all’infinito, spesso, inoltre, gli infangatori cambiano direzione come il vento e, in alcuni casi, salgono, addirittura, sulle barricate a difesa degli infangati.
Una dinamica, quella infangatoria, molto efficace contro chi svolgeva (svolge) il proprio lavoro con onestà professionale e intellettuale perché veniva (viene) aiutata da una schiera interminabile di agenzie stampa o quotidiani molto legati (o, addirittura, di proprietà ) a chi faceva del malaffare un affare. Una cosa non nuova sotto il sole, infatti si devono ricordare le inchieste e le indagini sulla loggia massonica P2 che aveva uomini sguinzagliati ovunque che hanno provocato danni irreparabili alla democrazia (non solo italiana) come rispolvera il mensile “Millennium” (n. 53/2022) che, parlando del Sudamerica, scrive:
«Il Venerabile [Licio Gelli ndr] controllava anche il Giornale d’Italia, foglio distribuito all’epoca nella enorme colonia italiana in Brasile. Per il gran maestro della P2 i periodici erano un vero pallino… »
E, ancora:
«…Nel primo, ancora governato all’epoca del generale Alfredo Stroessner, Gelli possedeva diverse migliaia di ettati di terre; i servizi brasiliani evidenziano come in Paraguay si fossero rifugiati i latitanti di Ordine Nuovo Clemente Graziani ed Elio Massagrande. Sulla Colombia la situazione era ancora più complessa e pericolosa: “L’azione dei sub-gruppi della P2 in questo Paese – si legge nella nota – non sono molto note. Tuttavia risulta che questo Paese sia la connessione sudamericana dell’esperienza pilota che il gruppo esegue in relazione al traffico di droga, legata al Paraguay”.»
L’infangamento atto a distruggere la credibilità non si limita a coinvolgere singole persone, ma è rivolto contro apparati, Enti pubblici, fino a toccare Stati interi.
Coloro che rimestano nel fango servono ad alimentare tale pratica come ben descritto nel libro di Ferruccio Pinotti, “Potere massonico” (da pag. 553):
«A voler sovvertire i vertici dell’Eni erano in pratica pezzi della sciolta P2, proprio nella stessa fase in cui veniva nominato a capo del governo uno dei suoi iscritti, Silvio Berlusconi. Alcune di queste figure riemergeranno quasi vent’anni più tardi, nell’ambito dell’inchiesta sulla P4. Tutto l’entourage che circondava l’Eni era formato storicamente da massoni e piduisti: Ortolani, mente finanziaria della loggia segreta; Mazzanti, che cercherà riparo nel gruppo massonico gelliano per tentare di salvare la propria carriera. A parte Albanese e Di Donna, di cui si è già detto erano piduisti anche i ministri, i politici, i diplomatici, gli agenti segreti, i funzionari statali e i faccendieri che dispensarono consigli e rilasciarono autorizzazioni perché l’affare Eni-Petromin andasse in porto. Tra questi, anche un parlamentare già affermato come Emo Danesi e un brillante ragazzo di bottega, il giovane cronista Luigi Bisignani, il cui nome riaffiorerà nelle inchieste della P3 e P4, moderni surrogati della P2. Bisignani era l’assistente di un altro piduista, il ministro del Commercio estero Gaetano Stammati. Danesi, invece, era il responsabile della segreteria politica del doroteo Antonio Bisaglia, ministro delle partecipazioni statali.»
Nel libro viene, anche, riportata un’intervista a Luigi Bisignani che fa dichiarazioni che sembrano far fare parziali avanzamenti alla verità sulle logge massoniche ma che sono, in realtà, un arretramento rispetto alla dimensione di quel mondo e negano, ancor oggi, le ricostruzioni investigative-giudiziarie:
«Nel corso del tempo alla P2 è stata attribuita la responsabilità di qualsiasi nefandezza, comprese le stragi come quella di Bologna. Ma la P2 è stata soprattutto la loggia dove convergevano – con il consenso dei grandi maestri del Grande oriente d’Italia che si sono succeduti – gli interessi relativi ai grandi affari, all’amministrazione dello Stato e alle alte cariche militari.»
Infatti, tra gli iscritti alla Loggia massonica P2 figurarono anche: i generali dell’Arma dei carabinieri Vito Miceli, Giovambattista Palumbo, Pietro Musumeci, Giuseppe Siracusano, Giovanni Allavena, Franco Picchioni e Giulio Grassini; i colonnelli Antonio Labruna e Manlio Del Gaudio; il generale dell’esercito Giuseppe Santovito; i magistrati Giuseppe Croce e Giovanni Palaia, (membri del CSM); il prefetto Walter Pelosi, i giornalisti Maurizio Costanzo, Franco Di Bella, (direttore del Corriere della Sera), Roberto Gervaso, Gustavo Selva e Paolo Mosca (già direttore della Domenica del Corriere); i politici Angelo De Carolis, Mario Tedeschi ed Enrico Manca; l’editore Angelo Rizzoli; gli imprenditori Pierluigi Accornero, Mario Lebole e Silvio Berlusconi. [1]
Si capisce bene, ora, come con cotanta manovalanza sia stato (è) possibile costruire il sistema di “fangopoli” che ha mietuto (e miete) vittime innocenti a 360° in tutte le parti del mondo, che ha prodotto politici, partiti e parlamentari… non in grado di dare un futuro degno di tale nome alle nuove generazioni ma solo una individualistica povertà non solo materiale ma anche intellettuale.
Ecco, il motivo dominante per cui è necessario (per non dire prioritario), se non si vogliono subire altre frustrazioni, portare a compimento ciò che diceva Antonio Gramsci sull’Ordine Nuovo il giorno 1 aprile 1925:
«Siamo una organizzazione di lotte, e nelle nostre file si studia per accrescere, per affinare le capacità di lotta dei singoli e di tutta l’organizzazione, per comprendere meglio quali sono le posizioni del nemico e le nostre, per poter meglio adeguare ad esse la nostra azione di ogni giorno. Studio e cultura non sono per noi altro che coscienza teorica dei nostri fini immediati e supremi, e del modo come potremo riuscire a tradurli in atto.
Fino a qual punto questa coscienza oggi esiste nel nostro partito, è diffuso nelle sue file, è penetrata nei compagni che ricoprono funzioni di direzione e nei semplici militanti che devono portare quotidianamente a contatto con le masse le parole del partito, rendere efficaci i suoi ordini, realizzare le sue direttive? Non ancora, crediamo noi, nella misura necessaria a renderci adatti a compiere in pieno il nostro lavoro di guida del proletariato. La scuola di partito deve proporsi di colmare il vuoto che esiste tra quello che dovrebbe essere e quello che è. Essa è quindi strettamente collegata con un movimento di forze, che noi abbiamo diritto di considerare come le migliori che la classe operaia italiana ha espresso dal suo seno. È l’avanguardia del proletariato, la quale forma e istruisce i suoi quadri, che aggiunge un’arma – la sua coscienza teorica e la dottrina rivoluzionaria – a quelle con le quali essa si appresta ad affrontare i suoi nemici o le sue battaglie. Senza quest’arma il partito non esiste, e senza partito nessuna vittoria è possibile.»
Senza riprendersi quella coscienza politica e ritornare ad essere parte di una forza veramente democratica e cioè, per dirla sempre con Gramsci, senza una «prima fase per una ulteriore e progressiva autocoscienza dove teoria e pratica finalmente si uniscano», con «uno strato di persone specializzate nell’elaborazione concettuale e filosofica» diventa sterile ogni cosa e si dovrà digerire, purtroppo, altro “fango”.
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