Giorgio Bongiovanni
La denuncia di Piera Aiello: ”Sono a conoscenza di cose pesanti contro testimoni di giustizia e pentiti”
“Dopo la strage di Capaci vidi Riina. Aveva una faccia, un’espressione, di grande soddisfazione e mi disse che ‘si erano fatti sotto’, senza specificare chi, e mi disse, indicandolo con le mani, che gli aveva ‘consegnato un papello tanto’ con tutta una serie di richieste per migliorare la nostra condizione”. Da qualche tempo vengono a mente le parole di Giovanni Brusca, uno dei più importanti collaboratori di giustizia che ci ha raccontato alcuni aspetti di quella trattativa intercorsa tra mafia e Stato negli anni delle stragi. Un dialogo che ad anni di distanza sta portando sempre più frutti. Basta ricordare gli obiettivi principali di quel “papello”. Il 41 bis è ormai un colabrodo con capimafia che continuano a gestire e comandare dal carcere, nonostante le restrizioni. L’ergastolo ostativo è una misura in via di ridefinizione dopo la scure della Cedu e della Corte Costituzionale, con quest’ultima che ha dato un anno di tempo al Parlamento per intervenire ed evitare il disfacimento della normativa antimafia.
C’è poi la richiesta, sempre nei primi punti, di una riforma della legge sui cosiddetti pentiti.
Nel 2001 ci fu il primo intervento imponendo a quei boss che decidono di “cambiare il lato del campo” di raccontare tutto quello che sanno entro sei mesi.
Pian piano, però, la normativa ha subito altri durissimi colpi.
Oggi, su La Repubblica, abbiamo letto la denuncia della deputata del gruppo Misto Piera Aiello, anch’essa testimone di giustizia, che oggi denuncerà alla Commissione centrale di protezione ciò che ha scoperto dopo aver audito 60 persone come Presidente del sottocomitato della commissione parlamentare Antimafia che si occupa di collaboratori e testimoni di giustizia: rispetto al programma di protezione ci sono gravi anomalie.
“Sono a conoscenza di cose pesanti contro i testimoni e contro i collaboratori, chi li protegge dovrebbe applicare la legge e invece non lo fa, hanno scritto le circolari, ma poi non le mettono in pratica… ma io non mi fermo, andrò fino in Europa” ha detto alla collega Liliana Milella. Ed ha anche affermato di volersi riservare di rivolgersi a una procura della Repubblica.
La situazione è grave perché dalle audizioni, per la maggior parte secretate, evidenzierebbero soprusi, violazioni del diritto allo studio a quella della salute, casi di identità segrete rivelate, per non parlare di vere e proprie minacce ai genitori sulla privazione della patria potestà.
Tutto ciò avviene mentre dal Servizio di protezione (il direttore Nicola Zupo è stato sentito in Commissione antimafia lo scorso 20 gennaio) minimizzerebbero o addirittura negherebbero alcune problematiche (“molte notizie non sono vere”, pur dichiarando che “se ci sono lagnanze o problemi da risolvere siamo pronti a fare chiarezza su tutto, perché questo è il nostro interesse principale” promettendo di accertare “con la massima severità e trasparenza” eventuali violazioni.
Certo è che la situazione per i “pentiti” è inquietante.
Lo scorso anno il procuratore aggiunto di Firenze Luca Tescaroli aveva evidenziato alcune problematiche come il rischio che intercorrono i collaboratori di giustizia nel momento in cui, quando vengono attribuite nuove generalità, al contempo vengono trasferite le risultanze del casellario giudiziario e del centro elaborazione dati, istituito presso il Ministero dell’Interno. “L’effetto – sosteneva il magistrato – è quello di ostacolare le ricerche di lavoro dei collaboratori e di esporli, in caso di ordinari controlli di polizia, ad accertamenti rivelatori della loro precedente identità”.
E questo è solo uno dei tanti esempi.
Tenuto conto dell’apporto fondamentale che i collaboratori di giustizia hanno dato per svelare fatti e misfatti del potere mafioso criminale, ma anche su quei rapporti con ambienti della politica, dell’imprenditoria, dell’economia, della finanza, delle massonerie deviate e con apparati deviati dello Stato, è evidente il perché si voglia “svilire” questo straordinario strumento di lotta al sistema criminale.
Anche per impedire future collaborazioni con la giustizia che, potenzialmente, potrebbero anche essere decisive nella ricerca della verità su stragi e delitti eccellenti.
Eppure nell’anno in cui ricorrono i trent’anni dalle morti di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, questo istituto sembra essere davvero finito al centro del mirino.
E’ in corso un gioco al ribasso che nei fatti ricalca proprio i desiderata dei boss, scritti in quel “papello” di Totò Riina.
Il ridimensionamento passa anche attraverso delegittimazioni e vessazioni.
Come potranno scegliere di collaborare con la giustizia boss come Giuseppe o Filippo Graviano, o altri boss vicini ai vari Riina, Provenzano o Matteo Messina Denaro (l’ultimo latitante depositario di segreti indicibili) se non vi è una vera protezione e non vengono garantiti determinati diritti?
Mentre le mafie continuano a guadagnare miliardi, in particolare grazie al traffico di stupefacenti di cui la ‘Ndrangheta detiene il monopolio, il contrasto alla criminalità organizzata sta arretrando in maniera pericolosa.
Nessun governo ha mai messo la lotta alla mafia ai primi punti. Quello attuale, che vede larghissime intese, che vede sedere allo stesso tavolo un partito (Forza Italia) fondato da un uomo della mafia (Marcello Dell’Utri, già condannato per concorso esterno in associazione mafiosa) e da uno che la mafia la pagava (Silvio Berlusconi, così come dicono le sentenze); e quei Cinque Stelle che hanno tradito il patto che avevano fatto con gli italiani, stanno facendo addirittura peggio.
Perché tra riforma della giustizia e la nuova norma sull’ergastolo ostativo il rischio è che anche le collaborazioni con la giustizia verranno meno.
Lo aveva spiegato in maniera chiara il consigliere togato del Csm Nino Di Matteo, sentito lo scorso novembre in Commissione giustizia alla Camera: la “sostanziale abolizione dell’Ergastolo ostativo avrà un effetto deflattivo sulle collaborazioni di livello con la giustizia degli uomini di onore” perché di fatto “è venuta meno la differenza di trattamento tra irriducibili stragisti e chi collabora con la giustizia”. Un fatto che “sempre meno indurrà potenziali collaboratori di giustizia ad intraprendere il percorso. Per cui credo che sia a livello quantitativo che qualitativo avremo una sofferenza del fenomeno delle collaborazioni con la giustizia”. I sistemi di potere criminale ai quali aderiscono istituzioni deviate dello Stato (lo Stato-mafia) sanno perfettamente che una delle armi più importanti per abbattere la mafia, ed il potere ad essa alleato, sono proprio i collaboratori di giustizia. Senza di loro non avremmo mai saputo dell’esistenza di Cosa nostra o di tutte le altre organizzazioni criminali. Ma soprattutto nulla avremmo saputo sui loro collegamenti. Per questo vogliono cancellare l’istituto della collaborazione con la giustizia voluto da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Me lo disse personalmente un ex membro della Cupola di Cosa nostra, Salvatore Cancemi (deceduto nel 2011).
Con questi presupposti i sacrifici di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e di tutti i martiri non solo sarebbero vani, ma verrebbero calpestati.
Una sconfitta per tutti con lo Stato-mafia pronto a gioire.