Fabrizio Verde
Le sanzioni imposte contro la Russia dovevano – secondo i dirigenti politici statunitensi ed europei – piegare e mettere in ginocchio il paese eurasiatico in pochi mesi. I fatti però hanno la testa dura e così vediamo che in realtà la situazione è ben diversa.
Un’Europa piegata agli interessi statunitensi e senza alcuna visione si è avviata sulla strada della de-industrializzazione a tutto vantaggio dell’”alleato” oltreoceano.
Diverse aziende europee hanno infatti annunciato negli ultimi mesi una significativa decrescita o addirittura una riduzione della loro produzione nel continente. Il motivo sono i prezzi dell’energia divenuti insostenibili che rendono non redditizia la produzione. Alcune aziende, invece, amplieranno la produzione negli Stati Uniti e, probabilmente, vi trasferiranno gradualmente tutte le loro attività.
Come spiegato dal Wall Street Journal il grande vincitore della crisi energetica in Europa ha un nome e cognome: economia statunitense.
Colpite dall’impennata dei prezzi del gas, le aziende europee che producono acciaio, fertilizzanti e altre materie prime dell’attività economica stanno spostando le loro attività negli Stati Uniti, attratte da prezzi dell’energia più stabili e da un sostegno governativo sostanzioso.
Mentre le oscillazioni selvagge dei prezzi dell’energia e i persistenti problemi della catena di approvvigionamento minacciano l’Europa con quella che, secondo alcuni economisti, potrebbe essere una nuova era di de-industrializzazione, Washington ha invece avanzato una serie di incentivi per la produzione e l’energia verde. Il risultato è facilmente intuibile: come spiegano i dirigenti d’azienda, in particolare chi è impegnato su progetti per la produzione di prodotti chimici, batterie e altri prodotti ad alta intensità energetica è inevitabilmente attratto dagli Stati Uniti.
“È un gioco da ragazzi andare a fare questo negli Stati Uniti”, ha dichiarato Ahmed El-Hoshy, amministratore delegato dell’azienda chimica OCI NV con sede ad Amsterdam, che questo mese ha annunciato l’espansione di un impianto di ammoniaca in Texas.
Energia alle stelle
A causa dell’impennata dei prezzi dell’energia causata principalmente dalle folli sanzioni alla Russia, negli ultimi mesi l’Unione Europea ha visto calare di circa il 10% la sua produzione di acciaio. La produzione di fertilizzanti, che dipendono maggiormente dal gas naturale come materia prima, si è dimezzata. Problemi sono emersi anche in altri settori: metallurgia non ferrosa, industria chimica, produzione del vetro e così via. Quasi ovunque, l’energia è una componente di costo importante. Ad esempio, in Germania nella metallurgia è del 26%, nell’industria chimica il 19%, nella produzione del vetro del 18%, nell’industria dei materiali da costruzione siamo al15%. Di conseguenza, con un aumento delle tariffe energetiche, il costo di produzione può crescere di decine di punti percentuali o addirittura oltre.
Sul rischio di de-industrializzazione aveva lanciato un chiaro monito il Ceo del colosso chimico Basf.
Intervistato dal quotidiano Frankfurter Allgemeine Zeitung contrapponeva alla retorica bellicista di USA, NATO e megafoni del mainstream, la dura realtà: “Mettendo la questione in termini brutali, un eventuale stop alle forniture di Mosca trascinerebbe l’economia tedesca nella peggior crisi dal secondo dopoguerra e distruggerebbe la nostra prosperità. Soprattutto per molte piccole e medie aziende, questo potrebbe rappresentare la fine, Non possiamo prendere un rischio simile!”.
E come abbiamo visto, non è solo l’economia tedesca a sprofondare in una crisi nera.
Energia a basso costo: un privilegio perduto
L’Europa ha potuto godere per decenni di energia a basso costo da cui ha ricavato un oggettivo vantaggio. Eppure su ordine di Washington i vari quisling a capo dei governi europei hanno deciso di rinunciare all’energia proveniente dalla Russia nonostante gli obiettivi vantaggi provenienti dal ricevere risorse naturali a prezzo più che competitivo.
Quando l’Unione Europea ha stabilito accordi economici dapprima con la vecchia Unione Sovietica, e poi con la Russia, ha potuto beneficiare di un gas molto più economico rispetto ai produttori d’oltremare, e ancor di più all’altra estremità dell’Eurasia. La superiorità energetica dell’Europa si è espressa anche nel fatto che durante gli anni 1990-2000, il petrolio Brent del Mare del Nord era più economico del WTI nordamericano, offrendo ulteriori vantaggi all’industria dell’UE. Gli europei non hanno avuto idea di cosa fosse un “blackout” per decenni, mentre la rete elettrica statunitense piuttosto arcaica e frammentata li subiva regolarmente.
Dunque gli Stati Uniti sono entrati in una fase di de-industrializzazione, mentre i paesi europei sono riusciti a sviluppare ulteriormente la loro industria. L’Asia è invece riuscita a crescere molto grazie a una manodopera decisamente più economica.
Alla fine degli anni 2000, la situazione ha iniziato a mutare decisamente. Grazie alla “rivoluzione dello shale”, gli Stati Uniti hanno ottenuto prima gas a buon mercato e poi il petrolio. Nella prima metà dell’ultimo decennio, gli statunitensi vantavano già un’energia più economica rispetto ai paesi dall’altra parte dell’Atlantico.
Per poi giungere all’attuale situazione dove gli europei hanno deciso di fare harakiri.
Quale impatto?
L’Unione Europea intanto continua ad approvare nuovi pacchetti di sanzioni e contestuali aiuti economici e bellici al regime di Kiev, svenandosi a livello finanziario e svuotando i propri arsenali.
Il risultato è che la Russia è il paese maggiormente sanzionato al mondo, mentre l’Unione Europea è sull’orlo del collasso. Le sanzioni che dovevano distruggere la Russia potrebbero finire per disintegrare l’Unione Europea che le ha adottate su ‘invito’ USA.
In ultima analisi possiamo affermare che Biden ha chiesto all’Europa di suicidarsi, mentre gli Stati Uniti hanno messo al sicuro il proprio sistema industriale.
Adesso la domanda è: in una fase storica dove abbiamo un nuovo ordine multipolare in piena ascesa, ci sarà qualcuno in Europa capace di staccarsi dall’unipolarismo statunitense, per agganciarsi al treno eurasiatico in corsa?
Forse il recente viaggio del Cancelliere tedesco Scholz in Cina potrebbe fornirci qualche indizio. Quale strada sceglierà la Germania e con essa l’Europa?