Luca Grossi
L’ultimo libro di Stefano Baudino racconta le intrigate vicende giudiziarie dell’ex agente del Sisde
“Chiesi a Giovanni Falcone chi fossero le ‘menti intelligentissime e raffinatissime’ che avevano guidato la mafia e a cui lui aveva fatto riferimento dopo il fallito attentato dell’Addaura. Fui molto insistente di fronte allo stato d’animo suo. Aveva la consapevolezza che per lui era iniziato un conto alla rovescia. Lo incalzai su quel nome, o su uno di quei nomi, o su più nomi. E lui me lo fece. Il nome era quello del Dott. Bruno Contrada“. Era stata questa la rivelazione del giornalista e scrittore Saverio Lodato, intervenuto su La7 nello speciale di Atlantide, condotto da Andrea Purgatori, dedicato alla memoria del giudice ucciso a Capaci il 23 maggio 1992.
Ad oggi si può affermare che non vi sono dubbi sull’operato dell’ex 007. La Cassazione, infatti, aveva confermato nel maggio 2007 la sentenza di primo grado scrivendo che Contrada era stata una “persona disponibile nei confronti di Cosa Nostra”, responsabile di “specifiche condotte di favoritismo” verso i mafiosi e di “condotte di interferenza in indagini giudiziarie riguardanti fatti di mafia al fine di deviarne il corso”.
E tuttavia ora lo Stato Italiano dovrà comunque risarcirlo – con oltre 200 mila euro – dopo la recente decisone della corte d’Appello di Palermo.
Ma i fatti restano: il 25 giugno 2022 la Cassazione aveva accolto il ricorso dell’avvocato Stefano Giordano annullando con rinvio l’ordinanza del gennaio 2022 con la quale la Corte di appello di Palermo aveva rigettato la domanda di riparazione per ingiusta detenzione proposta da Bruno Contrada.
Va ricordato però che i giudici romani avevano fissato un principio di diritto sostenendo i punti su cui dovevano intervenire i giudici del nuovo rinvio: “sulla scorta degli accertamenti in punto di fatto indicati nell’ordinanza impugnata, determinare la ricorrenza del dolo o colpa grave, causa ostativa alla riparazione, in relazione non già alla fattispecie di reato di partecipazione all’associazione mafiosa, mai contestata e rispetto la quale il ricorrente non si è mai difeso nel processo, bensì rispetto a condotte sinergiche al favoreggiamento sia delle singole vicende accertate, sia dell’associazione mafiosa”. Ed episodi di “disponibilità piena”, di contributo in favore dell’associazione mafiosa, secondo i giudici di merito che lo condannarono, ne erano emersi parecchi. “A mero titolo esemplificativo”, aveva scritto ancora la terza sezione della Cassazione, Contrada sarebbe stato responsabile della “omessa indicazione in un incontro tra il vicequestore Boris Giuliano e l’avvocato Ambrosoli, dell’allontanamento dall’Italia di John Gambino, esponente di famiglie mafiose, coinvolto nel finto sequestro di Michele Sindona e il tentativo di condizionare l’operato del commissario Renato Gentile, oltre altri episodi accertati dai quali” la Corte d’appello aveva “tratto il convincimento della volontaria e consapevole messa a disposizione del ricorrente a favorire, proteggere e rafforzare l’attività del sodalizio criminoso mafioso”.
Inoltre le accuse nei confronti di Contrada non vengono solo dai pentiti ma anche da figure istituzionali come i magistrati Del Ponte, Caponnetto, Almerighi, Vito D’Ambrosio, Ayala. E poi
Laura Cassarà, vedova di Ninni, uno dei colleghi di Contrada alla Questura di Palermo assassinati da Cosa Nostra mentre lui teneva rapporti con la mafia.
Questo è altri dettagli sono stati raccontati nell’ultimo libro del giornalista Stefano Baudino “Il Caso Contrada” edito da Rcs Mediagroup Spa. Nel libro si ripercorre tutta la vicenda giudiziaria dell’ex 007: dalla condanna definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa; la pronuncia dei giudici della Corte di Strasburgo, per i quali non doveva essere condannato perché, all’epoca dei fatti (1979-1988), il reato non “era sufficientemente chiaro”, cioè il superpoliziotto era disponibile nei confronti della mafia ma senza saperlo, per il paradossale ragionamento che, secondo la Cedu, il reato di concorso esterno in associazione mafiosa nasce soltanto nel 1994, in virtù di una sentenza della Cassazione (Demitry) che lo avrebbe meglio definito dopo alcune oscillazioni giurisprudenziali. Perciò sarebbe, sempre secondo la Cedu, un reato di origine giurisprudenziale. E poiché le gravi condotte di Contrada (realizzate dagli anni Settanta al 1992) sono anteriori, egli non poteva sapere che erano illecite e nel contempo esse non erano ancora riconducibili al reato di concorso esterno.
Una storia intricata, quella di Contrada, che merita di essere raccontata alla luce dei fatti riportati nelle sentenze.
L’arresto e le parole dei pentiti
Tutto ebbe inizio alle sette del mattino di quel 24 dicembre 1992: “Il funzionario del SISDE Bruno Contrada” – si legge nel libro di Stefano Baudino – venne “svegliato dalle sirene in una città ancora avvolta nel buio. Le forze dell’ordine lo traggono in arresto con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa e lo conducono nel carcere militare romano di Forte Boccea”.
Il suo arresto venne emanato dalla procura di Palermo “sulla base delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Tommaso Buscetta, Gaspare Mutolo, Giuseppe Marchese, Rosario Spatola, Francesco Marino Mannoia, Salvatore Cancemi e Pietro Scavuzzo“.
Cosa dissero i pentiti?
Che Contrada “fin dal periodo in cui era attivo come investigatore alla Questura di Palermo, stabili rapporti con illustri esponenti di Cosa Nostra, fornendo loro notizie riservate in merito a indagini e arresti di cui essi e altri elementi”.
Il processo a Contrada si aprì ufficialmente “l’11 febbraio 1994 di fronte alla V sezione del Tribunale di Palermo, presieduta dal giudice Francesco Ingargiola. Nel corso del dibattimento, che si protrae per 165 udienze, oltre ai pentiti in tribunale sfilano 50 testimoni dell’accusa e 144 della difesa, in aggiunta ad altri 58 che vengono richiesti a vario titolo da entrambe le parti. Il 19 gennaio 1996, dopo aver illustrato le sue conclusioni nel corso di 21 udienze, il pubblico ministero Antonio Ingroia chiede ai giudici di condannare Bruno Contrada a 12 anni di reclusione. Il 29 marzo la difesa chiede invece l’assoluzione dell’imputato da tutte le imputazioni a lui ascritte ‘perché il fatto non sussiste'”.
“Alla fine della Camera di consiglio, Bruno Contrada venne condannato: dieci anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa, nonché al pagamento delle spese processuali e a quelle relative al proprio mantenimento in galera, oltre all’interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Per i giudici Bruno Contrada fu ‘persona disponibile’ “nei confronti di Cosa Nostra e che intrattenne rapporti con diversi mafiosi, in particolare con Rosario Riccobono e Stefano Bontate; che pose in essere specifiche condotte di favoritismo nei confronti di mafiosi consistenti in agevolazioni; realizzò condotte di agevolazione della latitanza di mafiosi: in favore di Rosario Riccobono e anche in favore di esponenti dell’area corleonese e dello stesso Salvatore Riina; fornì all’organizzazione mafiosa notizie afferenti a indagini di P.G., di cui era venuto a conoscenza in relazione ai suoi incarichi istituzionali; ebbe incontri diretti con mafiosi: come Rosario Riccobono e come Calogero Musso, mafioso del trapanese facente parte di una cosca alleata di Salvatore Riina“.
La Corte puntualizzò anche “specifiche condotte di favoritismo nei confronti di indagati mafiosi; condotte di agevolazione della latitanza di mafiosi e di soggetti in stretti rapporti criminali con l’organizzazione mafiosa; condotte di interferenza in indagini giudiziarie riguardanti fatti di mafia al fine di deviarne il corso o di comunicare all’organizzazione mafiosa notizie utili; comportamenti di intimidazione e di freno alle indagini antimafia posti in essere nei confronti di funzionari di polizia. Secondo i giudici, ‘tali plurime, eterogenee, gravi e concordanti emergenze processuali’ consentono di ‘ritenere raggiunta la prova certa della colpevolezza dell’imputato'”.
Contrada e i suoi legali, in ogni caso, non si diedero per vinti e ricorsero “in appello, dove ha luogo un incredibile ribaltone: il 4 maggio 2001 il processo di secondo grado si chiude con l’assoluzione dell’imputato”. “La Corte d’Appello, pur condividendo i ‘parametri di diagnosi tecnico-giuridica’ del tribunale, ritiene infatti di non poterne confermare gli esiti valutativi: per i giudici, le dichiarazioni accusatorie dei pentiti e le altre fonti dichiarative apprezzate dal tribunale non sarebbero sostenute da un ‘sufficiente peso probatorio'”.
La procura di Palermo, in seguito, denunciò “l’illogicità e la contraddittorietà della sentenza di appello. E la Cassazione, con la sentenza del 12 dicembre 2002, le dà ragione: vi è una radicale carenza della struttura normativa nella motivazione dei giudici di secondo grado. La sentenza del 4 maggio viene dunque annullata con rinvio. È tutto da rifare, c’è bisogno di un nuovo giudizio. Il processo torna in appello esattamente un anno dopo, il 12 dicembre 2003. E, questa volta, Contrada viene battuto: dopo 31 udienze, il 25 febbraio 2006 la Corte conferma nella sua interezza la sentenza di primo grado del 5 aprile 1996, che aveva condannato l’ex funzionario dei servizi a 10 anni di carcere. Per i giudici, il paradigma accusatorio è infatti pienamente valido. Dopo l’ennesimo ricorso dei legali di Contrada, il 10 maggio 2007 la Corte di Cassazione chiude definitivamente il processo confermando l’ultima sentenza di appello. All’imputato, condannato anche al pagamento delle spese processuali, vengono dunque comminati 10 anni di carcere: ‘In nome del popolo italiano’, Bruno Contrada è giudicato colpevole in via definitiva per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa”.
Ma la storia non si conclude.
La Sentenza Contrada vs Italia
Uno dei capitoli più intricati della vicenda giudiziaria di Contrada inizia quando “l’ex poliziotto è stato ormai scarcerato da più di un anno. In primis, l’11 febbraio 2014, con la sentenza Contrada vs Italia n. 1, la Corte europea dei diritti umani condanna lo Stato italiano per aver violato l’art. 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, non avendo concesso a Contrada i domiciliari sebbene il detenuto fosse molto malato e le sue condizioni non fossero conciliabili con il regime detentivo. Gli viene dunque riconosciuta una somma pari a 15.000 euro, comprensiva di danni morali e rimborso spese. Ma la vera sorpresa – scrive il giornalista Baudino – arriva il 14 aprile 2015, quando alla CEDU, con la sentenza Contrada vs Italia n. 2, condanna il nostro Paese a risarcire Contrada con ulteriori 10.000 euro per danni morali (più altri 2500 per spese legali) poiché, all’epoca dei fatti per cui Contrada è stato condannato, il reato di associazione mafiosa non era codificato e ‘sufficientemente chiaro e prevedibile’. Secondo i giudici, che pure non mettono in discussione le condotte poste in essere da Contrada né le ricostruzioni che la giustizia italiana ne ha offerto, l’ex agente del SISDE ‘non poteva conoscere nello specifico la pena in cui incorreva per la responsabilità penale che discendeva dagli atti compiuti’, a causa di oscillazioni giurisprudenziali sull’applicabilità del reato alla contiguità mafiosa. Secondo l’interpretazione della Corte, dunque, il reato di concorso esterno sarebbe di creazione giurisprudenziale, anziché, come inteso dal giudice italiano, il frutto del combinato disposto degli articoli 416 bis (‘associazione di tipo mafioso’) e 110 (‘concorso di persone nel reato’) del Codice penale”.
“Contrada, anche davanti ai tribunali italiani, aveva sempre sostenuto che, secondo il principio del nulla poena sine lege contenuto nell’art. 7 della Convenzione europea dei diritti umani, dal momento che all’epoca dei fatti il concorso esterno in associazione mafiosa non esisteva, non avrebbe potuto essere condannato. Tentativo sempre respinto dai giudici italiani ma, al contrario, avallato dalla CEDU. “Il 7 luglio 2017, con un annullamento senza rinvio, la Corte di Cassazione revoca la condanna a Contrada, dichiarandola ‘ineseguibile e improduttiva di effetti penali’, poiché, come indicato dai giudici di Strasburgo, all’epoca in cui Contrada si rapportò con i mafiosi il fatto non era previsto come reato. Il 6 aprile 2020, in piena pandemia da Covid-19, a titolo di riparazione per l’’ingiusta detenzione’ patita da Contrada nel procedimento penale, la Corte d’Appello di Palermo dispone un pagamento in suo favore di 667.000 euro”. “L’anno successivo, però, la Corte di Cassazione annulla l’ordinanza, ripassando la palla ai giudici di secondo grado, che nel gennaio del 2022 respingono l’istanza di Contrada. Intervenendo nuovamente, la Cassazione respinge però il rigetto, aprendo a un nuovo giudizio di secondo grado” che si è concluso recentemente un risarcimento di oltre 200mila euro.
A futura memoria
Ciò posto, è proponibile la domanda se sia giusto oltre ogni dubbio gratificare il responsabile di quei fatti con una barca di soldi?
E ancora: se la fonte di tutto è una sentenza Cedu nata da un fraintendimento interpretativo, deve proprio la giustizia italiana prestarvi comunque pedissequo ossequio?
Probabilmente aveva ragione l’ex 007 quando afferma di “avere servito con onore lo Stato”. La domanda retorica è se mai: qual è lo Stato che ha servito? Certamente non quello di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Né tanto meno quello di Boris Giuliano, Carla Del Ponte, Antonino Caponnetto, Mario Almerighi ed altri ancora che su di lui avevano nutrito una pesante diffidenza.
E i fatti, nonostante tutto, restano impressi nella storia.
Dunque non si può – e non si potrà mai – parlare di innocenza per Bruno Contrada.